Già alla fine dell’aprile scorso, in seguito all’analisi di grafici e numeri sull’andamento quotidiano della pandemia, si facevano i primi bilanci sull’impatto del virus in termini di vite umane lasciate sul campo, nonché sull’andamento dei contagi.
Gli interrogativi tuttavia sulla diffusione non omogenea del Covid nel territorio nazionale, sono stati tanti e hanno messo in moto le catene della ricerca, non solo in Italia, per ovvie ragioni.
La Sardegna ha messo in evidenza gli indici più bassi nel nostro paese e al riguardo sono stati avviati studi specifici, volti a dare risposte scientifiche sul particolare assetto genetico della popolazione dell’isola.
Il dato che tuttavia ha impressionato di più i ricercatori, ma anche i profani, è la diversa concentrazione dei contagi tra regioni del Nord e del Sud. Dopo alcuni mesi non si poteva più concludere che la questione geografica fosse un semplice caso. Il Covid aveva avuto tutto il tempo necessario per assediare anche il Sud, isole comprese.
Ma allora, ci si chiedeva, e ancora ci si chiede, come mai il virus ha una forza travolgente nelle regioni settentrionali del paese, e dimostra più clemenza nel nostro Mezzogiorno, questione di “simpatia toponomastica”?
Naturalmente no, e tuttavia delle ragioni di carattere biologico da inquisire devono esserci, perché anche nella seconda ondata queste differenze ci sono state, nonostante il maggiore impulso manifestato dal Covid a partire dalla fine di settembre.
Gli scienziati hanno focalizzato la loro attenzione sulla mappa dei contagi, e protagonisti sono diventati l’RNA del virus e il DNA umano, soprattutto quello che riguarda le regioni interessate in modo minimo dalla pandemia, come la Sardegna, appunto, in apparenza senza una spiegazione razionale.
L’interrogativo sulla bassa percentuale dei contagi in Sardegna ha amplificato l’immaginazione e soprattutto l’istinto verso la ricerca degli scienziati, già attratti peraltro dalla questione della longevità nell’isola, diventata una delle cinque cosiddette Blue zone del pianeta, proprio per l’alta presenza di centenari.
Su questi interrogativi ha già fornito delle risposte il prof. Antonio Giordano, oncologo e genetista, direttore dello “Shiro Sbarro Health Research Organization” alla Temple University di Filadelfia, negli Usa.
Il prof. Giordano spiega che nel suo laboratorio di ricerca, insieme ai suoi collaboratori, è stata avallata l’ipotesi che esista una sorta di difesa “stampata” nel codice della vita. Ovvero delle varianti geniche associabili al gene HLA, che potrebbero essere la base vulnerabile per la suscettibilità al contagio da Sars-CoV-2, e della severità patogena che scatena.
Antigene leucocitario umano
I sardi si ammalerebbero meno di coronavirus grazie ad un assetto genetico che risulta protettivo nei confronti dell’infezione; un «aplotipo esteso» caratteristico della popolazione sarda, una sequenza ancestrale di geni denominata HLA
Il prof è persuaso che il Sud Italia, e in particolare la Sardegna, possano essere “dotati” di uno scudo genetico protettivo verso il Covid-19. Il suo team ha portato avanti studi precisi al riguardo, basati sull’esistenza di una forma di difesa impressa nel codice della vita, i cui risultati sono stati pubblicati anche sulla rivista Frontiers Immunology.
Esisterebbero diverse varianti geniche associabili al gene HLA, che renderebbero vulnerabili all’attacco del Covid. Gli studi sono ancora in corso, e sarà necessario attendere ulteriori risultati, ma la base di partenza è imputabile a questo gene, secondo il prof. Giordano.
Egli conferma che la diffusione virale in Italia ha seguito percorsi completamente diversi, e che la differenza tra il Nord e il Sud è evidente anche all’occhio profano. Secondo le sue teorie le regioni del versante nord sono state le più bersagliate dal virus per una serie di fattori. In primis quelli genetici, ma hanno una rilevante importanza anche quelli legati all’inquinamento dell’atmosfera, al grado di industrializzazione, e all’intensità degli spostamenti e relazioni umane.
Scientificamente il professore così spiega le sue teorie: “Gli antigeni leucocitari umani (HLA), sono dei geni che codificano per le proteine responsabili della regolazione del sistema immunitario, pertanto sono elementi essenziali per la risposta immunitaria. Ma hanno un ruolo talvolta ambiguo, ossia possono proteggere o, se alterati, non svolgere questa funzione.”
Ci sono comunque le premesse, secondo le sue conclusioni, per indagare sul tipo di HLA e i sintomi patogeni legati al Covid.
E in termini di difesa immunitaria, di risposte più efficaci all’aggressione del virus, le caratteristiche dei sardi, sono in qualche modo particolari. È stato riscontrato infatti al riguardo, un deficit del G6PD, responsabile del cosiddetto “favismo”, ma che si è rivelato un fattore protettivo.
Con le tecnologie del terzo millennio è possibile studiare e monitorare migliaia di geni contemporaneamente.
Questo processo consente di ottenere la migliore verso l’aggressione di alcuni ceppi di virus, per esempio nei confronti della malaria.
Il prof. Giordano sostiene che in epoca di “medicina di precisione, personalizzata”, conoscere il modo in cui una sequenza genica influisce sulle diverse patologie, è importantissimo.
terapia e cura per il singolo paziente, portando al minimo gli effetti collaterali.
“Pertanto è così – afferma – le varianti geniche specifiche di una popolazione, come quella sarda, potrebbero proteggere da certe insidie e vulnerabilità”.
Intanto è stato accertato, sempre per quel che riguarda le caratteristiche genetiche dell’isola, che nessun centenario è stato aggredito finora dal Covid. Un caso?
Sembra improbabile, alla luce delle risposte fornite dalla scienza. La logica del caso, del resto, quando si parla di assetto biologico e biochimico, non è da seguire.
Nessun caso di positività dunque tra gli over cento nell’isola, supposta “Atlantide”; la trasmissibilità del virus è più difficile grazie al particolare assetto genetico, come si è visto, ed è anche l’unica spiegazione scientifica che ha fornito prove precise.
dia nazionale, e ha inoltre un Rt tra i più bassi d’Italia.
Certamente l’insularità ha preser-vato le caratteristiche genetiche, e proprio questo sarebbe alla base del basso indice di mortalità in questi tempi di pandemia, nonché di basso indice di contagi. La positività agli anticorpi anti-Sars-CoV-2 nella popolazione della Sardegna si attesta sullo 0.3%, secondo i dati diffusi dall’Istat due mesi fa, ossia agli ultimi posti in Italia. Dovuto, secondo la scienza, come si è avuto modo di constatare, ad una sequenza ancestrale di geni che si comportano come scudi. Protezione associata alla beta-talassemia, ossia ad un gene mutato che determina la Talassemia, o Microcitemia.