Komodìa
E sono lamento che sale dalla geenna, figlio di Esculapio, abbandonato morente su pietre imbrattate di sangue vergine. Bastardo derelitto d'un relitto sono, senz'acqua a cui attingere nella misericordia d'attimi finiti. E mi è supplica non ascoltata la voce stanca che invoca Mefite, sulle sponde d'un fiume che odora di lutto, dove si spinge, verso la luna che piange, il mio esilio che infiamma le notti. S'arrende stanca, come gladioli al vento, quest'attesa nelle notti cupe d'assenza... che è infame mancanza. Sudditanza a roventi silenzi che mi stracciano le membra, in quest'inchiostro nero sbiadito che nessuna traccia lascia, se non l'odore ammuffito d'una mano che ha scritto di noi.
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28-05-2014 | Redazione Oceano | Dolore giace morente in abbandono senza speranza. Nella prosopopea degli elementi naturali l’autore tinge d’allegoria la scena: la sete non saziata d’un vano desiderio. Gli attimi diventano eterni, le distanze solchi riempiti d’acqua che brucia al contatto. Solo la pena e l’attesa. |