Somnium rationis monstra gignit

10 Gennaio
Le dolci note di Schubert risuonavano vigorose nonché maestose riversando solennemente la loro dolce 
quanto famosa ratio musicale in tutta la magnifica cucina. Esse volteggiavano in modo conturbante,
adagiandosi sul poderoso tavolo di legno,arrampicandosi sensualmente sul marmoreo piano della cucina,
intonso e lucente,declinandosi armoniosamente nell’orecchio,nel corpo,nell’anima di Mara,che stava 
affettando precisamente le verdure per le sue celebri lasagne vegetariane. Doveva scaldare le dorate 
sfoglie,forse sarebbe stato meglio salare l’acqua che stava bollendo,per evitare sapori sciapi: 
sfavillanti cristalli salini si dispersero nel vortice acqueo che sembrava una tempesta,assimilabile 
a quella leopardiana,che ad un tratto transitava,lasciando il posto ad una “nitida quiete”. 
“La quiete dopo la tempesta..odo gli augelli far festa”,penso tra sé Mara,mentre riponeva il sale 
nell’elegante vano di arredamento di legno massello,destinato a riporre le sue diverse spezie. 
Si ravviò i capelli corvini,lunghi e brillanti,invidiato frutto di minuti,ore,giorni,passati a 
curare con premura e diligenza la cute,attraverso maschere naturali,preparate con l’argilla. 
Impeccabilmente truccata,Mara era una meravigliosa cinquantenne,docente di italiano presso il Liceo 
Classico del suo piccolo Comune. Filantropa ed assennata matrona,”dama d’altri tempi”,aveva sempre 
guardato con immutata ammirazione alla formazione di matrice classica,sposando il conclamato principio 
greco “mens sana in corpore sano”aveva sempre dato il massimo in tutte le attività intraprese,
portandole a termine con l’operosità di una formica e la solerzia di una disciplinata ballerina 
classica. Guru del fitness fisico e mentale,teneva a che nella sua vita fosse tutto ideale e perfetto. 
Sullo scrittoio adiacente alla porta d’ingresso,ubicato frontalmente rispetto al piano da cucina,
che la donna aveva adibito con gusto raffinato e centrini ricamati a mano,troneggiava la foto del 
suo matrimonio con Roberto:”Dio mio,che belli che siamo noi due”si sorprese a pensare Mara.
Le dolci note dell’ “Ave Maria” lasciarono spazio alle note de “La gazza Ladra” del Rossini,le quali 
si esplicarono vorticosamente affratellandosi al profumo dei porri che stavano soffriggendo,scoppiando 
briosamente,come se qualcuno avesse azionato un detonatore emozionale,pronto a deflagrare in tanti 
fuochi d’artificio eccitanti ed al contempo commoventi,riunendosi nella perfezione unitaria immanente 
all’armonico equilibrio umano. Con lo sguardo ancora fisso sulla celeberrima foto,Mara si ridestò di 
colpo,complici le sferzanti note classiche che stavano diffondendosi,quasi fossero fiocchi nevosi su 
un falò ardente:doveva sbrigarsi perché presto sarebbero arrivati tutti per cenare e soprattutto,
doveva assolutamente salare l’acqua,per evitare sapori sciapi.
“Mamma,le lasagne sono salatissime!” ha esclamato Vera,mia figlia,gli occhi cerulei confusamente 
spalancati,guardando il suo piatto di ceramica con orrore,quasi fosse ancora la piccina che dovevo 
convincere quotidianamente a mangiare le sue tanto odiate verdure. Domani ho una commissione importante 
da fare:devo andare dal macellaio e poi dal fioraio,ho in mente un bouquet meraviglioso per adornare 
sfarzosamente il disimpegno. A proposito di domani,devo andare dal macellaio,poi devo andare dal …”.
 Mara chiuse a bruciapelo la sua agenda color porpora. Non concluse la frase,gli occhi vacui,l’espres-
sione vuota,l’anima inconsistente. Fissò enfaticamente il soffitto,un accenno istrionico nella sua 
estrinsecazione dell’Io.

18 Febbraio
“Per me si va ne la città dolente,
per me si va nell’etterno dolore
per me si va tra la perduta gente.”
Il maleodorante miasma della spazzatura la colpì alle narici come se un pugile le avesse sferrato un 
poderoso pugno in pieno viso. Non ricordava perché avesse aperto il container,forse cercava il suo 
rossetto color prugna,il solo che avrebbe potuto salvare il suo matrimonio che stava andando letteralmente
 in pezzi,frantumi di identità e vite legate da un filo sottile,capillare,pronto a cedere inesorabilmente 
in qualsivoglia momento,decretando la sua discesa negli abissi infernali. Impaziente e stizzosamente 
costernata, gettò implacabile nel luridume casalingo gli spaghetti al pomodoro e basilico che aveva 
appena servito nella zuppiera ornata di motivi greci,pronti per essere gustati a pranzo. Si passò una 
mano sulla fronte imperlata di “glaciale sudore”e restò turbata dalla singolare donna che la stava 
osservando inorridita attraverso lo specchio chiazzato dell’ampio e luminoso salone. Non smetteva di 
fissarla agghiacciata,raccapricciata. Un nerboruto mattarello ligneo accorse assertivo in suo favore: 
lo schianto fu “accecante”,tanti brandelli di cristalli si esibirono alla sua “cieca vista”,in una 
danza macabra. Quella donna seguitava ad osservarla impietosamente dai tanti cocci cristallini,ad 
analizzarla sezionandola quasi fosse un animale da vivisezionare,una inutile bestia da laboratorio. 
I suoi capelli che un tempo dovevano esser stati corvini,avevano spietatamente abdicato,lasciando il 
trono al nevischio senile,i suoi occhi vitrei,esautorati dell’anima,contornati da cerchi neri,i quali 
si stagliavano in maniera cromaticamente violenta sul livore del suo viso e la rassomigliavano 
implacabilmente a “Caron dimonio,con occhi di bragia”,la lasciavano atterrita.

4 Marzo
Le mosche more avevano ingaggiato una superlativa gara di aviazione,alternandosi tra le stoviglie sporche
 e incrostate e la biancheria lurida,la quale,soggiornava da giorni sui fuochi della cucina e tra gli
 sportelli riccamente ornati da raffinati “post it” canarini,recanti massime da osservare quotidianamente,
stile:“Ricorda di spegnere il gas!”,mantra da configurare quale vademecum sofistico. Mara,i capelli 
canuti e bisunti,era intenta a vezzeggiare un coltellaccio da cucina,mentre un pentolone colmo di un 
fluido non meglio precisato bolliva impaziente traboccando lattiginosa schiuma spumosa lungo lo splendido
 acciaio Inox,riversandosi incautamente sulla fiamma viva. La professoressa di italiano poggiò la borsa
 sulle oleose chiazze che da mesi ormai ornavano il banco ligneo e vi ripose forchette d’argento,
spaghetti crudi e carta igienica. Sorrise e un luccicante rivolo di salive scese dal suo labbro superiore,
fluendo lentamente sulla sua dentatura ocra,soffermandosi sulle screpolature violacee di sangue rappreso,
a testimonianza di una disgregazione dicotomica organico " mentale ,della Cartagine della sua anima.
“Ci sono dei momenti in cui è come se il mio zelante soffio d’anima spirasse e trasmigrasse altrove, 
teso al catarsi della consapevolezza e dell’”avveduta cognizione”. Scendo ignara lentamente ma inesora-
bilmente attraverso la voragine del mio tartaro emozionale,trascinando con me i giorni che scorrono 
identici e medesimi inesorabili,come se fossi la degna compagna di Didi e Gogo. in perenne,perdurante 
ed incessante attesa del famigerato quanto evanescente Mr Godot,nella più degna e realizzata messinscena
 del “Teatro dell’Assurdo”. Il Teatro dell’Assurdo,però,è diventato lo scenario della mia vita. 
Ci sono dei frangenti nei quali mi sento come una viandante su di un lago di bruma ,nei quali non 
riconosco percettibilmente la mia ratio decisionale, non sembro me stessa,vivo in un abisso amnesico,
preda dell’oblio,della notte più profonda,della valle più diabolica.
Roberto,credo si chiami così,l’uomo con cui condivido la splendida villetta al limitare del paese,
dice di non poterne più delle mie scenate da pazza isterica,ma non è colpa mia se Loro nascondono i 
miei effetti personali,non è a causa mia se tutte quelle perfide donne si pongono tra me e mio marito 
e vogliono portarlo via da me.” Mara ripose soddisfatta il suo diario e seguitò a pensare di quando 
fu una sofisticata pianista,mentre silenziosamente la foto del suo matrimonio fissava sorridente un 
foglio di carta che,posto incautamente in prossimità del fornello,cominciò a crepitare in cucina.

17 Aprile
-Teneme nu castill,sop’ a na bèlla coppe..d’abbasce l’è guardà..pecchè ‘nze po’ ‘nghianà..- La fiamma 
scoppiettava in un’ ”allegra malinconia”nella nicchia del focolare di laterizio e rischiarava in modo 
alquanto spettrale i lineamenti oramai fiabescamente grotteschi di Mara,mentre sua figlia le stringeva 
sommessamente le mani e la incitava a cantare uno degli stornelli del suo Paese,Lucera,nella speranza 
che ne ricordasse almeno qualche termine,un “flebile barlume” di reminiscenza lungimirante nella 
tempesta dell’abbandono raziocinante. -Dai mamma,ti prego,cantiamo..po’stace..- - ‘ Anfitèatre?-.
Gli occhi di Vera si velarono di commozione mista a pathos infantile,come se avesse ricevuto il dono 
natalizio tanto anelato durante tutto l’anno. " Si mamma,si brava..continua..poi..come fa? Ricordi il 
nostro Anfiteatro Romano? Ci andavamo sempre quando ero piccina e tu mi facevi far le capriole sull’erba -
 Un bagliore tanto improvviso quanto fugace balenò nei zaffiri orientali di Mara,il conscio si era 
magicamente rimpossessato di lei. " Pèrò si vin’ a sere,tu nenn u puje truva pecchè luce ‘nge ne stà..
lariulì..lariulà..- L’ eccitazione commossa di Vera si concretizzò nei suoi occhi,preziose perle 
lacrimali scesero inondandole la camicia,aveva ritrovato la sua dolce ed assennata madre, si sarebbero 
riunite in un abbraccio senza limite finalmente,adesso e per sempre,le loro esuberanti risate risuonavano
 per tutta la casa:ritrovarono i loro sguardi complici e compartecipi,in un razionale lieto fine,in 
omaggio alle deliziose favole che erano solite leggere tempo addietro. Bruscamente,la miseria rigorosa che
 Vera aveva purtroppo imparato a conoscere negli ultimi mesi,pretese violentemente di ritornare in scena:
 Mara sbarrò gli occhi,sgranandoli sconvolta ed altresì confusa,spalancò scioccamente la bocca ma non 
riuscì ad emettere suono di sorta. " Fuori da casa mia..Sei venuta per portarmi via..come l’uomo del buio!
! Mi sgrideranno adesso..mamma … papà. - Un feroce quanto rabbioso manrovescio della donna colpì la 
figlia in pieno viso,lasciando la ragazza inebetita,scioccata,tremante,la quale sibilò:-Mamma..perché..-
Ti ammazzo..hai capito che ti ammazzo??”
“Se un candido Ippogrifo mi avesse dolcemente condotta da San Giovanni Evangelista nell’alveo del 
Paradiso Terrestre,sarei potuta arrivare fin sulla Luna,luogo che,secondo Ludovico Ariosto,conserva 
tutto ciò che vien perso sulla Terra,forse,come Orlando,avrei potuto recuperare il mio senno. Ipse dixit:
 c’è chi il buonsenso lo perde per amore,chi per gli onori,chi lo perde per la “carreggiata”cercando le 
più inenarrabili delle ricchezze. Io l’ho perduto,anzi sono stata letteralmente esautorata dal mio stesso
 organismo che mi sta sabotando dall’interno:ho il morbo di Alzheimer. Non so a che livello questo stia
 degenerando,non so se questo possa configurarsi quale mio ultimo momento di gloria raziocinante,sono
 all’oscuro di quale sarà il mio destino. Ci sono istanti,barlumi,in cui sono cosciente di ciò che 
compio ed altri in cui il mio “Io” soccombe:è stata un’abbagliante luce che ha irraggiato completamente 
la mia esistenza,ora questo fulgore rischiara timidamente solo il riflesso di ciò che ero. Del mio 
rigoroso arsenale viene costantemente fatto scempio,come si fece scempio delle povere spoglia di 
Manfredi.Non so più come mi chiamo. Aiutatemi. Non so ch….”
10 Maggio
Il tramezzo damascato in fondo aveva una sua storia da raccontare,e Mara voleva ardentemente ascoltarla. 
Era comodamente acciambellata in poltrona,nel tinello,di fronte ad una parete color porpora,si girava 
ogni tanto,scrutando con lo sguardo congiurato la gente che si affollava al di là del muretto all’ameri-
cana e poi tornava a sorridere di fronte al muro porpore:le avevano insegnato che era maleducazione non 
rivolgere attenzione al proprio interlocutore,d’altronde la storia che questo le stava raccontando le 
interessava oltremodo. " Papà non posso stare sempre io con lei lo capisci o no?-stava dicendo Vera con 
la foga di un politico in piena campagna elettorale." Mi odia,non posso nemmeno avvicinarmi a lei. 
Guardala..ha girato la poltrona..sta conversando placidamente col muro adesso. Hai visto che l’altro ieri
 mi ha inseguita per tutta la casa con un coltellaccio in mano? Sono letteralmente terrorizzata e poi..
ho l’università che mi sta prendendo molto-
-Non posso credere che tu mi stia facendo questo!-suo padre era indignato.- Io non ce la -faccio più!-
Cominciò a piangere,singhiozzando. " È disumano!Sto con lei per tutta la giornata e nemmeno mi 
riconosce! Mi lancia addosso i gli oggetti più disparati,come credi che mi senta? Sono stanco. 
Seguita ad alternare isterici momenti in cui urla come una forsennata a frangenti nei quali mi accusa 
di non starle vicino perché interessato ad altre! Stanotte non sai che ha combinato..volevo solo dormire,
tutto quello che desidero ardentemente ormai è solo la dimensione onirica per sfuggire a questo 
squallore,erano circa le 3 quando ho sentito dei rumori provenienti dall’ingresso e mi sono precipitato,
il cuore in preda all’ansia,cosa starà combinando ora? La porta blindata era aperta,la mia gittata 
cardiaca ormai inesistente,ma la vedevo,camminava nel giardino diretta al cancello,al chiaro di Luna 
la sua pelle era bianca,la osservavo,camminava adagio,con la sua eleganza,la scorgevo,mi sembrava 
giovane come la prima volta che l’ho vista. Forse sto diventando pazzo. L’ho raggiunta e ha cominciato 
ad urlare..diceva di dover andare a casa perché i suoi puoi l’avrebbero sgridata in malo modo. Credeva 
l’avessi rapita. Non ne posso più,davvero. La situazione sta diventando insostenibile. Io ..ho bisogno 
di una pausa,ecco .-. Sua figlia lo incenerì con lo sguardo: -Non so più chi sia il mostro tra voi 
due.-Si voltò ed uscì di casa;la porta blindata tremò così fragorosamente che sembrò un tuono violento 
e fece trasalire Mara,la quale stringeva gelosamente a sé i brandelli purpurei del suo diario.
12 Maggio
La villa comunale di Lucera brulicava festosamente di urla infantili e uccellini aurei. Mara,i capelli
ormai completamente grigi,la devastazione psicofisica ormai conclusa,sedeva su di una panchina colma 
di scritte adolescenziali posta di fronte ad una fontanella di pietra dalla quale scorrevano inces-
santemente limpidi cristalli d’acqua,intenta ad osservare il nulla. Le sedevano accanto due personaggi,
forse i suoi amici Didi e Gogo,anzi no erano un uomo di bell’aspetto ed una ragazza bella m timorosa 
dell’esigua distanza fisica che c’era tra loro due. L’uomo disse ad un tratto:- Ti ho tenuto la mano 
per tutti questi anni,tu hai ancora tutto di me..quando hai pianto,ho asciugato le tue lacrime..quando 
hai urlato,ho combattuto tutte le tue paure..- Mara notò che l’uomo stava piangendo. Si voltò,anche 
la ragazza,gli occhi bassi,piangeva silenziosamente. Si dispiacque. - Eraclito sosteneva che dall’acqua 
nasce l’anima umana -affermò,indicando lo zampillare festoso della fontana di fronte a loro,sperando 
di risollevare i suoi accompagnatori. Essi la guardarono esterrefatti,atterriti. Mara tornò a fissare 
con gli occhi trasognanti e vacui,lo sguardo assente il nulla,che ora aveva il sapore del tutto. 
Sorrise loro e sentenziò: -Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie-. Si abbracciarono forte,
tutti e tre,forse per l’ultima volta,il loro affetto si effuse e accarezzò delicatamente le margherite 
colorate che danzavano “maestosamente umili”sul palcoscenico dell’aiuola posta dietro la loro panca. 
Oscillavano lievi e delicate all’Afflitto Vento.
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Pubblicata il 10-06-2016

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