Giuseppe Langella

Professore ordinario di Letteratura italiana moderzna e contemporanea, è tra i fondatori, con Guido Oldani, del movimento letterario del Realismo Terminale

Quest’anno è uscito Dopo l’Occidente, Lettera al Realismo Terminale di Guido Oldani, edito dalla Mursia, dove il fondatore del Movimento fa il punto della situazione a distanza di dieci anni. Ho ritenuto importante accostare a questo, la voce di Giuseppe Langella, professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea all’Università Cattolica, poeta e “cardine” del Realismo Terminale.




Rispetto a dieci anni fa, che cambiamenti sono avvenuti nel movimento del Realismo Terminale?
Dieci anni fa il Realismo Terminale stava ancora muovendo i primi passi. Guido Oldani aveva appena dato fuoco alle polveri, pubblicando per Mursia, nel 2010, il pamphlet che sta a fondamento di questa poetica, ma per la nascita ufficiale del movimento si sarebbe dovuto attendere il Salone del Libro di Torino del 2014, col lancio del cosiddetto “manifesto breve”, firmato anche da me e da Elena Salibra. È stata però, quella delle origini, una stagione elettrizzante, animata da molti e fecondi dibattiti, che hanno coinvolto esperti di diversi settori disciplinari. Le tesi avanzate nel libro, per tanti aspetti pionieristico di Oldani, furono subito oggetto, fra l’altro, di due importanti convegni pluridisciplinari, rispettivamente a Cagliari e a Milano, i cui atti si possono leggere in altre due pubblicazioni basilari come La faraona ripiena (2012) e il Dizionarietto delle similitudini rovesciate (2014). Naturalmente, poi, al tempo dei proclami e delle dichiarazioni teoriche doveva seguire quello delle realizzazioni, per cui, al di là del lavoro creativo portato avanti da ciascuno, il movimento in quanto tale si è presentato sulla scena letteraria con due antologie “ufficiali”, una poetica, l’altra narrativa, vale a dire Luci di posizione, a mia cura, nel 2017, e L’occhio di vetro, a cura di Daniele Maria Pegorari, nel 2020, e una nutrita serie di altre uscite di gruppo, diciamo così, “ufficiose”, sempre in forma di libro, oppure su riviste, cartacee e digitali, o ancora su vari canali e social. Ma non devo certo farti memoria di queste recenti iniziative editoriali, perché proprio tu, insieme a Izabella Teresa Kostka, ne sei stata tra le più attive promotrici.
Cos’è cambiato, dunque, rispetto a dieci anni fa? Mi verrebbe da risponderti: niente, da un certo punto di vista, perché i fatti ci hanno dato ragione, confermando l’eccellente funzionalità dei capisaldi ideologici ed estetici del Realismo Terminale quali reagenti per comprendere e rappresentare il mondo globale del terzo millennio. Quindi il movimento, pur senza segnare il passo, è rimasto sostanzialmente fedele alla sua ispirazione originaria. Nel frattempo, però, il Realismo Terminale si è imposto all’attenzione generale come il fenomeno letterario forse più interessante e innovativo di questi anni Duemila, capace di agitare le acque stagnanti della palude post-novecentesca; ha ricevuto nuova linfa da quanti, via via, a successive ondate, si sono aggregati, ingrossandone le file; ha trovato interlocutori di prim’ordine in campo artistico, musicale e performativo; è entrato, soprattutto, nei manuali di letteratura contemporanea, diventando materia di studio nei licei e nelle università. Dieci anni fa il Realismo Terminale doveva ancora farsi accreditare nella repubblica delle lettere, scomodando autori che vedevano minacciati privilegi e rendite di posizione; oggi occupa invece, incontestabilmente, un posto di rilievo, è stato accolto nel canone, continua a espandersi ma con un piede già nella storia. Non a caso, la rivista Oblio, che si pubblica sotto l’egida autorevolissima della MOD (Società italiana per lo studio della modernità letteraria), ci ha dedicato un focus, l’anno scorso, ospitando gli Atti di una giornata di studi promossa dalla cattedra di Sociologia dei processi culturali e comunicativi del Dipartimento di Scienze della formazione di Roma 3.
L’avvenuta consacrazione del Realismo Terminale ha avuto, a mio parere, una conseguenza abbastanza sintomatica: all’inizio, per rimarcare la nostra radicale distanza dalle poetiche del Novecento, ci siamo concepiti e proposti all’esterno come movimento d’avanguardia. E del resto, di motivi per enfatizzare questa dimensione ne avevamo ad abundantiam: una visione complessiva delle trasformazioni epocali avvenute intorno al cambio di millennio, una vocazione fortemente militante, una grammatica condivisa di soluzioni espressive originali, l’interazione con gli altri linguaggi artistici. Ma su una questione cruciale non eravamo affatto un movimento d’avanguardia e aveva ragione Marco Pellegrini, unica voce fuori dal coro, a farcelo notare: tutte le avanguardie sono mosse da un oscuro cupio dissolvi, predicano e praticano la morte dell’arte. Noi invece abbiamo sempre continuato a credere, nonostante tutto, nella funzione conoscitiva e persuasiva della parola poetica, ravvisabile anche nell’uso, flessibile ma mai abbandonato, di certi istituti formali come il metro, il ritmo e la rima.
Oggi come oggi, non ci interessa più rivendicare al Realismo Terminale la fisionomia di un’avanguardia. Ci basta sapere che nel panorama letterario di questi anni il nostro movimento occupa, senza tema di smentite, una posizione avanzata e che è tra i pochi fenomeni veramente vivi e dinamici. Quello che importa, al presente, è la consapevolezza di possedere le chiavi e gli strumenti giusti per leggere il mondo che ci si squaderna davanti e per riscriverne l’alfabeto. Peraltro, questa consapevolezza ci ha consentito di accentuare, col tempo, l’impegno civile insito nel codice genetico del Realismo Terminale, assicurando al movimento, con tutta una serie di iniziative militanti, una presenza costante e tempestiva anche sul terreno della cronaca e delle emergenze.

Per il ruolo che ricopri all’interno del movimento (di “cardine”, come dice Oldani) e anche a motivo del tuo profilo accademico di italianista contemporaneista, tu ti sei trovato più volte a vagliare il lavoro degli altri, suggerendo, se del caso, interventi di varia natura. Quando ti trovi a esaminare un testo poetico realista terminale, in base a quali criteri lo valuti?

Il giudizio è sempre un’operazione complessa, nella quale entrano in gioco diversi fattori. Qui mi limito a sottolineare quei soli elementi che contrassegnano un testo poetico come realistico-terminale. Non entro, dunque, nel merito della qualità, che richiederebbe ben altro discorso, ma segnalo i requisiti indispensabili che deve possedere un testo per ricevere l’etichetta di prodotto RT di origine controllata. Anzitutto, com’è ovvio, non possono mancare alcuni dispositivi formali che costituiscono quasi il marchio di fabbrica della nostra poetica: in primis la similitudine rovesciata, la più importante “scoperta” letteraria del XXI secolo, tanto meglio se servita con contorno di lingue egemoniche e di accumulazioni caotiche. Non insisto su questi risvolti, perché ne abbiamo parlato tante volte: rimando, per chi volesse saperne di più, al manifesto di fondazione di Oldani e alla mia Introduzione all’antologia di tendenza Luci di posizione.

Ma bisogna guardarsi dalle riproduzioni meccaniche, dalle imitazioni “a orecchio”. Una poetica, infatti, non è un libro di ricette. Deve essere chiaro che determinati stilemi, determinate soluzioni espressive, sono la traduzione formale di una particolare visione del mondo, ovvero il risultato della conoscenza che si fa linguaggio. Di conseguenza, non ha alcun senso, ed è assolutamente fuori luogo, inserire certi dispositivi tipici della poetica del Realismo Terminale all’interno, ad esempio, di liriche intimistiche o idilliache, dove non c’è traccia della frattura epocale che si è prodotta all’altezza del terzo millennio con l’ingresso nell’antropocene. Una poetica “realistica”, come quella baldanzosamente inastata dal nostro movimento contro le derive soggettivistiche, mitologiche e autoreferenziali di certo Novecento, esige in partenza un atteggiamento estroflesso, uno sguardo portato all’intorno, un ancoraggio all’esperienza del mondo artificiale in cui siamo immersi e alla storia globale che invade le vite di tutti. Se non ci si cala preventivamente in questo orizzonte, l’impiego di determinati dispositivi formali resta un’operazione a freddo, una goffa scimmiottatura del Realismo Terminale, un esercizio di maniera.

Oggi il Realismo Terminale è in grado di inglobare in sé le tante anime diverse che si avvicinano, senza che questa circostanza sia liquidata in maniera sommaria come fenomeno di accatastamento?
Bisogna distinguere e la discriminante è proprio l’intenzionalità dell’avvicinamento. Ci sono tante manifestazioni – festival, reading, poetry slam – che danno l’idea di una Babele delle lingue, come a un mercato, in un treno di pendolari o alla borsa valori. Esse sono, a tutti gli effetti, un “fenomeno di accatastamento”, del tutto coerente coi riti, caotici e sonori, dell’odierna massificazione sociale, compresi certi prestigiosi appuntamenti culturali come BookCity o il Salone del Libro. Presi nel loro insieme, questi eventi possono essere perfino concepiti alla stregua di opere “realistico-terminali”, almeno statu nascenti, come materia prima ancora da sgrossare e lavorare: realistico-terminali, dunque, in senso lato, spinti al limite estremo in cui il mondo stesso viene a coincidere col Realismo Terminale, in cui cioè il Realismo Terminale cessa di essere una poetica e diventa imago mundi.
Diverso è invece il caso di quei poeti – e sono ormai parecchi – che si accostano al nostro movimento, coi quali, senza pur appiattire tutto e nascondere le differenze, è possibile aprire un dialogo fruttuoso. Un po’ come avveniva nella lirica provenzale, dove c’erano due modi di comporre versi, il trobar clus e il trobar leu, intorno alla cerchia più ristretta dei poeti che a pieno titolo si possono fregiare del titolo di realisti terminali esiste di fatto un giro più largo di simpatizzanti, fiancheggiatori, o temporanei compagni di strada, su cui il Realismo Terminale esercita l’attrattività tipica delle poetiche dominanti.

Se ci fossero due porte immaginarie con su scritto, in una “Dialettica” e nell’altra “Opportunità”, nel terzo millennio, secondo te, quale delle due sarebbe da aprire?

Questo giochino delle due porte ti confesso che mi piace poco. Non vorrei mai trovarmi nella situazione di Ercole al bivio. E se poi nessuna delle due targhette mi invogliasse ad entrare? Potrei sempre decidere di non aprire né l’una né l’altra porta, restando in attesa di una chance migliore. Del resto, persino nel castello di Barbablù, che non doveva essere precisamente un locus amoenus, le porte erano sette. Inoltre, almeno in materia di relazioni intellettuali non farei distinzioni di secoli o di millenni, perché i princìpi etici non sono negoziabili, né quindi assoggettabili alle fluttuazioni della storia. Ma soprattutto: dialettica e opportunità possono essere entrambe buone o cattive a seconda di come le si intende e le si mette in pratica. Così, ad esempio, un conto è se mi batto per le pari opportunità, un altro conto se mi comporto come un opportunista, pronto a prostituirmi e a calpestare le mie idee per trarre vantaggio da una determinata circostanza. Analogamente, la dialettica può giovare non poco alla conoscenza, consentendo di esaminare una questione da più punti di vista, ma può essere anche un pericoloso corrosivo che produce irrigidimenti e divisioni, quando si attiva per partito preso, muovendo da pregiudizi o sospetti. Insomma, tanto l’opportunità quanto la dialettica sono due valori preziosi ma fragili, da maneggiare con cura, come certi imballaggi.

Oldani ultimamente in un video ha detto che è facile immaginare cosa accadrà fra dieci/quindici anni. Tu come la vedi?
Occorrerebbe, forse, contestualizzare quella battuta, per non far dire a Oldani più di quanto fosse nelle sue intenzioni. Comunque, non trovo affatto strano che un poeta si sporga sul futuro, cercando di immaginare quel che potrà essere il mondo di domani. Anzi, questa facoltà di previsione è quasi sempre un indizio di grandezza. Chi si vota alla creazione artistica è un intuitivo, uno che sa leggere i segni dei tempi, traendone una diagnosi precoce sulle condizioni di salute del mondo. Così ha fatto Oldani una decina di anni fa, scrivendo Il realismo terminale, e così ha fatto ancora, di recente, proiettando lo sguardo oltre e Dopo l’Occidente.
Una cosa è certa: il mondo è entrato in una fase patologica molto seria e rischia di non riprendersi più, se non si corre subito ai ripari. Per ora la prognosi è riservata, ma il decorso potrebbe essere esiziale, perché le tossine sparse nel suo organismo stanno producendo guasti gravissimi, esponendolo a crisi continue. La pandemia da covid-19 che ci affligge da diciotto mesi è solo una delle tante manifestazioni parossistiche di questo diffuso malessere; ma parecchi altri virus si stanno rivelando, alla lunga, non meno nocivi: lo sfruttamento selvaggio dell’ambiente, l’inquinamento, il consumismo, l’intontimento mediatico, le pastoie burocratiche, le bolle speculative, l’evasione fiscale, gli abusi di ogni genere in ambito lavorativo, l’illegalità dilagante, i rigurgiti razzisti, lo spettacolo avvilente della politica, l’idolatria sfrenata del potere. Bisogna stare molto attenti, perché ci troviamo nella condizione del tabagista, non saprei dire se più accanito o più distratto, che accenda una sigaretta sopra una polveriera.

Chi sono i poeti del terzo millennio?
Non basta vivere nel terzo millennio per essere davvero poeti del terzo millennio. Come già scrivevo nella mia Introduzione all’antologia Luci di posizione, «ognuno è libero […] di scegliersi il tempo e il luogo» in cui calare il proprio immaginario poetico. Ma se si vuole essere testimoni e attori del proprio tempo, non c’è che un modo: farsi coscienza critica di esso, dando espressione verbale ai suoi fatti e tratti più caratteristici. Per essere fino in fondo contemporanei all’epoca in cui si vive, è giocoforza assumere da essa materia e linguaggio. Questo, esattamente, è l’assunto che ha guidato, fin dagli esordi, la ricerca poetica di Oldani e di noi tutti realisti terminali. Chi vorrà, potrà seguirci o emularci in questa caparbia avventura. Sappiano, invece, gli altri che si condannano in partenza al ruolo, comodo ma poco esaltante, di epigoni, di fanalini di coda.

Posted

03 Jun 2021

Realismo terminale


Taniuska - Tania di Malta



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