Komodìa

E sono lamento che sale dalla geenna, 
figlio di Esculapio, abbandonato morente 
su pietre imbrattate di sangue vergine. 
Bastardo derelitto d'un relitto sono, 
senz'acqua a cui attingere 
nella misericordia d'attimi finiti. 
E mi è supplica non ascoltata 
la voce stanca che invoca Mefite, 
sulle sponde d'un fiume 
che odora di lutto, 
dove si spinge, verso la luna che piange, 
il mio esilio che infiamma le notti. 
S'arrende stanca, come gladioli al vento, 
quest'attesa nelle notti cupe d'assenza... 
che è infame mancanza. 
Sudditanza a roventi silenzi 
che mi stracciano le membra, 
in quest'inchiostro nero sbiadito 
che nessuna traccia lascia, 
se non l'odore ammuffito 
d'una mano che ha scritto di noi.
data autore commento (si può commentare solo se si è loggati)
28-05-2014 Redazione Oceano Dolore giace morente in abbandono senza speranza. Nella prosopopea degli elementi naturali l’autore tinge d’allegoria la scena: la sete non saziata d’un vano desiderio. Gli attimi diventano eterni, le distanze solchi riempiti d’acqua che brucia al contatto. Solo la pena e l’attesa.

Pubblicata il 25-05-2014

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Commento dell'autore

Non poter stare insieme
a qualcuno, non poterne
stare nemmeno senza.
Non poter stare vicini
ma neppure distanti.
Mancarsi accanto,
mancarsi dentro...
Mancarsi fuori...
ma nel profondo! 
Chissà se è amore lo stesso
questo, questo mancarsi e
non cercarsi.
E sto imparando che la
maggior parte delle persone
ti dimostrerà interesse fin
quando avrà la speranza di
prendere qualcosa.
Poi passerà oltre, tornando
ogni tanto a sbirciare la
tua vita per vedere a che
punto sei...