Dieci autunni

Masticai un inverno 
che durò dieci autunni.

L'orologio dell'abisso 
gestava cento radici 
di assenza per minuto

Fui Atlante di nebbia 
sottomettendo la Notte.

Un tremore perpetuato 
su manti di ombra.

La sua voce 
tese gli archi 
di una chitarra morta 
che lacerava dimenticanze.

La sua voce 
era un coltello azzurro 
strappando solitudini, 
strappando grappoli 
di utopia 
su sudari di fede 
addomesticata.

E il dolore si fece capsula 
e dimenticanza.

E l'aurora rivestì 
con parole di luce 
la carne delle mie lacrime.
data autore commento (si può commentare solo se si è loggati)
25-04-2013 Redazione Oceano Quasi paradosso, vedere come versi di una struggente tristezza, dolorosa, a tratti, sappiano dar vita a tanta bellezza ed eleganza nel dire.

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Pubblicata il 19-04-2013

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