La memoria autobiografica è uno degli ambiti di studio più antichi della psicologia, perché è la funzione umana che permette di integrare tra loro i pensieri, le rappresentazioni, gli affetti, i bisogni, le intenzioni e le ambizioni dell’individuo. I ricordi personali garantiscono una continuità di sé nel passato, nel presente e nel futuro, organizzando e ricostruendo la propria esperienza in modo di formare un tutto coerente.
Alcuni autori sostengono che memoria autobiografica e conoscenza di sé si intrecciano a tal punto da coincidere: “il mio sé esteso non è altro che un accumulo di ricordi” (Neisser,1988). I ricordi personali sarebbero “l’espressione fenomenologica” del sé, cioè una forma di conoscenza dell’esperienza, che deriva dalla percezione della realtà fisica e sociale (Barclay, 1996) e che permette di comprendere l’insieme di attitudini, aspettative, significati e sensazioni che compongono la personalità (Sroufe 1996). Autori come Nelson e Fivush (2004) hanno proposto un modello teorico sullo sviluppo della memoria autobiografica, secondo il quale le rappresentazioni più astratte e semantiche della realtà sono il risultato di un processo di trasformazione dei ricordi episodici specifici.
I bambini, per esempio, costruirebbero uno “script” (inteso come schema mentale, socialmente condiviso, con cui l’individuo rappresenta ciò che accade in un determinato contesto), sulla base di singoli eventi specifici e tenderebbero a consolidarli nel tempo, ricercando tra le esperienze successive, eventi simili che confermino le loro rappresentazioni della realtà.
La complessità dei contenuti degli “script” aumenta con l’età e con lo sviluppo di alcune abilità fondamentali come la teoria della mente, il linguaggio, la capacità narrativa e il senso del sé. Gli “script” sembrano diventare sempre più flessibili in base agli effetti delle esperienze di vita. Quindi in relazione a questo, non è possibile definire un ricordo autobiografico senza considerare le sue componenti linguistiche e narrative. Il linguaggio e la narrazione permetterebbero la costruzione e l’organizzazione dei propri ricordi, con lo sviluppo di una struttura gerarchica della conoscenza che presenta, ai livelli più elevati, le componenti generiche e astratte del ricordo e ai livelli inferiori, gli eventi episodici specifici. Anche se in letteratura esiste ancora un ampio dibattito su quali siano le componenti principali della memoria autobiografica, tutti gli autori concordano sull’esistenza di questa organizzazione gerarchica che si compone di diversi livelli di astrazione.
Secondo Rubin (2003) i livelli sono cinque:
1) Un sistema multisensoriale, che comprende anche la mental imagery (termine inglese che riassume molte delle caratteristiche dell’esperienza percettiva e mentale quotidiana di ciascuno di noi e traducibile con il termine di visualizzazione o vedere con gli occhi della mente) a cui dedica molta attenzione nei suoi studi.
2) Un sistema spaziale multimodale, che identifica la collocazione delle persone e degli eventi nello spazio dei nostri ricordi.
3) Un sistema narrativo, che garantisce i legami tra le altre componenti del ricordo (Rubin, Schrauf, Greenberg 2003), attraverso l’uso del linguaggio.
4) contenute nelle altre strutture di memoria.
5) Un sistema delle emozioni.
Ora rendiamo spunto dai cinque livelli descritti da Rubin e ipotizziamo come possono avere inciso in questa nostra esperienza collettiva di pandemia. Nel primo livello egli parla di una componente multisensoriale, rielaborata “con gli occhi della mente” ma, nel nostro caso, vissuta in una condizione di restrizione a tutti i livelli, che va a rimbalzare contro i nostri principali interlocutori: i dispositivi digitali. Byung-Chul-Han in Nello sciame dice: oggi le immagini non sono solo riproduzioni, ma anche modelli. Ci rifugiamo nelle immagini per essere migliori, più belli più vivi… il medium digitale completa quel rovesciamento iconico (qui siamo già in area realistica terminale) che fa sembrare le immagini più vive, più belle, migliori rispetto alla realtà percepita. Legandomi a questa affermazione mi sembra sensato supporre, che probabilmente oggi questa nostra realtà fissata dalle immagini, per forza di cosa subisce una modificazione anche nel ricordo e nella rielaborazione della memoria autobiografica, attraverso il nostro sistema multisensoriale.
Nel secondo livello si parla di un sistema spaziale multimodale, che identifica la collocazione delle persone e degli eventi nello spazio dei nostri ricordi; ma se ci agganciamo alla disamina precedente, non è forse grande la tentazione di ottimizzare se non addirittura snaturare la collocazione delle persone e dei ricordi?
Nel terzo livello viene evidenziato un sistema narrativo, che garantisce i legami tra le altre componenti del ricordo attraverso l’uso del linguaggio, ma anche in questo caso non si può non pensare alla contrazione del linguaggio, tipico della contemporaneità, che rimane comunque strettamente legato al pensiero e in questo caso, alla contrazione del pensiero.
E che spessore avrà la memoria?
Probabilmente ci sarà anche una contrazione della memoria. Una memoria concentrata. Da realista terminale, viene da pensare al dado knoor.
In pratica un prodotto del contratto coabitativo fra umano e medium digitale. Infatti, ricordando il quarto livello un sistema esplicito di memoria che coordina le informazioni contenute nelle altre strutture di memoria ed il quinto, il fulcro: le emozioni, e riportando il tutto al riferimento del dado knoor, prende forma un nuovo umano. Avrà una memoria simile al concentrato di carne o vegetale. Qualcosa che con un po’ d’acqua potrà rievocare un brodo sempre uguale a se stesso. Non avrà più il sapore originario, ma ci sarà. Anche le emozioni saranno all’interno del dado. Fisse, poco saporite ma innocue. Il medium digitale ci ha fatto un regalo in pandemia. Nell’inclusione della memoria nell’eterno presente, ha creato un varco alla vita eterna, e destrutturando i componenti essenziali della memoria ci ha donato una soluzione evoluta della misericordia, forse, della pietà sicuramente.