Risveglio

Non esiste un dolore comune, cosi come non esiste una comune consolazione. Ognuno di noi vive le proprie tragedie
più o meno metabolizzandole o semplicemente alienandosi. C’è chi cerca di fregarsene e si lascia scivolare tutto 
di dosso, chi condivide le proprie pene ma poi si ritrova sempre e comunque solo davanti ad uno specchio beffardo 
e dispettoso che non ti fa vedere solamente i difetti ma, a seconda della luce che lo colpisce, ti acceca e ti 
ferisce. 
Quel giorno volevo semplicemente rimanere solo con i miei pensieri senza pretendere che le ferite rimarginassero 
in fretta, né che al mattino, dopo l’ennesima notte insonne, aprendo la finestra mi ritrovassi catapultato su 
Marte come in un vecchio romanzo fantasy, o dentro un quadro come nel film di Robin Williams “Al di là dei sogni”.
 
Qualche anno addietro avevo trovato un tranquillo ruscello ai piedi di una collina sovrastata da un antico convento, 
cosi, quando i pensieri s’accavallavano o il peso delle giornate si faceva sentire troppo, mi rifugiavo sulle 
sponde di quel rivolo d’acqua con la sola compagnia di qualche uccello e qualche timido pesce che ogni tanto faceva 
capolino nella trasparenza dell’acqua. Erano le otto del mattino e già m’ero avviato per passare la giornata davanti 
al mio ruscello ai piedi della piccola cascata che si formava tra un costone più alto della collina, ero quasi 
giunto alla meta quando un fruscio tra i cespugli attirò la mia attenzione, e più incuriosito che intimorito andai 
a vedere da dove proveniva quel rumore. Mi avvicinai ad un gruppo di felci convinto di trovare qualcosa … invece 
niente! Non c’era niente e nessuno. Forse avevo sognato.  Così tornai sui miei passi e mi avviai al mio fiumiciattolo.
 
Mi sistemai per bene in un punto dove il sole riusciva a passare tra le foglie degli alberi, aprii una seggiola 
e mi misi a leggere un buon libro, controllai che nello zaino ci fosse il mio pranzo: un panino al prosciutto e una 
bottiglia d’acqua, e mi rilassai. Ogni tanto mentre leggevo accompagnato dal dolce scorrere dell’acqua ripensavo a 
quel fruscio e ancora mi ritrovavo sorpreso di non aver scorto niente, perché ero sicuro che quel rumore lo avesse 
provocato qualcosa o qualcuno … e non certo la mia fantasia, ma poi pensavo “Mi sarò sbagliato, forse è stato 
solamente il vento o qualche ramoscello caduto”. La mente non andò solo a cercare il motivo di quel rumore, piuttosto 
mi ritrovai improvvisamente catapultato indietro nel tempo, ed esattamente a una decina di anni prima, disteso 
sull’asfalto, incosciente e inerme, in balia del destino. 
Non ricordo esattamente cosa mi accadde; avevo dei flash, delle sensazioni: l’asfalto freddo, la sirena di un’ambulanza, 
un forte dolore al petto, alle gambe, e poco altro… frutto forse di un incidente; ma i ricordi erano come nuvole, 
svanivano in un istante portati via da un vento impetuoso. Come mi venne alla mente quel ricordo di anni addietro, 
svanì senza rendermene conto, e mi sorpresi a guardare la pagina del libro che stavo leggendo come fossi riflesso 
nello specchio o come se mi vedessi tra le righe nere nelle pagine bianche, chissà perché poi?!  

Cercai di rilassarmi al tepore del sole; ormai s’era fatta ora di pranzo e lo stomaco reclamava il suo compenso: 
Mentre sbocconcellavo il mio panino, con la solita calma, pensavo già di organizzare il ritorno a casa, ancora 
un’oretta di relax e sole primaverile e mi sarei avviato per il ritorno. Mi alzai, riposi la seggiola pieghevole, 
controllai di non aver lasciato rifiuti e mi inoltrai su per il sentiero che portava al parcheggio dove avevo lasciato 
la macchina. Ed ecco improvvisamente, nuovamente, il fruscio tra i cespugli! Stavolta non esitai un momento e mi 
precipitai subito verso il rumore e... di nuovo delusione! Niente, non c’era niente: il vuoto assoluto, solo foglie 
e sottobosco, non un animale, non un insetto, niente di niente, anche il vento aveva smesso di soffiare l’aria era 
ferma come in una vecchia foto ingiallita dal tempo. L’unica cosa in comune con l’evento della mattina era che 
subito dopo il fruscio tornai con la memoria a quello che ritenevo un incidente, o almeno al ricordo che avevo 
di esso. Che strana cosa … il fruscio e l’asfalto gelato, i ricordi indefiniti come fossero stati ingoiati da un 
buco nero, e di nuovo quella strana sensazione di impalpabilità, come se ogni cosa non esistesse, come se fosse 
frutto di un sogno, il mio ruscello, il bosco gli uccelli, tutto frutto di un sogno. “Ma no” mi dissi “sto vaneggiando, 
non posso vivere certo in un sogno!”  
Tornai a casa, una casa vuota, completamente bianca, un bianco candido, bianchi gli esterni, bianchi gli interni, 
l’arredo era composto dal minimo indispensabile, quello che serviva ad un uomo che viveva da solo; non ricordo di 
aver preparato qualcosa da mangiare, non mi serviva molto per cenare, andai a letto e mi ritrovai immediatamente 
immerso nei miei incubi: avevo una moglie, due figli… mi chiamavano, mi cercavano, ma io per quanti sforzi facessi 
non riuscivo ad arrivare a loro, mancava sempre qualcosa che mi permettesse di toccarli, di abbracciarli, di sentirli; 
non riuscivo a raggiungerli. Eppure non ricordavo di essere sposato, almeno era quello che mi dicevo nel sogno.

Questo incubo si ripeteva ormai da tempo, cosi come ormai da quel giorno nel bosco era tornata la sensazione, il 
ricordo che avevo di un incidente, ma quello che mi tornava alla mente erano solamente quei pochi particolari:  
l’asfalto freddo, il suono della sirena di un’ambulanza e un forte dolore. Nient’altro. 
Tornai al mio ruscello per l’ennesima volta, ma quella mattina era diversa, non ero rilassato, ero turbato, intimorito, 
sudavo freddo, eppure c’era il solito sole primaverile, la solita cascatella quieta, il solito canto degli uccelli, 
gli stessi pesciolini che facevano capolino nell’acqua … Il solito, Dio mio! Tutto era solito, immobile, tutto era 
uguale! Mi prese il panico. Perché ero là? Da anni la mia vita era il bosco, la mia casa tutta bianca, e quel ruscello, 
intervallati dai miei incubi anch’essi sempre e solo gli stessi. Ero talmente angosciato che quasi non avevo sentito 
il solito fruscio ' solito anche quello ' ma stavolta era più insistente, e stavolta non volevo andare a vedere da 
dove provenisse. Però il rumore aumentava, e più mi rifiutavo di andare, più insistente il fruscio si faceva. 
Mi voltai, convinto per l’ennesima volta di non trovare niente, che anche ora sarei rimasto deluso. Invece, come 
se aprissi gli occhi per la prima volta dopo anni, mi trovai davanti il volto di una donna che con le lacrime agli 
occhi  mi guardava e la sentii appena sussurrare, senza però capire cosa mi dicesse. 
Mi svegliai improvvisamente e mi resi conto di aver sognato, di aver avuto un altro incubo. "Ma perché tutto questo? 
Che cosa mi succedeva?" Ero di nuovo piombato negli incubi senza trovare una via d’uscita. 
Mi alzai, mi vestii e senza nemmeno far colazione mi avviai alla macchina; misi in moto con un'unica convinzione: 
volevo capire cosa c’era che non andava, e sapevo che la risposta " come mi aveva suggerito il mio sogno " l’avrei 
trovata nel bosco, ai piedi di una insignificante cascata, sulle rive di un innocuo fiumiciattolo. Arrivai alla meta 
e mi misi alla ricerca, di chissà cosa poi... Mi sembrava di essere un cacciatore intento ad ascoltare i rumori delle 
prede o un cercatore di funghi che rovista ogni cespuglio in cerca del suo tesoro. Le cose erano tutte come le avevo 
lasciate la volta precedente, tutto era al suo posto, immobile inanimato. Tornò allora ad assalirmi l’angoscia, mi 
trovai a vagare come se mi fossi perso, mi sentivo imprigionato in un labirinto, ma il mio rivolo d’acqua era là che 
m’aspettava per regalarmi un po’ della sua quiete. Mi sedetti sulla seggiola pieghevole, riscaldato dal tepore del 
sole che passava tra le fronde degli alberi, e chiusi gli occhi; volevo uscire dai miei incubi e speravo di farlo 
sognando, semplicemente sognando. Ed eccolo, il fruscio che mi accompagnava da tempo. Cercai di rilassarmi, di non 
farmi prendere dal panico e di capire finalmente cosa mi stesse capitando. Strinsi gli occhi più forte come a voler 
cacciar via le cose brutte, come a volermi nascondere dietro le palpebre. Finalmente tutto scivolò via: il fiume, la 
cascata, il bosco, la casa bianca, si sciolsero come un dipinto sotto la pioggia ed io ero là, avevo trovato la strada 
della verità. Non sentivo più dolori, ma un forte odore acre d’ospedale e una grande stanchezza. Nuovamente e stavolta 
più convinto aprii gli occhi e quella donna che avevo forse sognato era là davanti a me, e riuscivo a sentire la sua 
voce flebile che mi diceva: «Sei sveglio, sei tornato!» E una lacrima bagnò il mio viso.

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16-02-2017 Redazione Oceano La vita è un moto perpetuo di rincorrersi per ritrovarsi; ritrovando la forza nonostante tutto, oltre ogni difficoltà che mira a lacerare le nostre fragilità.