Gente che deve stare a casa e se ne va in giro come se nulla fosse. Gente che sta a casa, ma non sa come impiegare il tempo ed invece di dire il rosario alla Madonna di Anguera, riesce solo a recitare un rosario di frasi sciocche, di giudizi cattedratici. Gente che dice anche cose equilibrate, dimostrando di non aver smarrito razioni di raziocinio presso l’ufficio delle cose perdute. Virologi in televisione che “litigano” con i numeri, le previsioni, i picchi, le curve, l’aggressività del virus, per alcuni da leone e per altri da gattino, la paternità di una scoperta, il merito di una sperimentazione. Esperti in disaccordo quasi su tutto, tranne che “dobbiamo lavarci le mani”. Cent’anni di scienza per un mantra che nel 1984 mi ripeteva la mia bisnonna “devi lavarti le mani”.
L’ipocrisia ha un casino di codici: è simpatico sentirsi dire da chi fino ad una decina di giorni fa, stava nel partito dei “che te le lavi a fare le mani, non farai mai gli anticorpi”, al movimento del “hai lavato bene le mani?”. Esiste un crinale da qualche parte, se non altro, sul buon senso, dove ci si deve incontrare, perchè una via di mezzo ci deve essere fra bufala e verità, torto e ragione, unto ed untore, meriti e demeriti, diritto d’autore e diritto di imitare. La storia del mondo è piena di catastrofi; quante volte abbiamo pensato che una di quelle fosse il capolinea dell’esistenza umana? Ricordate il terrore dell’anno mille? Ricordate cosa si diceva del duemila? Come dimenticare le guerre mondiali, la guerra del Golfo, le torri gemelle, i terremoti, tsunami. Non serve a niente riavvolgere il nastro fino alla seconda metà del trecento per scomodare la peste nera, basta non resettare Fukushima, terra dei fuochi, Exxon Valdez la petroliera che si incagliò sulla secca di Prince William versando 40,9 milioni di litri di petrolio greggio sulla costa asiatica dell’Alaska. Morirono 250.000 uccelli marini, 2.800 lontre, 300 foche, 250 aquile di mare, 22 orche e miliardi di uova di salmone e aringa. Un ecosistema completamente distrutto. Come dimenticare Chernobyl. E che ne dite del disastro della fabbrica di pesticidi in India, e precisamente, in quel di Bhopal? Vi dice qualcosa? Ai più, probabilmente niente.
È qualcosa di così lontano nel tempo e nello spazio. Così lontano da noi. Il dolore degli altri è appunto il dolore degli altri, non ci tocca. È qualcosa che si legge sui giornali, nei libri di storia, si apprende in televisione. Ma non ci appartiene, perchè l’uomo una cosa “bipolare” la sa fare benissimo: mettersi nei panni degli altri a parole, restare a fatti nei propri comodi indumenti. A Bhopal morirono più di quattromila persone e almeno cinquantamila furono i contaminati con danni gravissimi che portarono a cecità ed insufficienze renali. I libri di storia e di letteratura narrano di pandemie, catastrofi, guerre, carestie, sofferenze, dolori. Sta tutto scritto in pagine che troppi ignorano. Un po’ perchè non si legge abbastanza ed il problema, batti e ribatti, risiede sempre nell’ignoranza (talvolta anche titolata), ed un altro po’ per un misto di strafottenza e superbia; in fondo, credente o non credente, mi pare ovvio che l’uomo abbia sempre ambito a sostituirsi a Dio e che questi rappresenti per molti una sorta di portafortuna a chiamata, un “aspirina” al bisogno.
Troppi i filosofi e i maestri di vita, qui nessuno è nella condizione di insegnare niente, soprattutto quando il materiale didattico è degli altri.
Questa non è la fine del mondo, ma un’altra tappa del declino e se ci sembra l’ultima stazione è solo perchè ci riguarda da vicino. Finora, siamo stati abbastanza spettatori, di quello che da anni avviene nel mondo: malattie, guerre, tribolazioni. Ma lo spettatore è la parte inattiva del film che si va proiettando e per quando empatico, resta pur sempre l’individuo che guarda. Il dolore nelle immagini non è il tuo dolore. “Resta a casa” dovrebbe andare di pari passo con “Resta responsabile”, non mi convince molto lo slogan “Restiamo umani”, in virtù (ma dovrei dire in colpa) dei troppi errori ed orrori seminati nei secoli dall’uomo. In un esercizio di umile riflessione, non riesco proprio, a puntare il dito come fanno in tantissimi, contro quelli che sono scesi dal nord al sud, appena hanno saputo delle restrizioni. È facile giudicare da fuori, ma uno dovrebbe mettersi nei panni di chi, sta da solo fuori sede, magari convive con altre cinque o sei persone con cui divide pochi metri quadrati. Uno dovrebbe stare nella testa di queste persone, frequentare la paura che assale quando si presenta alla porta l’incerto, il senso di ansia e di smarrimento.
Non facciamo i filosofi e maestri di vita perché qui nessuno è nella condizione di insegnare niente, soprattutto quando il materiale didattico è degli altri. L’unica cosa che possiamo fare è cercare di capire, di comprendere come si è arrivati fin qui, dove si è sbagliato. L’unica cosa che ci resta è remare tutti nella stessa direzione, senza divisioni (che purtroppo ancora si vedono), senza fare i fenomeni alla tastiera. Ci resta da ringraziare tutti quelli che si stanno dando da fare per risolvere questa crisi. Ci resta da restare a casa, da invitare gli altri a restare a casa, da cercare di essere costruttivi. Ci resta da non giudicare, da comportarsi in modo responsabile, da non dire troppe stronzate. E poi, resterebbe una via, la più imprevedibile e salvifica di tutte: assentarsi da se stessi. Assentarsi da se stessi è la più alta capacità d’amore che si potrebbe raggiungere.
Il virus perderà la corona (a patto che tutti rispettiamo le regole) e non so perchè, ho la sensazione (immotivata) che se ne andrà così come è venuto, inaspettatamente e all’improvviso. Dispiace per le sofferenze, per i morti, per tutto quello che sta succedendo. Ma non ci sarà un prima e un dopo questo avvenimento; probabilmente ci si laverà più spesso le mani e si comprerà più Amuchina, ci sarà l’emozione nei mesi a seguire, il grande dolore ed senso di vuoto di chi ha perduto i propri cari. Alcuni cambieranno atteggiamento (forse), altri continueranno ad errare, accelerando sempre di più il declino. Perché, vedete, se c’è una mezza cosa che ho capito dell’essere umano è proprio questa: non impara dagli errori e dimentica in fretta.