Marco Bruni poeta pittore e musicista di Massa Marittima. La sua passione per l’arte, deriva da un’ossessione che dura tutta la vita. Infatti, fin da quando era bambino, ha sempre cercato di creare, attraverso la lettura e lo studio, opere personali in grado di rappresentare qualcosa di nuovo e di comune interesse.
Profondamente convinto che creare arte poetica, musicale, pittorica, sia un modo per entrare non solo in contatto, ma dentro le società, i suoi problemi e costumi, completandole e migliorandole. Per Marco Bruni l’atto di produrre arte condivisa può e deve essere qualcosa di utile socialmente e bello da usufruire.
Tutto questo gli provoca una gioia e una soddisfazione senza uguali.
Ha fatto studi di conservatorio a Firenze e successivamente l’esame di compositore, melodista, trascrittore presso la sede SIAE di Firenze, ha suonato nelle sedi istituzionali più importanti e in vari teatri italiani. Pittore, astrattista, la Artexpò Gallery gli ha attribuito il conferimento Europeo per le arti visive e sempre per le arti visive ha ricevuto la “Palma d’oro” alla biennale internazionale di Cannes; ha esposto a Budapest, Firenze, Genova.
Come poeta ha ricevuto moltissimi premi in Italia e all’estero fra i quali il “Premio Giovanni Paolo II°”, il “Premio alla Carriera” consegnatogli dalla poetessa Tina Piccolo, il “Premio Ambasciatore del Sorriso” a Napoli. È stato riconosciuto “Alfiere dell’arte e della poesia” presso l’Accademia dei Bronzi di Catanzaro.
Ha pubblicato cinque volumi, quattro di poesia, uno di narrativa. Per la sua attività, ha ricevuto la “Laurea Honoris causa” in Arte Musica Spettacolo.
Recentemente ha cominciato a fare parte del Realismo Terminale creato da Guido Oldani, e pensa che il Realismo Terminale sia la porta che proietta la poesia in una nuova, affascinante e vera dimensione della percezione della realtà di oggi in tutto il pianeta.
da “IL REALISMO TERMINALE” DI GUIDO OLDANI (Mursia Editore)
Si capisce bene allora come la metropoli non esista più, sostituita come è stata da una piastra abitativa, farcita di milioni di uomini, divenuta continentale. La campagna è un’eccezione mentale alla città o a quel che essa è diventata. Anche il poeta metropolitano non ha più senso, quello che è cambiato è l’unità di misura nello sproporzionamento. Il poeta è ora, nel Realismo Terminale, un ago nel pagliaio, uno zero rispetto all’infinito. Egli è stato bruscamente licenziato a causa della ristrutturazione aziendale, che ha trasformato le metropoli, che ancora nutrivano qualche speranza urbanistica, in “pandemie abitative”. Il poeta è divenuto conseguentemente “le bon à tout a faire”, idoneo ad affrontare il bricolage del Realismo Termnale.
Niente a che vedere dunque con la vita di periferia, di un’epoca che oramai non è più certamente quella attuale. Tanto meno, nulla da condividere con la provincia e con la sua dialettica rispetto alla metropoli.
INTERVISTA A MARCO BRUNI
Marco ci può raccontare come è entrato in contatto con il Realismo Terminale e cosa l’ha spinto ad aderire a questo movimento poetico?
Leggendo le poesie di Guido Oldani, creatore del Realismo Terminale, mi sono sentito catapultare, trascinare in una terra nuova, più luminosa, in cui il contadino è il poeta e il Realismo Terminale è la terra da coltivare con la poetica. Ho deciso di aderire a questo movimento poetico perché in esso mi rispecchio e mi identifico. Credo che questo terzo millennio sia caratterizzato da società che non hanno niente a che vedere con il lirismo esistenziale ma siano piuttosto caratterizzate da accatastamenti che l’habitat naturale non può e forse non potrà sopportare a lungo in questi contenitori di milioni milioni di uomini e miliardi di oggetti chiamati metropoli.
Nella sua biografia dice che la sua arte deriva dalle sue ossessioni. Può approfondire questa affermazione?
Si, fin da quando ero bambino ho sempre avuto il desiderio di imparare a creare attraverso la lettura, lo studio, la pratica, opere personali, in grado di rappresentare qualcosa di nuovo e comune interesse. Penso che il semplice atto di produrre arte possa essere qualcosa di utile e bello e questo suscita in me una gioia senza uguali.
Lei ha avuto diversi riconoscimenti come pittore astratto. Oggi è cambiato qualcosa? C’è secondo lei un anello di congiunzione che collega l’arte astratta al Realismo Terminale?
L’astrattismo è un movimento artistico che nasce nei primi anni del XX secolo ed è una forma di arte che usa un linguaggio visuale di forme colori e linee che hanno lo scopo di creare una composizione che possa esistere con un grado di indipendenza dalle referenze visuali nel mondo.
Possiamo tranquillamente dire che il punto di contatto è rappresentato dall’imprimatur dei colori sulla tela e da ciò che da essa ne deriva.
L’accatastarsi dei toni e delle sfumature nella semantica del pittore e delle concettualità proprie come nel Realismo Terminale, si identificano, poiché nell’astrattismo sono i colori a parlare come la poetica nella poesia realista terminale.
Lei è anche musicista. Che chiave di lettura in più (se ritiene di si) le dà la musica rispetto al Realismo Terminale?
Certamente la musica è un’importante chiave di lettura per capire la transizione che è in atto. Esistono molti generi musicali ma sicuramente il più nuovo e genuino è quello del Realismo Terminale. La musica che appartiene a questo genere si chiama frastuono; quello delle super metropoli, i giganteschi amplessi sonori cittadini, il continuo vociare, i clacson delle macchine, il rumore dei motori e tutte le altre emissioni acustiche che provocano ansia. Ma da musicista posso affermare che, a parte l’inquinamento acustico dannoso per la salute, anche questi sono suoni (diversamente suoni) perché prodotti da un numero irregolare di vibrazioni risultando quindi sgradevoli a sentirsi possono essere usati e miscelati insieme a quelli gradevoli cioè prodotti da un numero regolare di vibrazioni ottenendo risultati molto interessanti come il mio ultimo “I suoni della città"
Chi è il poeta del terzo millennio e che ruolo deve avere nella società contemporanea?
È difficile rispondere alla pri-ma parte di questa domanda:
il poeta del terzo millennio è quello che vive in questo millennio, non si può affermare il contrario.
Il poeta del Realismo Terminale forse è colui che si discosta rinnegando l’accatastamento oggettivistico e oggettivo e dalle oligarchie metropolitane. Il poeta Realista Terminale guarda con occhi nuovi un mondo vecchio.
Il ruolo che il poeta ha nella società è quello di migliorarla con il proprio lavoro poetico e i propri sforzi al fine di potersi ritenere, attraverso l’apprezzamento del sociale, un utile ingranaggio nella vita di tutti i giorni.