Nel mondo esistono diversi fenomeni di architettura spontanea che caratterizzano i territori. Sono l’espressione della vita e della cultura dei vari popoli, che pure in stili e modi di costruire differenti, hanno in comune il legame con i contesti ambientali e le loro risorse naturali, ognuno nella sua tipicità e in stretta continuità con il luogo di appartenenza. Anche qui in Italia abbiamo esempi eccellenti, come i sassi di Matera, i Nuraghe in Sardegna, i Trulli di Alberobello, i Dammusi di Lampedusa e Pantelleria ecc …
Purtroppo negli ultimi decenni si è assistito a un progressivo cambio di scenario. Dagli insediamenti spontanei della tradizione si e passati verso quelli che vengono definiti: insediamenti spontanei del disagio. Baraccopoli, favelas, bidonville. Accomunate dalla mancanza di infrastrutture e programmazione urbanistica, hanno comunque anche loro collocazione geografica, ambientale, comunità di appartenenza e materiale di scarti industriali del luogo, utilizzati per le costruzioni di fortuna.
Se da una parte tutto questo viene visto come fenomeno difficilmente governabile, dove i rifiuti vengono riutilizzati per abitazioni/rifugio, ultimamente gli esperti del settore guardano con attenzioni le soluzioni architettoniche provvisorie ricavate dagli scarti metropolitani, accatastati in zone pericolose, dove comunque la gente vive e si ingegna per trovare soluzioni sostenibili anche in luoghi dove il degrado urbano diventa una delle ferite più drammatiche di questo millennio. Paradossalmente, mentre prima i modelli di riferimento erano portatori di una sorta di bello ideale delle varie epoche, oggi e domani, saranno le bidonville a indicarci le soluzioni più sostenibili per non soccombere. Probabilmente tutto ripartirà da li, dal disagio umano più profondo.
Il Realismo Terminale punta le sue “Luci di posizione” proprio verso questi profondi e complessi cambiamenti del mondo.
La gente si accatasta nelle metropoli come le abitazioni nelle favelas
Guido Oldani
Per avere l’opinione di un professionista del settore, sul rapporto fra architettura e realismo terminale, ho voluto interpellare l’architetto Paolo Provasi. Solitamente siamo abituati a vederlo nelle vesti di raffinato musicista con la bravissima Roberta Turconi, nel duo "I Poeticanti", questa volta ho voluto consultarlo in funzione alla sua professione di architetto e conoscitore del realismo terminale.
Ecco la sua analisi:
Essendo l’attenzione del Realismo Terminale rivolta verso l’evoluzione del rapporto tra società e ambiente, è inevitabile che i riferimenti all’urbanistica e all’architettura siano molto pertinenti. Se poi consideriamo le case, o meglio i palazzi e i grattacieli, come gli “oggetti” dell’architettura, innumerevoli sarebbero le riflessioni in merito. L’architettura che si sviluppa in verticale per sottrarre meno suolo alla natura, in realtà ha sempre favorito l’accatastamento delle persone, in questo caso una sopra l’altra.
Inoltre, la stessa, assume una valenza positiva di primato dell’oggetto sulla natura: si pensi allo “skyline” che viene cercato dagli amministratori delle città come modello di progresso e di evoluzione urbanistica da ammirare e contemplare.
Immagine:
Skyline vegano metropolitano
di Sara Rampazzo
Come scrive Giuseppina Biondo nella sua tesi di laurea da Italo Calvino al Realismo Terminale, passando per il Mitomodernismo (relatore il Prof Giuseppe Langella) già lo scrittore, in una Cosmicomica, fa questa similitudine rovesciata: “...una New York con una sua Manhattan che s’allunga fitta di grattacieli lucidi come setole di nylon d’uno spazzolino da denti nuovo nuovo”.
Il “verde “ viene confinato, confezionato, come un accessorio da esibire. Qualche architetto pensa di posare qualche pianta sui terrazzi e/o sulla sommità del palazzo/grattacielo con il risultato di rendere la natura oggetto. Sembra quasi un inconscio tentativo di espiare un peccato, la colpa di aver trasformato l’ambiente, di aver sottratto natura in favore dell’oggetto. Anche all’interno di queste strutture possiamo trovare elementi di riflessione e riferimento alle tematiche del Realismo Terminale come, ad esempio, la domotica che rende “intelligenti” apparecchi ed impianti a tal punto che sono essi stessi a dialogare con l’uomo e non viceversa. Come già detto, innumerevoli sarebbero gli spunti che ognuno può elaborare su questo rapporto tra architettura e Realismo Terminale. Una riflessione può essere quella che, come osserva Anthony Reid nella prefazione del libro Architettura senza architetti, di John May, quando l’uomo ha dovuto misurarsi con la necessità di crearsi da solo un riparo, la natura aveva il primato sia in termini di forme che di materiali utilizzati; l’architettura spontanea ha sviluppato la creatività umana attraverso uno stretto rapporto con la natura con “un impatto più lieve sui nostri fragili ecosistemi”. Studiare questa architettura “ci aiuta a ripercorrere le origini degli edifici contemporanei, e a capire perché spesso non rispondono alle nostre esigenze umane fondamentali”. E in riferimento al concetto di “terminale”, forse è il momento, ormai non più procrastinabile per l’architettura, di sviluppare e applicare in modo davvero incisivo l’idea di sostenibilità, tanto sbandierata ma in realtà attuata in modo superficiale e strumentale.
(Paolo Provasi, architetto)
Ispirata dalle considerazioni di Paolo Provasi, sugli architetti che posano qualche pianta sui terrazzi e sulle sommità dei grattacieli, per espiare il senso di colpa di avere sottratto dignità alla natura in favore all’oggetto, propongo la visione ironica di una giovane artista vegana, che ci dimostra come anche in cucina, in un piatto vegano, uno sguardo lucido e ironico, possa racchiudere in una sola immagine un’infinità di significati. L’esagerazione della frutta sui palazzi al posto delle piante, mi sembra molto in linea con la visione ironica che contraddistingue il r.t. Anche il piatto, in riferimento a chi continua a credere che la terra sia … piatta, indica una nuova realtà di accatastamento di idee e concetti rimessi in discussione, con cui questo secolo dovrà confrontarsi, spesso senza rete, in un paesaggio sempre in cambiamento. La ricerca della sostenibilità è un problema globale, i giovani ne sono coscienti. Il realismo terminale include tutti questi processi e se ne fa portavoce.