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Il mondo, dalla sua creazione, ha posto il problema della sua salvezza, evidenziando la sua entità fragile non eterna ed assoluta, bisognosa, quindi, di cure per resistere e sopravvivere. Eppure la sua varietà e bellezza che, come un velo di Maia attraggono la nostra attenzione, si sono identificate con la felicità, come a dire che tanta bellezza è stata creata per la contemplazione dell’uomo e, senza uno sguardo contemplante, perderebbe il suo significato. L’uomo, quindi, si è posto come suo obiettivo la felicità nel mondo, godendo di tutte la sue risorse, sia dal punto di vista edonistico con il piacere dei sensi, sia in quello utilitaristico cercando la nutrizione e la sopravvivenza.
Intere epoche hanno sviluppato questa ideologia della felicità e del paradiso attingibile sulla terra. Di fronte a questo diritto alla felicità, considerato ovvio ed evidente, non solo si sono costruiti apparati e Costituzioni, ma, quando si intravvedevano ostacoli e difficoltà che la allontanavano, si imponevano sacrifici dilazionati nella storia per la certezza nel futuro.
A. Camus, in L’uomo in rivolta, ripercorre tutta la scia delle rivolte, metafisiche e storiche, affrontate con la sofferenza dell’umanità per la conquista della felicità futura. Un futuro che avrebbe dovuto riportare all’armonia del passato primo in una sorta di “revolutio”, e che, invece, nel corso della storia perdeva sempre più l’idea salvifica in una scia di guerre e violenza.
Ma i miti contenuti nelle scritture fondamentali dicono anche che il mondo fu affidato all’uomo, perché potesse governarlo e, contemporaneamente, servirsi delle sue ricchezze; quindi il Creatore ebbe fiducia nella sua creatura più perfetta e più simile a Lui, identificando, nel Suo intendimento, la felicità con il buon governo.
Quindi, dall’uomo dovevano dipendere la salvezza e la cura del mondo, ma, sempre secondo il mito, questa fiducia fu mal riposta e più volte ci fu bisogno di un intervento superiore per correggere errori e deficienze umane, che avrebbero portato alla rovina del creato. Le accuse, che potevano essere rivolte all’uomo erano di vario tipo, ma, più che nell’insufficienza e incapacità, vertevano in un vizio di cui l’uomo non é stato mai in grado di emendarsi, quello della superbia e prepotenza, chiamato in greco con un vocabolo ben più pregnante e polivalente, Ybris.
Egli non si accontentava mai della sua posizione e dei doni offerti dalla divinità, e la sua scontentezza poteva trasformarsi in ribellione e smodato desiderio di altro. I testi sono pieni di questa nota caratteriale dell’uomo, da quelli sapienziali e sacri a quelli moderni interessati al tema antropologico ed esistenziale. Si possono menzionare, oltre al noto racconto biblico, i miti riportati da Platone nel Politico e nel Crizia.
Nel primo dialogo il mondo funzionava perfettamente finché era diretto dal timone del Dio, ma, lasciato alla sua autonomia, cambiava percorso, allontanandosi sempre più dai primi dettami, richiedendo, così, un intervento correttivo: Questo nostro universo talora è il dio stesso che lo guida e lo accompagna nel suo ruotare; talora, invece, lo lascia libero... esso allora, di nuovo, muovendosi da sé, gira intorno all’incontrario... separandosi da lui, nel tempo che è più vicino alla separazione, riesce a compiere sempre tutte le cose molto bene, ma, man mano che il tempo procede ed in lui nasce una dimenticanza maggiore... ad un certo momento degenera... ( Platone: Tutti gli scritti, Rusconi, Politico: 269D- 273 A ).
Nel Crizia viene riportata una storia di molte migliaia di anni addietro e ormai ignota per via dei cataclismi ciclici che hanno cancellato le civiltà, la storia della mitica Atlantide. Questa terra, posta nell’Atlantico oltre le colone d’Ercole, fu vasta e feconda, finché rimase fedele alle direttive di Poseidone e dei suoi discendenti, ma, con il passare del tempo, si allentò la componente divina dell’umanità e si affermò l’elemento umano, imperfetto e debole; il trapasso significò la corruzione del genere umano di quell’isola, con il prevalere dell’avidità e dell’eccesso, e quindi la rovina stessa: Come la parte che era in loro divina andò scemando- e ciò era dovuto alla continua mistione con la prevalente componente umana...persero la capacità di dominare la ricchezza..in una parola degenerarono... (Platone: Tutti gli scritti, Rusconi, Crizia, 121 A-C )
Anche Leopardi, nel primo dialogo delle Operette Morali, La storia del genere umano, presenta le varie tappe evolutive dell’uomo in chiave mitica, accentrate intorno al rapporto tra l’uomo e gli dei: l’uomo sempre desideroso di cambiamenti, gli dei premurosi e pronti ad assecondarlo, fino all’ultima richiesta, quella della conoscenza che lo avrebbe privato delle naturali immagini consolatrici: In progresso di tempo tornata a mancare la novità, e risorto e riconfermato il tedio e la disistima della vita, si ridussero in tale abbattimento... che nascendo alcuno, si congregavano i parenti a piangerlo...Giove fatto accorto della propria natura degli uomini, e che non può loro bastare, come agli altri animali, vivere ed essere liberi da ogni dolore..., anzi, che bramando in qualunque stato l’impossibile, tanto più si travagliano... in ultimo volendo con un incomparabile dono beneficarle, mandò loro alcuni fantasmi di sembianze eccellentissime e soprumane.. e furono chiamati Giustizia, Virtù, Gloria, Amore... Era tra quelle larve… una chiamata Sapienza. Questa aveva promesso e giurato ai seguaci di voler mostrare la Verità.. essere un genio grandissimo sedere cogli dei nel cielo... Laddove agli immortali ella dimostrava la loro beatitudine, discoprirebbe agli uomini ..dinanzi agli occhi loro la infelicità. (Operette Morali, La storia del genere umano, passim).
Anche Italo Svevo, nel finale de La coscienza di Zeno, ragiona sulle caratteristiche identitarie della vita umana e sulla corruzione, che, di desiderio in desiderio, di invenzione in invenzione, ha inquinato alle radici il mondo, tanto che si può solo ipotizzare l’esplosione del nostro pianeta per una sua rigenerazione. Già Dante appare perfetto profeta a proposito della nostra problematica, articolando il suo disegno narrativo sulla devianza dell’uomo dalla via retta tracciata da Dio e sull’imperfetto governo delle due guide somme della storia.
Accanto al progetto della felicità, come diritto imprescindibile dell’uomo, in una visione antropocentrica che lo rendeva sicut deus, si poneva, quindi, una problematica ben più complessa sulla quidditas di questa felicità, sulla sua stessa imprescindibilità. Era poi vero che l’uomo aveva nel mondo una posizione centrale e cosa significava tale centralità? Significava dominio legato ad un’idea di superiorità sugli altri enti, o convivenza e solidarietà? Significava possibilità di perfetta comprensione delle leggi del mondo per poterle governare, o consapevolezza dell’indecifrabilità di un organismo, che appare sempre afferrabile e sempre lontano dalla dimensione umana, ammantato da una sempre residuale opacità? A questi interrogativi in antitesi fanno eco risposte parimente antitetiche della scienza e tecnologia da una parte, della poesia filosofia dall’altra, cioè del sapere scientifico realizzato nel campo politico e tecnico e del pensiero poetante o poesia pensante dall’altra. Vengono subito in mente la poesia di Leopardi e Montale, il cui pensiero in poesia dimostra l’assurda indecifrabilità della natura, di quel complesso meccanismo che si chiama mondo con il suo connesso malum mundi.
Il problema della salvezza si è posto fin dalla sua creazione, se osserviamo come il timore della sua fine aleggia nella Scrittura biblica, creando un critico rapporto tra l’uomo e Dio; l’uomo doveva sempre porre attenzione nel venerare adeguatamente Dio ed ottemperare alle sue leggi, anche se, nella sua imperfezione, si dimenticava di farlo e si abbandonava ai piaceri idolatrici; di qui un dialettica di insicurezza e di fiducia attraversa la storia biblica, che è storia di stretto rapporto tra uomo e Dio nel segno della dipendenza- convivenza. La dipendenza era dovuta al fatto di sentirsi inferiore e bisognoso di intervento dall’alto per correggere il suo operato, anche con l’apporto di leggi e comandamenti, che dovevano funzionare come guide didascaliche ed illuminanti. Lo stesso messaggio proviene dai miti di Platone, introdotti a bella posta, per rendere chiara la teoresi filosofica. Nonostante l’evolversi della scienza politica, nel corso della storia non si è riusciti ad acquisire un pieno dominio della conoscenza e delle passioni e si torna a discutere se debba primeggiare la tradizione o il ritocco continuo ed innovativo delle leggi, come si ragionava , appunto , nel Politico platonico.
Questi miti a sfondo filosofico religioso richiamano alla misura e alla consapevolezza della condizione umana, a cui va riportata ogni idea di felicità. All’idea di felicità si associa quella di salvezza e le due idee si ridimensionano a vicenda; l’uomo è felice nella misura in cui può armonizzarsi con il mondo, convivere con tutte le sue varietà di vita, cogliere le sue leggi con saggezza. Il problema, allora, esula dalle sovrastrutture create dall’uomo nel fare la storia, perché riporta alle radici della creazione, al di là delle invenzioni che l’uomo vi ha sovrapposto, coprendo il tessuto originario.