Valentina Neri: la sottomissione come oggetto di libertà

«Non mi aspetto di piacere a tutti o di essere completamente compresa, soltanto che si colga l’audacia di questo modo di donarsi in totale verità»

Le dinamiche relazionali hanno spesso facciate di rappresentanza e verità oscure a volte difficili da raccontare anche a noi stessi. Accade così che cataste di bugie e mortificazioni profonde si propinano come gocce di arsenico, un po’ per volta fino ad abituarvisi.
L’amore è un atomo instabile e terribilmente reattivo, l’odio è più tenace, l’indifferenza più proficua.
Così, in silenzio avviene la celebrazione degli orrori che mette sull’altare il più vulnerabile, e spesso a compiere l’atto sacrificale non è un solo attore, ma un susseguirsi di comparse utili e funzionali: guai a presentarsi disarmati al gran galà, perché sarà il tuo sangue a colare sui gradini dell’amore.
Sarà questa la matrice dell’aberrazione ottica che stritola come una pressa molte donne, colpevoli verso la società: per non aver capito, non aver accettato un modello che non prevede fughe, regole silenziose, che se provi a contrastare ti annullano o ti uccidono.
Tutto sull’altare della normalità.

Lo scorso anno ha ricevuto una laurea honoris causa in Lettere su iniziativa della Constantinian University di Rodhe Island, negli Stati Uniti, in gemellaggio con l’ordine dei Cavalieri di Malta

Negli anni del femminismo un terreno così denso e franoso fu motivo di rivendicazioni. Ancora oggi si ambisce (a parole) a modelli di dignità e chiarezza relazionale nei rapporti fra uomini e donne. In verità, se ai tempi dell’autocoscienza fiumi di parole vennero spesi, il postmoderno diede poi una brusca virata, riaffermando il modello della donna oggetto, ma con una valenza nuova: l’illusione da parte delle donne di essersi sganciate dai vecchi schemi.
Possiamo lavorare, fare carriera, mostrarci a nostro gradimento, fare sesso con chi ci piace, per cui siamo libere, moderne. Le poveracce sono le altre, le velate, le infibulate, le sottomesse… già, le sottomesse.

È qui che entra in ballo Valentina Neri, la poetessa di cui voglio parlare oggi. Dopo avere letto le sue poesie su Luci di posizione, antologia del Realismo Terminale edita dalla Mursia e “laboratorio” (cit. di Guido Oldani: “il Realismo Terminale è come una fisarmonica, in cui si può entrare e uscire, saranno gli atti ufficiali che produrrete a dedefinire la vostra appartenenza”), mi fu chiara l’idea che i temi trattati con una così palese e lucida fluidità non avevano niente da spartire con i miagolii e i contorcimenti che solitamente si fanno passare come poesia erotica e che personalmente immagino come contenitori di carne in scatola nelle filiere virtuali, un po’ per tutti i gusti.

Nei versi di Valentina Neri la partita è molto più grossa. La sento telefonicamente e lei si racconta; si dichiara in una posizione critica (anche se costruttiva) nei confronti del femminismo, dice che a volte c’è più ferocia nelle parole di una donna che in un pugno in faccia.


Parla del potere manipolatorio delle donne, che paradossalmente attraverso l’artificiosità della forma si aggancia ai peggiori istinti dell’essere umano.
Cosa vuol dire?
Che solo lacerando tutti i veli di ipocrisia in cui sono stati incasellati i ruoli maschili e femminili, si può arrivare all’essenza di quello che siamo? Poi aggiunge una cosa che diventa per me davvero il perno dell’argomento.
Valentina mi dice: quando io mi concedo a un uomo, a qualsiasi uomo, è come se facessi “dono” di me stessa e non sento il bisogno di fingere di essere nient’altro che questo: un dono; ma non in maniera coercitiva o punitiva a seconda delle circostanze, bensì libera, consapevole.
Stamattina ho fatto leggere al mio compassatissimo fratello musicista le poesie di Valentina, interrompendo un suo momento di raccoglimento musicale, esattamente un pezzo barocco di Hendel per viola da gamba.
Gli ho chiesto: cosa ti sembra?
Ha risposto: straordinarie!
Ho chiesto: perché? E lui: perché è quello che deve aver sentito l’uomo delle caverne vedendo per la prima volta una donna: un dono, un inenarrabile, assoluto, straordinario dono, che lo metteva in contatto diretto con le corde e le sonorità più acute dell’infinito!

Posted

17 Jul 2020

Realismo terminale


Taniuska - Tania di Malta



Foto di Giuliano Grittini





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