Per scrivere del Trittico della Memoria di Vittorio Sereni è importante inquadrare la sua persona brevemente. Vittorio Sereni è una delle voci più rappresentative del panorama letterario novecentesco in Italia. Inquieta e irrisolta, la sua opera poetica registra i movimenti, intimi e non, che accompagnano il prepararsi del secondo conflitto mondiale, gli anni della guerra e il periodo postbellico.
Chiamato alle armi nel 1941, nel luglio del ‘43 viene fatto prigioniero a Trapani dalle truppe Alleate insieme al suo reparto e trasferito in Nord Africa: iniziano così due anni esatti di prigionia, dal 24 luglio 1943 al 28 luglio 1945, che Sereni trascorre tra Algeria e Marocco, perennemente attanagliato dalla sensazione di essere stato tagliato fuori dalla Storia, dalla Giovinezza e dalla Vita. Questa sensazione si traduce nel patologico senso di colpa dell’avere vissuto la guerra, e quindi la Storia, soltanto “dal margine”, senza davvero prendervi parte. Questa sensazione di estrema inadeguatezza, nota dominante del successivo discorso poetico di Sereni, non verrà mai superata e assurgerà, anzi, a cifra identitaria dell’uomo e del poeta. La poesia di Sereni, infatti, non pretende mai di farsi portatrice di istanze universali: il suo percorso poetico assorbe e stratifica significati ed emozioni generati da stimoli fenomenici esteriori.
Il Trittico, inserito nella sua terza raccolta poetica, Gli strumenti umani (1965), contiene tre liriche sull’Olocausto: Dall’Olanda, La pietà ingiusta e Nel vero anno zero in cui si affronta il tema della Shoah e del ricordo, della memoria, con riferimento al modo in cui lo sterminio ebraico e i lager agiscono, con il loro orrore non obliato, sul presente, in Europa, Germania compresa, la quale tende a rimuovere il suo passato sommergendolo in una vocazione per i traffici e i commerci, da cui si aspetta un riscatto, che sarebbe però, ove concesso, indulgenza eccessiva (“pietà ingiusta”). Facente parte della sezione Gli incontri e le apparizioni, nelle poesie si manifestano ombre, figure poetiche che sono lungi dall’essere risolutive, che non propongono nessuna verità se non quella, banale, dell’esistenza.
Dall’Olanda si divide in tre parti (Amsterdam, L’interprete, e Volendam), e si configura come tre soste di uno stesso percorso attraverso la città di Anna Frank fino a una località di pescatori (Volendam). Il viaggio del poeta inizia da Amsterdam, agglomerato urbano, che si specchia nei suoi canali e moltiplica il suo volto urbanistico nell’acqua, al pari dei ricordi che vi si legano. Qui Sereni ha modo di dialogare col suo compagno di viaggio sull’importanza della memoria, che non è soltanto quella “privilegiata” di Anna Frank, che ha potuto scrivere un diario sul suo dramma, ma anche quella di quanti “crollarono per sola fame”, senza lasciare alcuna traccia su carta. In tutto c’è la memoria con le sue ferite ancora sanguinanti.
La pietà ingiusta, poesia baricentrica de Gli strumenti umani, è testo rivelatore. Sereni si chiede se si possano rimuovere colpe e responsabilità storiche: no, la memoria non può essere cancellata, sopratutto da un contratto commerciale!
Nel vero anno zero, in un dialogo pieno di reticenze e sottintesi tra l’Io e un secondo personaggio, ancora una volta si smemora l’orrore dei campi di concentramento, li si nega fino all’inesistenza, giungendo a “ingoiarli” come farebbero le belve.
La profondità poetica e umana di Sereni ha un fondo drammatico, tragico, anche se il poeta possiede una fermezza esemplare che gli fa ben sperare di essere il protagonista anche di cose fuori dal proprio controllo. Sereni è stupito e amareggiato dalla consapevolezza del tutto impazzito, dimenticato, ma non ne accetta lo smacco. Non vuole essere escluso dalle cose che decidono per lui. È inquieto, insoddisfatto in maniera cosmica. Non vuole cedere. La sua sofferenza è grandiosa, insuperabile per intensità e varietà. Il suo dolore è, però, costruttivo e il suo disincanto è suggestivo incanto.