"Il seme del piangere", dedicato alla madre Anna Picchi, l’indimenticabile Annina protagonista del libro, è uno dei punti più alti in assoluto che la poesia italiana del Novecento abbia toccato
Fin dall’inizio, i versi della silloge Il seme del piangere assumono la forma di una missiva diretta ad un’interlocutrice importante e lontana da raggiungere; come nei Canzonieri tradizionali, ed anche quelli di Dante e Cavalcanti, la poesia è latrice di un messaggio, vuole aprire un percorso di comunicazione, arrivare alla persona cui si rivolge e tende. A distanza di secoli Caproni sembra recuperare le modalità dell’illustre tradizione amorosa medievale, come per riconoscere che proprio tali modalità riescono a meglio esprimere l’assolutezza e l’uni-versalità dell’amore.
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La forma del dialogo trova un grande sviluppo nella cultura, sia come genere letterario autonomo che come elemento interno alla comunicazione narrativa. Il dialogo fu nell’antichità greca la forma letteraria per il discorso filosofico, acquistando caratteri e finalità particolari; Platone traspose in dialogo il dibattito investigativo socratico, mantenendo la vivacità drammatica dell’oralità scelta dal Maestro. Esso si proponeva il conseguimento della verità, attraverso il confronto delle opinioni e l’osservazione della realtà. Da esso nacque il metodo dialettico, tipico del dibattito filosofico alla ricerca della verità, anche quando il dialogo rimaneva aporetico. Il dialogo animò anche altre forme letterarie, come l’epica di Omero e le parti narrative dei generi teatrali. Nella tragedia gli attori e il coro rappresentavano la vicenda mitica secondo le varie modalità della comunicazione. Passavano dalla rhesis e dal resoconto di eventi in forma indiretta alla responsione dialogica attraverso battute brevi di pochi versi(sticomitia), o addirittura di emistichi dimezzati (antilabè). Con il dialogo nelle sue varie forme, veloci o rallentate, venivano evidenziati il carattere dei personaggi nel divenire degli stati d’animo e il percorso progressivo della vicenda.
Anche il poeta-scrittore ha un suo laboratorio e non si deve assegnare questo termine solo all’attività più materiale e pratica dell’artigiano e dell’uomo di scienza; la stessa poesia, dal greco poiein, indica un fare, un creare e produrre qualcosa che prima non c’era; alla stregua di un artigiano e di un tecnico, il poeta svolge un lavoro e con le sue mani dà alla luce un’opera.
Il libro-intervista di Licio Di Biase ed Enrico Vaime. I due intellettuali ricostruiscono la personalità di Flaiano
Il libro è pensato come intervista di Licio Di Biase ad Enrico Vaime , con l’intento di ricostruire, attraverso il dibattito, la personalità di Ennio Flaiano.
La cultura odierna, per allargare i suoi orizzonti di ascolto, sceglie il dibattito, la tavola rotonda, la relazione di libri, l’intervista all’autore o sull’autore, forme relazionali più gradite al pubblico attuale. Le figure reali presenti al dibattito, la scansione delle voci e dei caratteri, permettono un consesso familiare e non austero come invece appare l’universo di un libro. Il testo-intervista presenta anche la forma letteraria del dialogo tra due interlocutori che agiscono alla pari, mossi dallo stesso intento di riproporre un’immagine di Ennio Flaiano a tutto tondo, come l’intellettuale più acuto e significativo dell’Italia del secondo Novecento