Profughi
Riecheggia un rumore strisciante di stanchi passi sul molo. Nudi sono i loro piedi, cenci ricoprono la loro pelle arsa dal sole, colmi di terrore i lucidi occhi. Scappati da guerre e devastazione, sfuggiti alla morte, nei loro sguardi resta il ricordo di un dramma, un dramma consumato in un attimo: L’acqua imbarcata, Donne e bimbi risucchiati dal vortice di un mare impazzito. Raggi lunari dilaniano il buio della notte. Un argenteo riflesso illumina i palmi bianchi di mani stagliate al cielo come sottili fiammelle. Stanchi, consumati da una vita di stenti, lentamente procedono intonando nenie e lamenti di un popolo inerme accartocciato nel proprio dolore. S’avviano mesti verso l’ignoto, uniti dal dolore silente, dallo sguardo perso nel nulla. Chiusi nelle proprie paure, fratelli nella speranza svanita di un porto sicuro, di una vita migliore, lentamente procedono, mentre Il tepore dell’alba fa capolino tra nuvole stanche, sciogliendo il gelo di un triste vissuto.
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24-10-2015 | Redazione Oceano | Si rimane silenti quando dalla lirica echeggia, in moviola incessante, la tristezza e l’angoscia, i lamenti e le pene, il mondo consunto e quello azzerato dalla vita. Pulsazioni, echi e luci, sommesse come i corpi del nulla, solcano la tua lirica, con orme rumorose da far innalzare al cielo il supplizio inginocchiato, nel martirio del tempo e della vita. |