Ode estorta da una rosa |
Scriverne ancora, come d’una terra brulla, d’una zolla da dissodare come d’un seme in balia dei corvi? Stillarne voce nuova, è mai possibile? Febbraio è il più lungo dei mesi, inganna la brevità incolmabile di giorni il brillare dell’alba sulla brina il falso illanguidirsi delle spine il loro farsi forma, geometria chiaro accento da sillabe di buio. E’ verso che si tempra di rugiade balsamo di piogge, scroscio d’attese. Rosa, ti canteremo all’ombra illesa di scarne siepi, al margine d’asfalto fiorita per caso fra i lazzi del vento tra rifiuti o tra macerie di fabbriche, affare di poche lire ai semafori o lusso alle vetrine di metropoli, guardiana sul crepaccio degli estinti o mutila in un vaso di cristallo, rossa scia su rovescio di palpebre o pegno nelle mani d’una sposa. Non si resiste alla lusinga metrica del ritmo che s’avvolge lieve ai petali al nulla d’un profumo, a rime facili antico sortilegio della lirica. |