Nella notte del Samhain vengono abbattute le leggi
spazio-temporali: il mondo dei vivi e quello dei morti sono a contatto
Il 30 ottobre è la festa di Halloween e ricorda il giorno in cui, nei paesi del nord Europa, i defunti potevano tornare sulla terra e mescolarsi insieme ai vivi. In Italia, invece, la tradizione narra che il 24 giugno, festa di San Giovanni Battista, solstizio d’estate, i morti entravano dalla porta solstiziale, ovvero dalla Porta degli Uomini che copriva quella del dio romano Giano (dio delle porte).
Detta anche Porta degli Dei, si contrapponeva a quella del solstizio d’inverno.
Tradizioni antiche, precristiane, relative alle festività dei morti: la calza e il grano cotto
Le tradizioni relative ai morti vanno inquadrate bene per comprendere il contesto storico-religioso precristiano. Ai morti erano dedicati i mesi di novembre e dicembre; entravano nella “realtà” dalla Porta del Solstizio Estivo, detta anche “Porta degli Uomini” (ed in particolare alla festa di San Giovanni, che copriva l’antica figura di Giano, il dio delle Porte) in compagnia delle streghe.
Con la “setella” si “indovinava”. La usava il popolino, ma la usavano anche maghi e pseudo-maghi. Col questo attrezzo si poteva infatti “indovinare” quello che si voleva. Ad esempio, che risultato avrebbe avuto un processo, se vinceva o meno la squadra del cuore.
Il popolo lo usava, quasi esclusivamente, per scoprire chi aveva rubato dei soldi, animali, gioielli; la miseria era tanta ed essere derubato del cibo poteva anche significare non mangiare per giorni.
Un amuleto della tradizione dei terrazzani foggiani contro l’invidia
Anticamente quando una terrazzana foggiana allattava un bambino, gli metteva al collo una collana con mascelle (“garze”) di riccio.
I terrazzani erano grandi cacciatori di riccio. Era una caccia facilissima, fortemente tradizionale e produttiva, per le caratteristiche, per le simboliche dell’animale e soprattutto per la bontà e prelibatezza della sua carne.
La caccia alle rondini era, in un passato non molto lontano, una caccia per adulti; questo in tempi di necessità, di fame, quando pur di mangiare carne si uccidevano anche cani e gatti. Per ragazzi un gioco di primavera che ha tramandato questa antica tradizione fino ai giorni nostri
Prendevano l’arma, il roscilillo (‘u ruscelìlle), che era una mazzetta con la parte inferiore fissa (il manico) e una superiore che ruotava (una rondella di legno girava attorno ad un’asta di ferro). A quella superiore che ruotava, si agganciava un’elica di zinco che, durante la veloce rotazione, volava in cielo.
Si imprimeva un movimento rotatorio come si faceva con la trottola per mezzo di una cordicella fatta di tanti fili colorati intrecciati, costruita dai ragazzi stessi con un sistema di tessitura geniale e, forse, molto antico.
Si facevano indossare ai bambini. Da adulti avrebbero avuto il potere di far passare il mal di pancia
Una tradizione era molto radicata a Monte Sant’Angelo e a Mattinata (da sempre parte di Monte Sant’Angelo, da poco comune autonomo), quella delle “scarpette del lupo”.
Sul Gargano, in tempi remoti, viveva il lupo, soprattutto nella Foresta Umbra che confinava con la città di San Michele Arcangelo, l’angelo cristiano che copriva la divinità pagana legata al Sole, cioè Apollo (ma anche Perseo, Elio, Orione, Horo egizio).
Una leggenda da cui trae origine la festa patronale ad Ascoli Satriano che unisce la grande devozione ad iniziative folkloristiche che trovano le loro origini nella tradizione locale
La Daunia è traboccante di leggende antichissime. Una di queste, importantissima, è “Il ciuccio di San Potito”. Un mulattiere che da Tricarico andava ad Ascoli Satriano, sul tratturo Palmo-Palazzo d’Ascoli-Foggia e il torrente Carapelle, si vide sprofondare un asino pieno di derrate in una mefite (sorgente solfurea rappresentante da dea Mefite, zona sacra, particolarmente per gli Irpini).
Disperato, visto che l’asino era morto, gli tolse la pelle, ché aveva un qualche valore. Dopo un po’ di cammino sentì ragliare l’asino morto alle sue spalle. Si girò e constatò che l’asino era vivo, anche se tutto spellato. Felice, gli riattacco la pelle, ma lo fece al rovescio: la coda in avanti e la testa indietro.
Un culto che si è conservato nei secoli, sebbene sotto forme diverse
Ancora oggi molte donne anziane, e qualcuna di mezz’età, quando rientrano nelle loro case salutano l’Uria della casa: l’Auria, l’Augurio (la Fortuna, che era anche una dea romana). La tradizione era diffusa in tutto il Sud ed oltre. L’Uria, l’Auria non lo era solo in senso positivo, ma anche in quello negativo, cioè c’era il buon augurio, ma anche il cattivo augurio, la buona fortuna e la cattiva sorte.
e streghe erano rappresentazioni mitiche dell’inverno-inferno. Erano il corrispettivo ctonio delle fate, che rappresentavano Madre Terra nel periodo primaverile ed estivo. Erano le detentrici della magia nera e non solo; spesso si nascondevano agli uomini nella forma di gatta.
Tutte le streghe del sud continentale avevano l’obbligo, in un giorno particolare dell’anno, di recarsi sotto il Noce di Benevento per celebrare un sabba orgiastico in onore di Diana, la regina delle streghe.
Lo zampognaro di Carife (Campania), Dionigi Santoro, mentre suona davanti a quel che rimane del Morricone di Santo Petriccolo a ricordo della bellissima leggenda
Alle falde di Monte Celano, ad est del borgo, ci sono tre sassi (o meglio quel che di loro resta) che rappresentano, secondo una antica leggenda, le tre fate del Gargano: la fata bruna di Rignano, quella castana di San Marco in Lamis e quella bionda di San Giovanni Rotondo.
Ecco come nasce la tradizione della «vecchietta» che porta dolci ai bambini
Chi è il personaggio mitico che ci addolcisce il 6 gennaio con la calza prelibata e con mille altri doni? La sua storia è davvero lunga, ma noi cercheremo di fare una sintesi accettabile per i lettori.
La befana era Madre Terra-Luna regina dell’inverno.
Sappiamo, perché l’abbiamo già detto, che secondo le nostre antiche tradizioni precristiane, i morti, attraversando la Valle di Josafat, tornavano tra i viventi, per ricongiungersi, almeno per un po’, con i loro parenti e con i vivi in genere.
Le persone un tempo chiamavano la banda musicale “la musica”, per il semplice fatto che quando ancora non impazzava la radio, la tv e non imperavano i mezzi di riproduzione dei brani musicali, a cominciare dal disco di vinile e dal grammofono, per finire alla musica trasmessa su internet, la musica nei paesi, ovvero marcette, opere, brani musicali classici e popolari, si poteva ascoltare, quasi esclusivamente, grazie alle bande. Per questo, chi lavora al recupero della memoria della cultura bandista, è degno di merito e rispetto.
I terrazzani, quello spaccato della popolazione foggiana da non dimenticare
I terrazzani di Foggia avevano un rito religioso molto interessante, condiviso in parte da altri abitanti dei paesi della provincia e dell’intero sud.
Quando un terrazzano andava in campagna per la sua solita “ricerca”, se trovava un aratro antico (o un giogo di legno), lo raccoglieva per alimentare il fuoco del camino o per utilizzarlo in altro modo, cosa, questa, che veniva considerata un peccato mortale. Un fatto generalmente dimenticato da molti, tanto che in punto di morte, la colpa non veniva confessata.
È una forma di ventaglio definito “ventarola a bandiera” che apparve nel XIII secolo. Diffusa in Europa fino all’apparizione dei ventagli pieghevoli nel 1500, è ancora in uso in alcune zone. Prima della metà del ‘500 furono utilizzate per dare sollievo ai sofferenti negli ospedali, alle partorienti oppure nelle osterie e presso i barbieri
Tra i vari tipi di ventaglio ce n’è uno veramente caratteristico: la ventarola devozionale, cioè un ventaglio a forma di bandierina, col manico di legno (lungo 30 cm) e il campo di cartone pressato (15x21 cm).
Sull’asta, generalmente, vi è una sorta di alabarda, cioè una freccia di colore rosso. In una faccia del campo si mette un santo e sull’altra faccia un altro in qualche modo collegato al primo; ad esempio se su un lato c’è la Madonna del Pozzo, nell’altro c’è San Giuseppe, ambedue venerati nella città di Capurso in provincia di Bari.
La minoranza franco-provenzale (o arpitana) in Puglia è una minoranza linguistica stanziata nei due piccoli comuni di Celle San Vito e Faeto e parlante rispettivamente i dialetti cellese e faetano della lingua francoprovenzale
Faeto (in particolar modo) e Celle San Vito, due paesi della provincia di Foggia, sono caratterizzati da un sistema linguistico influenzato dal franco-provenzale, con “inquinamenti” di termini appartenenti a dialetti dauni.
A Celle, il 12 agosto 2012, per celebrare l’ordinazione a sacerdote di don Michele Tangi, si è celebrata una messa solenne proprio in franco-provenzale, tradotta dallo stesso, i cui canti sarebbero stati composti dal fratello Vito.
Il terrazzano era un caratteristico operaio foggiano, ma abitava anche altre città del Tavoliere. Fondamentalmente era un raccoglitore di frutti spontanei e cacciatore dedito anche alla pesca. Ha conservavato nel tempo le più antiche attività dell’uomo primitivo
I terrazzani si trovavano in quasi tutti principali centri del Tavoliere: Foggia, Lucera, Cerignola, San Severo, paesi dei 5 Reali Siti, Manfredonia, Castelluccio dei Sauri. Erano raccoglitori di frutti spontanei della terra (lampascioni, verdure, capperi, lumache, funghi, pere selvatiche, ecc.) e cacciatori.
Se consultate i vocabolari, sono considerati abitanti di città fortificate poi, riguardo alla Puglia, raccoglitori di frutti spontanei.
IN FOTO: Donne e bambini dei Terrazzani di Piazza dell’Olmo,
una delle più belle piazze del quartiere dei Terrazzani a Borgo Croci (Foggia)
A questa definizione, ho aggiunto anche cacciatori perché non vi era terrazzano che non si dedicasse a qualche forma di caccia e occasionalmente anche alla pesca, con metodi arcaici (con le radici del tasso). La caratteristica psicologica rivelante delle loro personalità, era il bisogno di libertà, cioè la possibilità e il desiderio di non dover sottostare ad un padrone.