Emmanuel Mounier (Grenoble 1905 – Parigi 1950) è stato un filosofo e giornalista francese; è con lui che nasce il Personalismo, una dottrina filosofica che, per Mounier, non è né una ideologia né una filosofia accademica. Il Personalismo ruota attorno al concetto di persona, ossia è una filosofia della persona in sé stessa. In questo senso è stato un rivoluzionario, amante di un ordine nuovo, strutturale e interiore ed è stato il più fedele sostenitore della tradizione viva contro le falsificazioni e le degenerazioni del “mondo moderno”.
Emmanuel Mounier, con M. Péguy e G. Izard, fondò nel 1932 la rivista Esprit che divenne espressione di divulgazione delle sue idee innovatrici.
Mounier sosteneva che per ristabilire l’ordine occorreva una rivoluzione, rivoluzione intesa non solo come sconvolgimento delle strutture, anche come trasformazione delle mentalità e del cambiamento del cuore dell’uomo. In tal senso il Personalismo propugnava un ritorno all’umanesimo cristiano e si opponeva a ogni forma di totalitarismo o collettivismo e ad ogni individualismo, specificamente si opponeva sia al marxismo sia al moralismo. Nel 1928 Mounier si trasferì a Parigi e qui risentì dell’influenza dei filosofi Jacques Maritain, Charles Renouvier e Nikolj Berdjaev. Per le sue idee a favore della resistenza francese, nel 1942 sarà arrestato dal governo di Vichy che censurerà la rivista Esprit; sarà liberato nel 1943 e solo a liberazione avvenuta della Francia riprenderà la pubblicazione della stessa rivista. Questi saranno anni di intensa attività letteraria; nel 1949 pubblicherà l’opera basilare Il personalismo. Mounier, ancora oggi, viene considerato un grande testimone del suo tempo, tanto che le sue tesi saranno considerate attualissime dallo stesso Paul Ricoeur in Emmanuel Mounier. L'attualità di un grande testimone.
Mounier terrà sempre presente la dimensione sociale della persona; per lui la persona non esiste se non in quanto diretta verso gli altri, la si conosce solo attraverso gli altri ed è solo negli altri che si ritrova. La prima esperienza della persona è l’esperienza della seconda persona: il tu e quindi il noi viene prima dell’io o per lo meno l’accompagna. Si potrebbe quasi dire che “io esisto” soltanto nella misura in cui esisto per gli altri e al limite dire “essere” significa altresì amare.
L’atto primo della persona è quello di suscitare insieme ad altri una società di persone, in cui le strutture, i costumi, i sentimenti e le istituzioni siano contraddistinti dalla loro natura di persone. L’altro è il nostro più grande rischio e la nostra più grande probabilità, rischio di inferno se la relazione si stabilisce in terza persona. L’altro diventa allora, come sosteneva anche Sartre, quello sguardo che mi fissa e mi gela, mi asservisce e mi possiede come un oggetto conosciuto, classificato, inventariato, che mi ghermisce dall’interno, ruba la mia libertà di soggetto e contro il quale non ho altro rimedio che la risposta. Lo sguardo dell’altro, ci dice Mounier, è sempre sconvolgente. In tal modo l’altro è sempre la nostra più grande probabilità, se siamo in uno stato di disponibilità. La persona non è qualcosa di dato e definito, non è un oggetto, ma è una realtà spirituale che si fa, quindi inoggettivabile.
Se lo sguardo dell’altro è ostile mi inquieta, mi sconcerta, mi chiama in causa e molto spesso, con la sua sola presenza l’altro sconvolge il piccolo inferno che mi ero fatto su misura e al quale mi ero abituato. Spesso mi capita di asservirmi, di oggettivarmi o di illudermi fino a diventare estraneo a me stesso ed è allora che l’altro mi libera e mi riconcilia. (da Che cos’è il personalismo 1945).
Queste verità sono tutto il personalismo, tanto che si usa un pleonasmo quando si definisce il tipo di civiltà cui esso tende ossia personalista e comunitaria. Esse affermano, di fronte all’individualismo e all’idealismo persistenti, che il soggetto non si nutre con un’autogestione, che si possiede soltanto ciò che si dà o ciò a cui si dà, che non ci si può salvare da soli, né socialmente né spiritualmente. (da Rivoluzione personalista e comunitaria, 1935).
Il suo pensiero è sostanzialmente cristiano, per Mounier si tratta di attualizzare il cristianesimo, renderlo disponibile agli appelli dell’uomo contemporaneo.
La comunicazione delle esistenze non è un paradiso di delizie dove ci sarebbe dato di riposarci e nella misura in cui l’uomo si rende disponibile, si trasforma in una cooperazione della libertà, che è ad un tempo l’apprendistato e il modello di questa comune fratellanza a cui l’uomo aspira. Mounier ci insegna pure che l’appello comunitario comincia con la decisione di affermarsi come persona attraverso una ripresa e un risveglio contro il sonno dell’anonimato. (da Che cos’è il personalismo, 1945).
Il primo grado della comunità è rappresentato dalla “società fra noi altri”; i gruppi politici, i cenacoli letterari, le piccole comunità liberamente scelte, fondate su affinità e abitudini comuni, danno agli individui uno stile di vita e una potenza collettiva di affermazione. Ma la comunità al primo grado, per l’angustia del suo legame, rischia di condurre alla spersonalizzazione degli individui, all’inerzia pesante del gruppo.
La comunità autentica è nella relazione vivente e spirituale da persona a persona, è comunità personalista per essenza, cioè intesa come “persona di persone”. L’ascesi comunitaria consiste in un’apertura reciproca attraverso lo scambio e il dialogo. (da Rivoluzione personalista e comunitaria, 1935).
Mounier rifiuta il sistema, ci offre un ammirevole sforzo di sintesi storica: è partito dai dati della storia contemporanea, ossia dalla fine dell’età individualista, del liberalismo capitalista e dall’apparizione delle tecniche e dell’organizzazione collettiva fino ad affermare che bisogna “arrivare al cuore” del materialismo, del collettivismo e dello spiritualismo, liberare ciò che ciascuno ha di essenziale e di fecondo; Mounier ci offre i princìpi e il metodo di una sintesi propriamente filosofica che è la sintesi personalista, la quale riconosce due ordini di realtà, quella materiale e quella spirituale che non bisogna mai separare, ma annodare.
Per concludere, il Personalismo, secondo Mounier, afferma un certo numero di valori permanenti, che sono ascritti nell’ordine della trascendenza o dell’assoluto e non sono accessibili se non nella storia concreta scritta dagli uomini.