Mi sedetti
nel fiele dei miei occhi
una notte
a contemplare
le ossa
e la pelle dell'assenza.
Incendiai
di luna
pupille che sanguinavano tramonti
e tombe,
e fiori di brinose radici.
Compresi
che le ombre crescono
e tendono
sul bordo di un grido,
che è preciso
strappare
la sua gola di pietra
al dolore
affinché attecchiscano
stelle
ed ali
e coltelli
che taglino la neve
tatuata
nel letto
del silenzio più profondo.
Ci sono lampade
che germogliano
dal più nero ululato
e nebbie che anticipano
albe di anima
in carne viva.
Che, a volte,
ardono ceri che leccano
fianchi
di accattona esistenza,
e ci sono morti non nati
che vangano già le sue tombe
in un sogno.
Ed è necessario
farci scoppiare il pus
della tristezza
con aghi di pace,
seminare un occhio nuovo
in specchi opachi di speranza.
Stesserci di grigio
e bere
nel bicchiere riarso del tempo
sangue di astri futuri.
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