A cuor leggero

“Una gigantesca montagna di pietre, innalzata da un intero popolo per un solo uomo”  
disse il vecchio Padineit.
“E' bellissima, nonno!” gli rispose Nekheb, la figlia di sua figlia.
“Già. I primi nostri Re, tantissimi anni fa, per distinguere le loro tombe si fecero 
costruire un tumulo in mattoni molto più grande di quel semplice monticello di terra 
che contraddistingueva le sepolture comuni.   Questo primo tipo di tomba regale venne 
chiamato Mastaba, cioè panca, perché rassomigliava alle panche di argilla in uso 
allora nei nostri villaggi. Ma qualche centinaio di anni fa le tombe mutarono: avuto 
l'incarico di innalzare un sepolcro per il faraone Zoser, l'architetto Imhotep concepì 
una costruzione grandiosa. Pensò di sovrapporre in ordine decrescente una serie di 
mastabe, creando un edificio imponente, a sei terrazze, a forma di piramide tronca. 
Oggi le sepolture dei Faraoni hanno la forma che tu ben conosci, Nekheb, quella di 
una piramide completamente a punta.”

La piccola Nekheb, di dieci anni, guardò in lontananza la schiera di operai che 
trascinavano, sulle slitte di legno, i pesantissimi blocchi di pietra lungo la rampa 
inclinata che giungeva ai piedi della grande tomba in costruzione.
“Centomila schiavi hanno lavorato duramente per trenta anni per costruire quello che 
tu vedi, nipote; ancora qualche mese e la dimora eterna del Re sarà ultimata, giusto 
in tempo per poi accoglierlo”
“Perché? Il Faraone è così vecchio?”
“E' vecchio, ha 42 anni. Ma soprattutto è ammalato. Soffre di cuore, come me del resto”
Padineit, il vecchio e stanco scriba, fece una pausa.
“Sento che per me sta arrivando il tempo dell'addio, nipote. Tra qualche mese, ne sono 
sicuro, sarò morto”
Nekheb, spaventata dalle parole del nonno, lo guardò in silenzio, preoccupata.

“Sì, nipote mia, non mi resta che qualche settimana ancora, il mio cuore è troppo 
malandato, ed ha visto troppe ingiustizie, troppe sofferenze. Spero solo di morire 
prima di Neithhotep.”
“Capisco. La morte del tuo Re sarebbe per te troppo dolorosa.....Lo hai servito 
fedelmente per ben diciotto anni, vero?”
“Diciotto anni, diciotto lunghi anni, già! Ma non è come tu pensi: al contrario, la 
sua morte non mi arrecherà nessun carico di dolore. Il Faraone è malvagio”
La frase colse di sorpresa la giovane.
“Credimi, è un uomo malvagio. Già il suo nome, Neithhotep, ha qualcosa di strano: Neith 
è la dea della guerra, come ben sai, mentre, e sai anche questo, hotep significa pace, 
oppure soddisfazione.
Quindi il suo nome significa che la dea della guerra è soddisfatta: può sicuramente 
essere soddisfatta, visto le tante battaglie combattute dal Re e nelle quali sono morti 
eserciti di giovani egizi. Quindi, nonostante sulla sua tomba, che stanno finendo di 
costruire con enormi sforzi, abbia fatto apporre l'iscrizione TU ENTRI NELLE PORTE DEL 
CIELO, CHE SONO PROIBITE AL POPOLO, non riuscirà ad arrivare nella dimora speciale 
riservata, nell'aldilà, alle anime dei Faraoni. Anche loro infatti sono soggetti al 
giudizio di Osiride. E Neithhotep, il Faraone, ha il cuore troppo pesante, troppo carico 
di peccati e che pesa certo più della piuma di Maat”
“La piuma di Maat?”
“Dopo la morte, giunto nella sala del giudizio a cospetto del sovrano dell'Oltretomba, 
Osiride, e dei 42 giudici del Tribunale divino, il defunto viene preso in consegna da 
Anubi e sottoposto alla prova della pesatura del cuore. 
Su di un piatto della bilancia di Anubi viene posto il cuore, che deve pesare non più 
della piuma che porta sul capo la dea della giustizia Maat, posta sull'altro piatto. 
Poi il dio Thot annota il verdetto della bilancia che, se positivo, evita al morto di 
essere divorato dal mostro Ammut, dea dalla testa di coccodrillo, corpo di ippopotamo 
e criniera di leone”
“E se uno supera invece la prova?” chiese incuriosita Nekheb.
“Un paesaggio sempreverde, che non teme siccità, con canali ricchi d'acqua e campi 
ricchi di messi, è ciò che attende l'egiziano giusto, buono, onesto. Naturalmente, per 
godere delle gioie della vita ultraterrena, bisogna adempiere ai lavori obbligatori 
per chiunque, nobile o meno che sia: coltivare i campi, irrigare le rive e trasportare 
sabbia da oriente ad occidente. Per questo, chi può permetterselo  porta con sé nella 
tomba numerose statuette, le usciabti, armate di attrezzi agricoli e destinate a compiere 
al suo posto i lavori imposti ai defunti”
“Degli schiavi....insomma” commentò la piccola Nekheb.
“Sì, ancora schiavi, anche nell'aldilà , per chi si può comprare tante usciabti....”
La bimba era pensierosa.
Dopo poco, però, se ne uscì dicendo:
“Forse, nonno, un giorno lontano non ci sarà più la schiavitù, in nessuna parte del 
Mondo”
“Ma cosa dici? Sarebbe bello, sì! Ma come è possibile?”
“Forse un giorno impareremo ad usare le formiche o altri insetti ed a far fare loro 
gli sforzi ed i lavori che dobbiamo fare noi”
“Ora per noi le api fanno il miele”
“Già, ma forse si possono usare per tante altre cose. Oppure costruiremo dei piccoli 
animaletti artificiali, di legno o metallo, che potranno muoversi e lavorare al 
posto nostro”
“Già adesso noi costruiamo statue. Bisognerebbe riuscire a dar loro l'energia per 
farle muovere”
“Sì, nonno! Statue con braccia e gambe che si muovono e lavorano per noi. Pensa che 
bello! Fine della schiavitù e tutti gli uomini saranno liberi”
“Troppo bella la tua visione, troppo bella per essere vera. Se penso a quante migliaia 
di poveri schiavi hanno dovuto lavorare per il Faraone, per il terribile Neithhotep, 
io..uhm, che rabbia!! Ma non supererà la prova di Maat, questo è sicuro”
“Ma perché dici che è un essere cattivo? Perché tratta male gli schiavi che possiede?!”
“Non solo: per diventare Re ha fatto avvelenare un fratello nato prima di lui. E non 
è tutto. Pagherà per i suoi misfatti. Spero di morire prima io di lui per essere lì, 
nella camera del giudizio finale e poter assistere alla pesatura del suo cuore. 

Certamente è di diversi chili, carico come è di peccati, e non pesa certo i pochi 
grammi della piuma della Dea. Il nostro Re è profondamente ingiusto, Nekheb; ha 
avuto anche un figlio illegittimo, ottenuto fuori dal matrimonio, e sai cosa ha fatto?”
“Cosa ha fatto?”
“Ha ordinato di ucciderlo! Si può avere un cuore più duro?”
“E.... e questo bambino è stato ucciso?”
“Per fortuna no! O almeno, non si sa se è morto. Sua madre, una schiava somala, 
è riuscita a sottrarlo alle guardie, nascondendolo poi in una cesta che ella
 stessa ha spinto sull'acqua del Nilo. Lo ha spinto sul fiume una sera di agosto, 
tra piante di papiro e fiori di ninfee, all'ombra di alte palme. Nessuno ha mai 
saputo se il cesto è stato rinvenuto ed il piccolo si è salvato. Lo spero di tutto 
cuore.
Il nostro Faraone dopo la morte pagherà per tutti i suoi enormi peccati. I suoi 
misfatti pesano sulla sua coscienza, sulla sua anima. Il suo cuore è pesante e nemmeno 
tutto l'oro del Mondo potrà salvarlo. Per fortuna dopo la morte c'è giustizia. 
Lo aspetta Maat, la dea della giustizia. Il denaro non dà la felicità, perlomeno 
quella eterna.
Il suo corpo sarà divorato da Ammut oppure, se non sarà mangiato subito dal mostro, 
passerà nella “sala segreta di macellazione” dove i “massacratori” lo faranno a 
pezzi e ne mutileranno le membra.
Per me questa, nipote, è una grande consolazione. Che perlomeno siano vendicati i 
suoi soprusi, sia vendicato il fratello Ramesse, il figlio illegittimo senza nome, 
i sacerdoti fatti uccidere o torturati perché non condividevano le sue idee, le 
migliaia di servi oppressi come non mai.  Sì! Sarò felice finalmente solo quando 
vedrò il suo cuore far pendere la bilancia e vincere il confronto con la piuma”.


Tre mesi e due giorni esatti dopo il colloquio che avete appena letto, il caro, 
vecchio e malato Padineit morì. Morì tra le braccia ed il rimpianto dei famigliari 
e di chi lo aveva sempre conosciuto come un uomo giusto , integerrimo, incorruttibile. 
Non sarete dunque sorpresi apprendendo che il suo cuore, quel cuore così generoso 
e tanto malato, 
confrontato con la piuma presa dalla fronte di Maat si rivelò leggero, privo di 
peccati e quasi impalpabile, assicurandogli il sorriso di Osiride e la sua 
approvazione, assicurandogli l'apertura della porta che permette l'accesso al 
regno dei beati, ricco di grandi quantità di cibi e bevande.

E dopo altri sei mesi e cinque giorni …. anche il Faraone passò a miglior vita.
Cioè, andiamo ora a vedere se la sua esistenza migliorò, come indubbiamente egli 
si augurava. 
Dunque.. morto, imbalsamato e inumato sotto la grande piramide, egli poi si presentò 
al cospetto di Osiride, il grande dio signore dell'occidente.    Entrò nella sala dell
e due verità dove, tra gli altri, non senza sorpresa trovò anche Padineit, che era 
stato suo fedele scriba per ben diciotto anni.
Ed un attimo prima che Thot, aiutato da Horo, gli estraesse il cuore per la cerimonia 
di pesatura sulla bilancia di Anubi, lo scriba fece in tempo a dirgli:
“Ho atteso molti anni questo momento, l'istante in cui tu pagherai per tutte le tue 
innumerevoli colpe, per la tua cattiveria, il tuo cinismo e la tua insensibilità. 

Maat, la Rettitudine, ti condannerà. Tutta la tua potenza terrena non ti sarà di aiuto, 
nulla ti può salvare: per fortuna i soldi non danno la felicità”
Neithhotep, il Re appena morto, lo guardò con superiorità e disse poi, gravemente:
“Aspetta, Padineit, la bilancia di Anubi non ha ancora emesso il verdetto! Io sono 
l'incarnazione della divinità, personificazione in Terra del dio Horo. Sono un 
predestinato, il mio destino è di sedere sulla barca del dio-sole Ra e seguirne il 
corso cosmico, mentre i miei schiavi, le mie usciabti, coltiveranno la fertile terra 
d'oltretomba traendone frutti prelibati. Poi, tra mille secoli, quando anche le 
piramidi saranno ridotte a sabbia, salirò ancora più su nel cielo tramite una scala 
celeste e diventerò una stella, che brillerà per sempre!”

Detto ciò, Neithhotep si voltò verso Anubi per proclamare a gran voce di non aver 
commesso i peccati contro gli uomini e gli dei elencati nel Libro dei morti, dicendo: 
“Io ho fatto ciò che la gente dice e di cui gli dei sono contenti; ho accontentato 
il dio con ciò che egli desidera: ho dato pane all'affamato, acqua all'assetato e 
vestiti al nudo”.
Padineit era impietrito, sorpreso dalla faccia tosta del suo Faraone, incredulo 
all'ascolto di tali bugie. Mai avrebbe pensato di assistere ad una simile scena.
E pochi attimi dopo la bilancia di Anubi lo sorprese ancor più, emettendo l'atteso 
verdetto: gli occhi dello scriba, increduli, videro il braccio dello strumento 
rimanere perfettamente orizzontale, nella totale indecisione tra il dar ragione al 
cuore del Faraone o alla piuma della giustizia. 
Il cuore pesava tanto quanto la piuma;  Neithhotep era salvo, destinato alla vita 
eterna!!
Padineit si ritrovò a bocca aperta, con le sue certezze sbriciolate in mille pezzi, 
sbriciolate al posto delle membra del Re che invece, tutto intero e sicuro di sé, 
come era sempre stato, gli si avvicinò:
“Vedi, caro scriba, che t'avevo detto?”
“Non è possibile! Non può essere vero! Tu sei cattivo! Non puoi avere un cuore leggero”
“Certo che posso! Non hai visto il giudizio della bilancia?!”
“Sei un mostro!! Sei riuscito ad ingannarla. Ma come hai fatto?”
“Oh, caro amico mio, è stato facile. Vedi, tramite Sinuhe, il mio medico di base...”
“Il tuo … medico di base?!!”
“Sì. Il medico della mutua. Anche noi Re ne abbiamo uno, è previsto espressamente 
da una disposizione del Servizio Sanitario Nazionale.  Beh, comunque, dicevo che 
tramite Sinuhe ho saputo che nell'Africa del Sud, in Sudan, dove tutti sudan per 
il caldo, al confine con il nostro grande Regno d'Egitto, opera in una clinica 
privata un certo dottor Bahrnaa, un mago della moderna chirurgia. Da tempo questo 
saggio luminare era pronto, gli mancava solo l'occasione”
“Era pronto? Pronto per far cosa?”
“Era pronto per tentare il primo trapianto di cuore della Storia” 
“Trapianto di cuore?”
“Sì, lui era pronto, pronto ad impiantare il cuore di una persona in un'altra. 

Ed anche io, ormai, ero pronto: troppo stanco e lacerato il mio cuore. Ho convinto 
un certo Uashanti , contadino della città di Gebtu noto a tutto l'Egitto, da Nord 
a Sud, da Est ad Ovest, per la sua onestà e bontà, a donarmi il suo organo. 
Una donazione di organi, e per giunta tremila anni prima di Cristo! Eccezionale,
non trovi?”
“Ma...”
“So a cosa pensi. Certo, l'ho pagato profumatamente. L'ho sommerso di ricchezze e 
ricoperto di oro.  Tanto oro che la sua discendenza non avrà mai bisogno di lavorare, 
mai! E, quando moriranno, i suoi figli e nipoti potranno portare con loro nell'aldilà 
miriadi di usciabti, eserciti di servi.
Tra l'altro il nome Uashanti mi ricorda proprio la parola usciabti, non credi?”
“Già, e tu lo hai usato come un servo, così come avevi usato in vita migliaia di poveri 
schiavi. Non ho mai conosciuto un essere così spregevole come te!”
“Questione di punti di vista..”
“No! Non è questione di punto di vista. E quel poveretto si è sacrificato, prendendo 
il tuo pesantissimo cuore al posto del suo; si è sacrificato per i figli”
“Certo, era una persona buonissima, te l'ho detto. Ed io, col cuore nuovo, ho vissuto 
solo 18 giorni. Ma era il primo trapianto di cuore. Un vero successo!”  
“Maledetto. Che tu sia maledetto per tutti i secoli a venire!!”
“Oh, beh... non credo proprio che mi troverò male nell'Oltretomba. Banane, uva ed altri 
frutti da mangiare, bevande zuccherate e profumate da gustare in compagnia di leggiadre 
fanciulle, emozionanti battute di caccia per stanare pericolosi animali. E viaggi 
giornalieri sulla barca di Ra, il dio-sole. Tanto non devo lavorare: ho portato con me 
sotto la grande piramide un mucchio di  usciabti. Lavoreranno loro, nell'aldilà!”
“Già, come hanno fatto nugoli di schiavi, poveri diavoli, nell'aldiqua”
“Esatto. Dopotutto, per fortuna è proprio vero che i soldi danno la felicità. 

Caro scriba mio, ammettilo una buona volta: fattene una ragione e mettiti il cuore in pace!”

  
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17-02-2016 Redazione Oceano Un dialogo coinvolgente, intenso e magistrale che trasporta nelle parole innocenti tanta saggezza intessuta di sogni; illusioni che cedono dinanzi alla consapevolezza che dopotutto “ che i soldi danno la felicità”.