Fin dall’inizio, i versi della silloge Il seme del piangere assumono la forma di una missiva diretta ad un’interlocutrice importante e lontana da raggiungere; come nei Canzonieri tradizionali, ed anche quelli di Dante e Cavalcanti, la poesia è latrice di un messaggio, vuole aprire un percorso di comunicazione, arrivare alla persona cui si rivolge e tende. A distanza di secoli Caproni sembra recuperare le modalità dell’illustre tradizione amorosa medievale, come per riconoscere che proprio tali modalità riescono a meglio esprimere l’assolutezza e l’uni-versalità dell’amore.
Nella letteratura italiana non c’è stata una linea continua di sviluppo di tale filone, per l’emergere di altre problematiche, sociali e filosofiche talora solipsistiche ed ermetiche. Nel Novecento le riprese, anche quando sono evidenti, risentono del clima pessimistico, carente di quelle fiducie salvifiche che l’amore era solito concedere. In Caproni si assiste ad un vero e sorprendente recupero della lirica tradizionale con i suoi stilemi e rituali. Eppure anche Caproni non è poeta atto a riscoprire fedi e certezze, perciò la sezione in esame va inserita nel suo percorso poetico di uomo del nostro tempo, collocato in un territorio di confine, nel deserto della vita. Una connotazione in tal senso è offerta dallo scenario della morte della donna, che non può mancare nella Vita Nova di Caproni: Dante, colto dall’evento della morte di Beatrice, va a contemplare la sua donna e la trova serena, composta in pace; la bellezza non è stata compromessa, ma esaltata da quella pace che prelude all’eternità, e sembra invitare allo stesso godimento anche il poeta, cosa che effettivamente avverrà al completamento del suo viaggio di missione. La morte di Annina, nella lirica di Caproni, non si offre alla serena contemplazione, non promette certezze esaltanti, ma dà smarrimento ed angoscia. Lei appare sola, miseramente vestita, si trova, e non sa come, in una stazione ad attendere un treno che è la rapina della sua vita, viene da lontano e porta lontano, nessuno sa come e dove, come il destino che impone e separa da tutto quanto il passato. Tutto viene inghiottito da una nebbia crepuscolare, che simboleggia il nulla, il segreto inquietante del mondo.
Il Canzoniere, pertanto, riporta al gusto di Caproni per le ambientazioni solitarie, sbalzate fuori da ogni familiare consuetudine e da ogni umano habitat. In questo territorio abissale si conclude la vita di Annina, nell’attesa di qualcosa simile al nulla che dovrà rapirla.
Ma la domanda di fondo, nel Canzoniere di Caproni, riguarda proprio Annina: chi è questa donna cui viene dedicata la sezione lirica e a cui sono destinate le canzoni? Lo apprendiamo nell’ultimo testo, quando Caproni aggiunge alle formule della missiva il senhal dell’identità: qui il figlio dichiara il suo amore alla madre e fa fretta alla canzone perché arrivi in tempo ad annunciare questa dichiarazione. È la prima volta che un Canzoniere d’amore viene dedicato alla madre con i toni e le espressioni ricorrenti in questa poesia. Questa espressione, inedita nella storia della cultura, ci riporta ai primordi, quando la società preedipica non aveva ancora posto la censura sul gruppo parentale, fissando i limiti dell’eros e spostando le scelte amorose all’esterno del gruppo. La tragedia greca (L’Orestea, Edipo, Fedra) testimoniano il passaggio dal clan familiare ad una più ampia convivenza civile. Freud indaga sugli arcana del passaggio dal mito alla storia, sul costituirsi della società civile come superamento degli egoismi parentali, ma anche come fonte di nuovi disagi. Vernant e Vidal-Naquet (Mito e tragedia), nello studio dell’Edipo, richiamano le interpretazioni allegoriche della vicenda implicite nel nome stesso del protagonista come richiamo alla sua deformazione ai piedi; la zoppia voleva significare ogni arbitrio ed evasione dalla norma, politica o etica esistenziale; Edipo, uccidendo il padre, sposando la madre, diventando tiranno di Tebe, poteva riassumere in sé tutte le possibili trasgressioni, veicolate attraverso la liturgia della tragedia.
Sembra che, pur nel filtro della forma poetica, certi elementi del vissuto arcaico riemergano, in un tempo in cui si incrinano le certezze e si interrogano le zone dell’inconscio. Caproni è il figlio del suo tempo, non alieno da nostalgiche discese nel profondo, verso gli eventi della ripetitività mitica. La madre, nei suoi requisiti di generosità ed arcana chiaroveggenza, diventa il simbolo naturale appagante e multiforme, capace di superare gli idoli della moderna società civile. Pirandello riscopre il mitico ed originario vincolo tra madre e figlio, diffondendolo nel mondo per sostituire i falsi idoli delle culture del progresso. La protagonista dei Giganti della montagna, l’attrice Ilse, intende portare a conoscenza di tutti la Favola del figlio cambiato, svolgendo una sua missione di riscoperta delle radici materne dell’amore, anche a costo di sfidare l’ostilità del potere maschile. Vittorini- Silvestro non può fare altro, per colmare il suo furore- disagio, che volgersi indietro per ritrovare, dopo varie tappe, una figura di madre patriarcale e sapiente, pronta ad accogliere il figlio e a ricondurlo nell’alveo autentico della vita. (Conversazione in Sicilia). In Proust a dare senso all’insicurezza di Marcel sono le figure femminili della sua famiglia, la madre e la nonna che fluiscono l’una nell’altra, offrendo protezione e filtrando nella dimensione onirico-memoriale il dolore della vita.
Così la madre nella poesia di Caproni ripete l’essenza e la pienezza del simbolo affettivo, recuperato dalla filosofia e psicologia contemporanea. Annina è immagine terrestre, colta nell’’imprescindibile processo naturale di vita e morte, avulso da residui di aspirazioni soprannaturali. Il figlio vuole farle pervenire il suo messaggio d’amore prima che sia troppo tardi, prima che il treno- destino la prelevi dall’ultima stazione della sua vita, con l’ansia perfino che la canzone non possa giungere a tempo. Non esiste speranza di un dialogo oltre la morte, né che Annina da una dimensione superiore possa vegliare su di lui. Il vincolo viene riscoperto nella sua ciclicità naturale, con il suo termine destinale come nel mito classico.
La silloge si concentra sulla figura di Annina e, disseminando nei versi la lode alla ragazza eccellente tra le altre, rivede le tappe più rilevanti della vita come a voler tracciare le file di una memorabile biografia: succedono nella narrazione il fidanzamento, le nozze, l’attività lavorativa, la morte. La maggior parte delle liriche scandisce il passaggio di Annina tra “tradizionale ritualità salvifica” e la concreta vitalità di una giovane ricamatrice che attraversa la vita fiera del suo lavoro, della sua freschezza, della sua agilità. I titoli stessi (L’uscita mattutina, Né ombra, né sospetto, Quando passava, la gente se l’additava, Sulla strada di Lucca, La ricamatrice, La stanza, Scandalo) indicano le fasi della sua giornata, dall’uscita mattutina, alle volate in bicicletta, al ticchettio lungo le strade, alla stanza del lavoro. Il passaggio traccia una scia di luce e gentilezza, ma con tratti di vivacità e concretezza, che discosta il nostro poeta dalla mistica staticità della poesia stilnovistica. Tutti gli atteggiamenti di Annina sono accompagnati dalla meraviglia del poeta. che è solito seguire le sue immagini con espressioni esclamative introdotte dal “come”. Risalta la spiritualità della Prima Preghiera, in cui il poeta, come Cavalcanti, si rivolge alla sua anima, la manda in cerca di Anna Picchi e si confida a lei con i toni dolci e tenui, adeguati alla leggerezza, appunto, dell’anima. Risalta anche l’Ultima Preghiera, in cui raccomanda all’anima di avere fretta, di non aspettare, di non lasciarsi sviare lungo la strada, di essere attenta a riconoscere lei tra le altre per i suoi segni distintivi, lo scialle nero e la gonna verde. Al poeta non interessa solo la lode, ma la rivelazione di una vita che ora si confessa tutta e non può più rinviare la confessione. La confessione è il bilancio di tutta la sua vita: dall’infanzia in cui l’amore si è fissato, alla giovinezza in cui l’amore materno e naturale viene sviato da altri amori, al pentimento e al ripristino. “Sospiro… rimorso... arrossire… “costituiscono la sequela di stati d’animo preparatori alla chiarezza del finale rivelatorio, con la reiterazione di “suo figlio, il suo fidanzato”, densa degli arcana dell’amore. Poi la tensione della preghiera si placa e le rime potranno avere il loro congedo. La vita, quella della madre e del figlio, sembrano ricomporsi in unità, solo l’inizio e la fine della vita possono attuare tale miracolo. Tutto il resto, come accade tra Vita Nova e Divina commedia, è traviamento e deviazione.
Sull’inedita dichiarazione d’amore del figlio poeta alla madre si concentra Leonardo Cecconi, in una sua lezione agli studenti dell’Università di Aarhus; in un’intervista rilasciata Caproni presenta le sue parole rivolte alla madre come segno di devozione e di pentimento del figlio maturo che si è comportato nella vita come gli altri, abbandonando la madre, anche nel periodo della malattia, per affrontare la sua vita e formare la sua famiglia. Questo chiarimento collima con il clima purgatoriale del XXXI canto, citato in esergo: si evince il pentimento comune ai due poeti per aver abbandonato l’amore vero della giovinezza innocente in nome di altri più futili amori. Questi versi, che contengono la più grande manifestazione d’amore filiale nella letteratura, certamente fanno emergere il sospetto edipico e nello stesso tempo lo superano con la capacità demiurgica dell’arte di abbattere i limiti del tempo, rendendo possibile e presente ciò che è impossibile nella realtà.
Anche nella lirica L’ascensore il poeta incontra la madre morta e le manifesta il suo amore, ancora una volta dichiarandosi suo fidanzato; lassù sull’altura di Castelletto, egli si trova con lei appoggiato alla ringhiera a guardare le luci sul mare della città e gode di una serenità non provata in nessun’altra occasione. Sarà la madre stessa ad ammonirlo di ridiscendere per tornare presso la sua famiglia; il ritorno alla realtà, espresso con una serie di “dovrò”, indica che questa dimensione spirituale ed elevata dell’amore per la madre si pone al di sopra degli altri amori, così come l’altura di Castelletto rappresenta una specie di paradiso superiore alle vie, allacase, alle realtà tutte della città sottostante.
Da questa lettura dei versi del Seme del piangere emerge l’amore di Caproni per la madre, un amore che nonostante la concretezza tutta terrestre della figura femminile, colta nell’ambiente della sua città, viene idealizzato dalla cornice poetica. Anima-amore-poesia si fondono, come in tutta la grande lirica amorosa, a partire dall’amore di lontano, coniato da Jaufré Rudel e raffinato dalla successiva lirica italiana. Se Saba poteva aver nostalgia dell’amore sensuale recitato da Dante nella coppia di amanti, Paolo e Francesca, lamentando la smaterializzazione petrarchesca, la poesia ha sempre svolto il suo ruolo nel distacco dalla materialità dei sensi, affinando le passioni, elevandole platonicamente, ponendo limiti al godimento sensuale, sublimando la sfera dei desideri nell’amore di lontano.