In genere si definisce libertà, i modi e lo stato in cui il soggetto agisce senza alcun impedimento, interiore ed esteriore, avendo la possibilità reale di “autodeterminarsi” (Vocabulaire techinque et critique de la philosophie, par André Lalande, Presse Universitaire de France, Paris).
Tale è la dizione classica di libertà, dibattito che inizia con i greci, culla della nostra cultura ma non esente da critiche acute. E lo vedremo.
Per i Pitagorici, sino a Platone, libertà era liberarsi dalla materia, dal corpo (il corpo era prigione dell’anima ovvero soma/corpo/-sema/prigione) per raggiungere il sommo bene.
Da un lato il bene, dall’altro il male? Ma che cosa sono? Il male è un mero non-essere, un’assenza di bene, un cono d’ombra plotiniano? Il male è ciò che non si deve fare, neppure talvolta pensare? Allora esiste. Eh sì; sembra che possa esistere.
Edipo è l’occidentale errante che, con i suoi piedi piagati, attraversa le “regioni” dell’uomo. Davanti alla Sfinge egli può non rispondere: salvarsi da un orrendo destino, spezzare il fato che così lo ha pre-destinato. Ma Edipo vuole andare oltre, consumare il disegno di un’oscura divinità, non contraddirla. Diventa Re, ha gloria, domina incon-trastato dopo essersi macchiato del sangue paterno, seppur innocen-temente, si ricongiunge alla madre (quale affinità con l’Attis di Catullo). Diventa, Edipo, auto-punendosi, cie-co.
La follia di Edipo di seguire la trama della predestinazione: l’intelligenza che vuole scoprire il martirio del-l’uomo come unica soluzione. Il de-siderio del grembo materno, la nostalgia di un “paradiso perduto”, la pace effimera, il dominio su Tebe e l’uscita, poi storica di tale città dalla Storia.
Tra i plichi di posta, tutti in una volta sola, come i dolori e le gioie, mi accentro su un libro con copertina nera, elegante (la semplicità è tale) è un libro di Maria Teresa Infante; un quarto alle 3:00. Alieno ai “poeti”, mi ritrovo nelle sue parole che scandiscono le ore ossessive della notte.
Rimpianti, ricordi, refusi, stillicidio di minuti, secondi eterni, ore che non passano mai tanto piene di fantasmi, cadaveri e tu sei solo con loro, perdi ogni cognizione di te stesso, o sei forse il tuo te stesso in quegli attimi da crucifige? Quell’esortazione imperativa che gli ebrei fecero affinché il Cristo fosse messo in croce. Rimanda questo al Das Leben Jesu hegeliano: il Padre manda il Figlio in Terra ma, crocefisso, il Cristo non torna – come vorrebbe la dottrina ufficiale – al Cielo ma si dà all’uomo.