Anche il poeta-scrittore ha un suo laboratorio e non si deve assegnare questo termine solo all’attività più materiale e pratica dell’artigiano e dell’uomo di scienza; la stessa poesia, dal greco poiein, indica un fare, un creare e produrre qualcosa che prima non c’era; alla stregua di un artigiano e di un tecnico, il poeta svolge un lavoro e con le sue mani dà alla luce un’opera.
La penna è il suo strumento di lavoro: la penna diventa lo strumento magico che semina un seme nero su un campo bianco con una finalità produttiva (Indovinello veronese ); è quella grande asta in mano a San Girolamo ne La taverna dei destini incrociati di Calvino. Il Santo nella sua grotta, appartato dalle mura di Gerusalemme, medita sui misteri della vita e scrive, rendendo il suo scrittoio un paradigma dell’attività intellettuale. La penna, strumento quasi irrilevante, acquista un potere straordinario, piegandosi al gesto intenzionale dello scrittore e alla voce interiore che agisce in lui. Il lavoro praticato in questo laboratorio, la scrittura, è un ascolto in interiore homine ed anche una faticosa pratica artigianale per modellare dei segni che hanno la durezza di un metallo. (Dante: Purgatorio , XXVI, vv.114-117)
La difficoltà del lavoro scrittorio ci è rivelata da poeti e scrittori che ci aprono il loro laboratorio, rendendoci partecipi della loro attività. Dante è il primo nostro poeta che ci si presenta come Auctor alle prese con una materia difficile da forgiare e non corrispondente alle fragili doti umane: il poetare per lui è un mettersi in ascolto della voce di Amore che gli parla e detta le parole all’interno; il poeta, per ben recepire l’ascolto, deve purificare il suo animo dalle ansie della vita materiale e cercare di tradurre in segni esterni l’evanescenza della voce spirituale, (Purgatorio , XXIV, vv.52-54). Rendendosi conto delle difficoltà della navigazione artistica, avverte quanti sono sprovvisti di entusiasmo o doti di non presumere di seguirlo, rivelandoci peraltro l’ineffabilità dell’Oltranza colta per dono divino, ma non traducibile se non in minima parte (Paradiso : II; vv.13-33).
Anche il Racconto italiano di ignoto del novecento , pubblicato da Dante Isella, ci fa entrare nel laboratorio di Gadda e nello scheletro del romanzo che si appresta a scrivere: emergono i dubbi dello scrittore sulla focalizzazione da adottare, che non potrà mai essere la guida onnisciente dell’Autore in una realtà magmatica che si riversa nella scrittura. Anche alcune parti dell’opera di Ariosto sono simulacri della realtà; su queste ridotte miniature tipiche di un laboratorio, secondo Baldi, l’Autore lavora ai fini di una ricognizione degli elementi del mondo. (Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria: Dal testo alla storia, dalla storia al testo ). Proprio per tali caratteristiche del mestiere, il poeta non ha mai cessato di considerare la sua vocazione simile ad una missione sacerdotale che ha attinenza con la sfera del Sacro; questa missione diventa un’investitura che vanta dei diritti di riconoscimento presso la società: Dante dice di aspirare all’alloro, come una specie di diritto presso il mondo e presso il Dio. (Paradiso : I; vv 1-33)
Pur nel comune denominatore del lavoro, quindi, il poeta appare una figura speciale, che opera in un luogo speciale, con caratteristiche che dirimono e non associano: evidente è la diversità della sua figura da quella dello scienziato. Se nel Medio Evo Dante poteva rivestire la figura dell’intellettuale universale e far convergere tutte le sue conoscenze nella teologia e in essa appianare liricamente i suoi dubbi, con lo sviluppo dell’osservazione scientifica della modernità, le strade della vita intellettuale si biforcano e si specializzano; le vie della natura e quelle dell’arte si separano in una situazione di scambio, di incontro e competizione. Il poeta non rinuncia all’osservazione della realtà, sempre più fonte di meraviglia e curiosità anche per lui, ma non dimentica le sue peculiarità di appartamento, di distacco, di ricerca metafisica di un Assoluto che si offre in particolari condizioni; non cessa di essere, come afferma il filosofo Heidegger, il profeta dell’Essere che dispone l’uomo in attesa, nelle epoche di oscurità e di eclissamento.
Se lo scienziato opera in equipe e in collaborazione per un più efficace e rapido risultato, il poeta si apparta dalla società, per ascoltare un dettato che viene da lontano, da una sacralità originaria di cui la terra porta l’impronta; si tratta di quella parola originaria e vera di cui discorre Heidegger, definita (sagen, ( nell’opera (Verso il linguaggio(. Questo appartamento in veste monacale e sacerdotale, per attingere alle sorgenti del Vero, è testimoniato dallo scrittore stesso all’interno dell’opera.
Dante si appella alle Muse e ad Apollo per ricevere l’investitura dell’alloro e se ne ritiene degno per la sua vita virtuosa in una società sviata; il suo percorso è quello dell’eroe disponibile al compimento di una missione divina assegnata solo a pochi. Proust, per salvare le sue memorie dal deterioramento del tempo, si isola dal mondo, in una stanza insonorizzata dai rumori esterni; solo nel silenzio riemergono le immagini scolpite nella sua anima, facendola palpitare; come in una lastra fotografica che restituisce le tracce evanescenti delle cose, la sua interiorità compie delle associazioni impensate e scopre i nessi della sua esistenza. Joyce, dopo aver attraversato la fase delle passioni giovanili e una formazione religiosa gesuitica, scopre la sua vocazione letteraria nella forma di una vita solitaria, simile ad un esilio monacale; la vocazione sacerdotale, sfiorata e attraversata, si trasfonde in una nuova fede, conservandone le connotazioni e l’abito (Joyce; (Dedalus(). Pirandello si immedesima nel personaggio, che abbandona la dialettica delle forme mondane in una sorta di ascesi mistica, ubicata nella montagna pitagorica del mago Cotrone. Mallarmé, nella solitudine della sua scuola iniziatica, diventa il sacerdote di un Dio che si nega, concedendogli solo frammenti disallineati sulla pagina bianca.
Il laboratorio dello scrittore, dunque, può essere inquadrato ed individuato in varie immagini: è il monastero con il suo scriptorium e la sua biblioteca, tanto frequentemente evocato, un luogo di prigione imposto o volontario (Montale: La Bufera, Il sogno del prigioniero), o addirittura, per paradosso, una gabbia dove l’io kafkiano si riduce a vivere, perché è l’unica possibilità concessa dall’insensibile borghesia (Racconti).
La biblioteca è il luogo per eccellenza deputato alla scrittura e alla formazione in stretta simbiosi nella vita dell’intellettuale; Leopardi fa della ricca biblioteca di famiglia il luogo dei suoi studi e dell’intera sua esistenza; Dante si compiace di associare il patrimonio classico e cristiano, esponendo nella Commedia i libri dei suoi Autori. (Inferno,IV; Purgatorio, XXI e XXII). Quando lo scrittore viaggia per il mondo, non segue le vie turistiche, ma suoi percorsi arcani, per cogliere tra le pieghe della realtà messaggi segreti e misteriosi. Tabucchi sceglie sempre vie marginali, come l’India arcana e mistica, alla ricerca della sua identità in seno alle infinite possibilità del mistero cosmico.
Tutto il mondo diventa una grande e infinita biblioteca, priva di centro, un luogo labirintico come la Babele di Borges (Biblioteca di Babele in Finzioni); qui le lettere della Verità non si offrono al viaggiatore tra i mille specchi del non-senso, e l’Aleph emerge in un momento di grazia e di improvvisa simultaneità.
Possiamo comprendere come la biblioteca dantesca potesse offrire una formazione solida ed ordinata, con delle certezze disposte dalla Grazia divina, mentre quella dell’uomo contemporaneo, dispersa nella materialità terrena, non offre un varco verso la Verità; già nel Cinquecento, inizio della modernità, il microcosmo ariostesco si presentava come luogo decentrato e straniante dove ogni cavaliere si aggirava di qua di là, di su, di giù, insensatamente. Oggi il laboratorio dello scrittore non può essere che luogo di debole attesa, alieno e sempre più separato dalle promesse della civiltà tecnologica, un luogo conseguentemente di protesta verso i paradisi artificiali e i suoi credenti.