Essere a casa, sempre, uno stato mentale, diverso dagli spazi abitativi, dai recinti strutturali, dalle pareti addomesticate da regole comportamentali, interne/esterne, ordinarie/disordinarie, appartenenti a un arredo che esula da necessità effettive.
Sì, sono a casa.
Così come l’oggetto, posizionato tra me e la finestra a riempire un vuoto che non avrei considerato se oggi non mi fossi accorta che tra me e la finestra esistono ostacoli, opportunatamente delimitanti, per non cedere alla tentazione di prendere troppe boccate d’aria.
Solo ieri l’aria era un bene scontato e ne facevo scorpacciate ignara, tranne poi infilare due dita in gola e spargerla in una sola parola. Bulimica per eccesso, ogni volta che volevo sentirmi ad alta quota.
E bastavano due dita come sempre per liberarmi dell’eccesso. L’aria continua ad avere il suo aspetto seducente, ammaliante, un richiamo erotico il profumo dell’erba – umida quanto basta – a cui è difficile sottrarsi; mi guarda, mi tenta. Cedo.
Spoglio la ragione, il pensiero scivola sul pavimento, le caviglie mimano una danza, con un gesto estremo di noncuranza getto lo slip nella vasca, dove differenziare i bianchi dai colorati.
E mi amo, e amandomi ti amo.
Dopo l’amplesso la fame; continuo ad accumulare oggetti.
Non contano le dimensioni, le forme, la consistenza, fondamentale è che sbarrino il cammino verso la finestra e quel cielo villano che offende la vista in catene. Il latrare di un cane giù in strada mi parla. Ci comprendiamo, ho qualcuno con cui conversare. Inizio a latrare, l’unico modo per farmi ascoltare.
Per un po’ dimentico la finestra. Gli sprazzi di luce rimbalzano contro la cornice troppo grossa, l’argento troppo argento, tornando al mittente, senza che ne avessi avvertita la carezza.
Ciò che è scontato era considerato vano e chi se ne importa se dal divano che non ho mai usato i libri si sono accumulati.
Tiro le tende al tempo, le ombre assumono pose meno arcane. Posso toccarle con mano ora che sembrano più chiare.
Son capitati giorni in cui la finestra non è stata neanche aperta, lasciando fuori la luce dei lampioni, pensando che la sera non avesse che il buio da mostrarmi, troppo lontano dal led sospeso sulla tavola piena – sempre di troppo argento – apparecchiata per la cena, appena dopo il pranzo e un po’ prima della colazione fuori dal letto.
Il letto… ahha, dicono serva per dormire o per svegliarsi prima che sia troppo tardi; alcuni lo utilizzano per cose strane, cose da umani, quando conviene mettere in vista il cuore come fosse un quadro d’autore. Intanto resto a casa.
La finestra sembra solo una finestra, meno ostile. Resto, lo devo a me stessa, lo devo a chi amo, a chi mi ama. Poi, torneremo insieme a guardare il mare.
Torneremo ad amare. E ci accorgeremo che la finestra era sempre rimasta aperta. Noi, prigionieri di noi stessi.