Il ritratto
Il pittore osservò il bambino. Calzava scarpe nuove per l’occasione e indossava abiti lussuosi che odoravano di fresco. Un nastro di seta annodato, gli cingeva il collo e i capelli lucenti, erano stati riordinati da un pettine meticoloso. Il colorito del viso era pallido, come se non godesse mai di una boccata d’aria fresca e i suoi occhi cupi, brulicavano di noia e di tristezza. Si mise a sedere sul piccolo sgabello, situato davanti alla porta finestra che dava sul giardino esterno, secondo le disposizioni lasciate dalla madre, prima di partire per il viaggio, che l’avrebbe allontanata da casa per alcuni giorni. Il pittore lo guardò attentamente per imprimersi nella memoria, i dolci tratti acerbi ma quegli occhi senza sorriso, gli impedivano il lavoro che avrebbe già dovuto iniziare da qualche minuto. Sarebbe mai potuto essere un “bel ritratto” quello che raffigurava un bellissimo bambino infinitamente triste? Il pittore non si era mai imbattuto in questa realtà, poiché i soggetti più o meno giovani ritratti finora, avevano sempre mostrato espressioni compiaciute e piene di vanto. “Buongiorno signorino, cosa penserebbe se andassimo in giardino, dove c’è più luce?” Il bambino lo guardò meravigliato, mai nessuno gli aveva proposto una cosa del genere, probabilmente il pittore, non era informato della brutta storia, successa alla sua famiglia anni prima. “Buongiorno maestro” rispose edu- catamente il bambino. “Verrei volentieri ma non posso accettare, mia madre mi proibisce di uscire all’aria aperta, pensa che potrei ammalarmi com’è successo a mio fratello e morire di polmonite, perciò ho imparato i giochi dei grandi, per esempio la dama, gli scacchi e poi leggo molto e disegno, tutte cose che posso fare qui dentro, anche se dopo un po’ mi annoio.” Guardò fuori, con quel piccolo viso adulto malinconico, verso la lunga distesa verde, recintata da querce e peschi in fiore sui quali, farfalle variopinte danzavano allegramente e la primavera gridava il suo splendore. “Oggi signorino è una giornata stupenda, fuori fa caldo, l’aria è mite e sua madre non c’è. Se indossa un cappel- lino con la visiera, per proteggersi dal sole, potremmo camminare fino a quelle panche laggiù e sederci all’ombra della grande quercia. Le potrei insegnare le infinite tonalità che si ottengono mescolando i colori fra loro, ne rimarrebbe sorpreso. Il ritratto può attendere per un po’.” “Mi piacerebbe maestro ma sono sicuro che tata Ada me lo proibirà.” “Non si preoccupi di tata Ada, lei si prepari mentre io vado a parlarle, vedrà che cambierà idea.” Ada, era una donna paffuta e dolcissima che adorava il bambino e si dispiaceva di vederlo sempre in casa tutto solo, perciò non fu difficile per il pittore, trovare il suo consenso. La tata gli abbottonò con cura la giac- chetta, raccomandando entrambi di fare attenzione e con un sorriso velato, sparì per adempiere i suoi doveri. I due presero a camminare e il bambino non stava nella pelle. Il suo viso era trasformato, una luce intensa e gioiosa attraversava l’azzurro degli occhi e le guance avevano ripreso colore, regalandogli un aspetto sano e forte. Arrivarono all’ombra della grande quercia e il maestro gli insegnò molte cose sull’uso dei colori, dialogarono e risero insieme, finché il sole si abbassò e tornarono alla casa. I giorni seguenti, con la complicità della tata Ada, uscirono nuovamente. Annusarono tutti i fiori che trovarono sul loro cammino e il bambino corse incontro alle farfalle con il vano intento di catturarle. La loro amicizia crebbe e il maestro gli insegnò l’uso dei pennelli, il dosaggio del colore, l’intensità della luce e la sua importanza nel dipinto. Il pallore nel viso del bambino era sparito, lasciando il posto a un colorito roseo e a un sorriso luminoso ecostante. “Questa è stata la settimana più bella della mia vita.” gli disse al maestro, mentre se ne tornavano alla dimora sporchi e sudati. “Sono felice signorino che si sia divertito tanto, ma credo sia giunto per noi il momento di iniziare il suo ritratto, sua madre sta per tornare e si aspetta di vederlo appeso all’ingresso.” “Non andiamo in giardino dove c’e più luce?” chiese al pittore. “Possiamo rimanere qui, secondo le disposizioni lasciate da sua madre, si può sedere sullo sgabello e guardarmi, così posso cominciare il lavoro.” Il bambino restò impassibile per ore, con un sorriso stampato sulle labbra e una luce negli occhi mai vista prima e il pittore catturò quella luce, quel sorriso e tutto ciò che realmente viveva sul giovane volto, imprimendolo con una tale maestria che il ritratto divenne il suo capolavoro. La madre entrò nell’atrio e restò esterrefatta di fronte al dipinto. Il suo piccolo era irriconoscibilmente felice. Lo sguardo possedeva una vivacità mai vista prima, quella che sarebbe dovuta appartenergli da sempre ma che in lui era stata assente fino a quel momento. Le guance rosate parevano più piene e le spalle più robuste, come se fosse cresciuto all’improvviso. Pensò che il maestro avesse superato se stesso e che l’avrebbe ricompensato con un lauto compenso. In quel momento entrò il piccolo che le corse incontro abbracciandola, le raccontò tutto ciò che era successo in sua assenza e lei, stupita, ascoltò gli avvenimenti accaduti. Non poteva credere che era lo stesso figlio, lasciato una settimana prima e si rese conto, di avere commesso un grave errore nei suoi confronti. Aveva lasciato che le proprie paure, gli ricadessero addosso, obbligandolo a vivere una vita anomala, limitativa e immeritata, una vita che più tardi, l’avrebbe reso fragile e incerto piuttosto che forte e sicuro di sé. Il dipinto non era stato artefatto dall’artista, quest’ultimo si era semplicemente limitato a ritrarre la realtà che gli stava di fronte, nella sua purezza e verità. La madre fece chiamare tata Ada e il pittore che, riluttanti, si avviarono in salotto dove lei li attendeva. Si aspettavano, come minimo, un veloce benservito accompagnato da un assalto feroce invece, piangendo di gioia, andò loro incontro e li abbracciò calorosamente. Il bambino si avvicinò al maestro, lo prese per mano e lo accompagnò all’ingresso, di fronte al ritratto appeso che mostrava se stesso e querce e peschi in fiori, estesi fino all’orizzonte. “Potevamo uscire in giardino, dove c’era più luce, perché siamo rimasti nella stanza maestro?” “Nella felicità del tuo volto ho trovato tutta la luce che mi occorreva.”
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