Il dolore collettivo: un prodotto di filiera

Questo articolo è un omaggio e momento di riflessione da parte del Realismo Terminale verso i fatti terribili che ci ha visti e ci vede spettatori sbigottiti e increduli. Ricordiamo tutti il caso di Willy Monteiro, eppure anche in quel caso, dopo lo shock iniziale, il dolore e lo sgomento sono stati metabolizzati, smaltiti e sostituiti dal sopraggiungere di altro; quasi che il dolore fosse un prodotto di filiera, una marca alimentare da lanciare sul mercato.
Naturalmente come ogni prodotto immesso nei circuiti di mercato, sopravvive grazie ai contributi che alimentano il prodotto stesso.

Infatti le guerre, distanti da noi e il loro bagaglio di dolore e devastazione, sono ottimo materiale per alimentare telegiornali e pagine di quotidiani. Niente muta, l’orrore avanza ma la notizia frutta, nell’altare dell’immobilismo, dove sembra ormai che ogni protesta o presa di posizione siano un fare finta di agire, ma sempre in funzione della rappresentazione del fatto, non come reale intento di cambiamento di una realtà tragica.
Non a caso i fatti tragici lontani da noi resistono un po’ di più, come se la distanza fosse la condizione giusta per attivare la commozione collettiva.
C’è un altro aspetto interessante: quando attraverso i mass madia avviene una sovrapposizione di notizie tragiche e immagini drammatiche, assistiamo ad un abbassamento del valore empatico e partecipativo, fino ad arrivare all’indifferenza.
Anche questo diventa uno di quei fenomeni mediatici in cui l’umano perde il suo significato, riducendosi a pura immagine, a semplice oggetto di consumo, metabolizzabile e velocemente sostituibile.
In molti studi compiuti nel Novecento sulla comunicazione e i suoi assiomi (principalmente per fini legati alla pubblicità e alla percezione) c’erano i presupposti per comprendere e allarmarsi sui rischi che si correvano. Non era così difficile immaginare quello che sarebbe accaduto. Oggi tutto viene vissuto nell’onda del sensazionalismo.
Il Realismo Terminale è molto attento a questi processi, denunciando la mancanza di una poesia civile aderente alla realtà.
La soluzione stilistica della similitudine rovesciata unitamente alla chiave ironica sono funzionali a un progetto di intervento critico sul mondo di oggi, possibilmente scioccante come una scarica elettrica.

In questo 2020 stiamo affrontando la pandemia, il cui rischio era già stato predetto da Guido Oldani dieci anni fa; il problema non è stato superato, eppure, nonostante la gravità del fatto che coinvolge il mondo intero, a distanza di mesi, ci stiamo abituando, abbassando le difese, con il rischio che il coronavirus ci mostri un nuovo pesante conto in vite umane e crolli economici disastrosi.
C’è addirittura chi nega la sua esistenza. Ho vissuto come infermiera l’esperienza della rianimazione. Ho dovuto fare cose che mai mi sarei aspettata, come dare l’estrema unzione a pazienti intubati.
Li ho visti morire. La follia di questo mondo si rivela anche nell’incapacità di riconoscere una verità oggettiva che possa abbracciare un’idea etica, come modello del vivere civile. Senza questi presupposti difficilmente si può pensare a un futuro di svolta positiva per l’umanità.

Pensiamo a come sia illogico il fatto che invece di concentrare le forze per affrontare un problema e sconfiggerlo, si passa il tempo a litigare sul dilemma se sia arrivato dai pipistrelli, da un complotto o da un errore di un centro sperimentale.


La logica consumistica dettata dal mercato del tardo capitalismo ci ha trasformati, in un certo senso, in adolescenti confusi e facilmente ingannabili, manovrabili e profondamente ignoranti.
Mark Fisher ricordava che la scrittura non è mai stata retaggio del capitalismo. Il capitalismo è profondamente analfabeta. Quello che è accaduto a Willy Monteiro, come gli altri che lo hanno preceduto e seguìto, diventerà una delle tante teatralizzazioni al tempo dell’orrore e dell’indignazione collettivi, un “caso” spremuto finché fa audience e subito dopo dimenticato nel preciso momento in cui viene soppiantato da un altro.
Per essere fecondo, il dolore sociale dovrebbe potersi trasformare nella ricerca di uno spazio di dignità. Credo profondamente che, attraverso la scrittura, il Realismo Terminale abbia gli strumenti giusti per la messa in moto di questo processo di liberazione, facendo della poesia una breccia per immaginare e intravedere una possibilità di realtà più umana e sostenibile, fuori da questa grande bolla immobile.
Per Willy Monteiro, per tutti gli innocenti caduti e per noi stessi, in questo teatro surreale che è diventato il mondo.

Posted

20 Oct 2020

Realismo terminale


Taniuska - Tania di Malta



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