Sono tante le patologie e le diagnosi alle quali è necessario dare una risposta immediata di guarigione, presupponendo che la medicina e la chirurgia si identifichino in una summa-Wikipediana (perdonatemi il neologismo). Il laboratorio è un “esamificio” per cui un valore, un dato stimato, diviene assoluto, senza necessità di interpretazione o di raffronto e pertanto, il dirigente medico o sanitario, diviene concettualmente un evitabile annesso.
I reparti, o unità operative, sono ormai front-office sempre aperti per rispondere alle momentanee necessità, mentre gli ambulatori luoghi in cui, in base a qualche algoritmo particolare, occorre dare immediata risposta alle richieste di assistenza.
Noi medici, tuttavia, sappiamo che la medicina non è e non può essere questo! Ma il mondo sembra andare così: c’è prima la notizia e poi ciò che è accaduto.
Questo crea errate aspettative che si traducono in aggressività sia fisica che verbale che spesso scaturisce in procedure legali di rivalsa (con consistenti aumenti di costi della Sanità: medicina difensiva).
Altra considerazione.
Al SSN (legge istitutiva 833/78) è attribuita una gravosa responsabilità: “la tutela della salute, come diritto fondamentale dell’individuo e della collettività”. Credo sia la più grande istituzione realizzata nel secolo scorso in Italia poiché, più di ogni altra cosa, garantisce la coesione sociale nel suo sistema equo, solidale e universalistico. In altri termini, rappresenta uno dei migliori esempi del made in Italy a cui guardano con estrema attenzione e interesse molti altri Paesi.
Una riflessione è d’obbligo in questi giorni in cui, terminato un primo periodo epidemico che guarda al futuro con speranza, se ne apre un altro foriero di ansie e preoccupazioni.
Da professionisti del settore, si spera che la politica, in questo momento concentrata nel risolvere le problematiche relative alla crisi economica e al sostegno alle imprese e ai privati (“se non si mangia si muore comunque”), non dimentichi l’importanza e le necessità del SSN.
Improvvisamente ci si è resi conto che non è così scontato che si riesca a essere curati e preservati da ogni tipo di malattia e che si possa accedere, senza alcun limite, ad un Servizio Sanitario Pubblico, pur avendo operato politicamente tutt’altre scelte economiche e strategiche e poste altre priorità di investimenti depauperando il SSN.
Si punta sul privato in nome di una libertà di scelta sulla specialistica, si sottraggono risorse economiche per il mantenimento e lo sviluppo del settore Pubblico.
I primi a “riaprire” nel maggio scorso sono stati gli ambulatori e le strutture private che hanno in poco tempo completato le liste operatorie, mentre nel Pubblico si è dovuto attendere il fantomatico rischio del conflitto di interessi che avrebbe indirizzato all’allungamento delle liste di attesa, mentre, nella realtà, abbiamo da sempre lavorato con il “tutto e subito”, mai rallentando le reali necessità della popolazione.
L’opinione pubblica si è subito resa conto che i dipendenti del Servizio Sanitario sono professionisti dediti al proprio lavoro e soprattutto, contrariamente a quello che si pensava fino a gennaio 2020, sono in pochi e molto operosi anche a scapito delle famiglie e di se stessi. Ma sembra che tale convinzione sia durata poco.
Un’ultima considerazione per concludere.
Come professionisti e cittadini, crediamo sia necessario rivedere il SSN proprio per quanto questa nuova sfida epidemica ci costringe a valutare.
Gli Ospedali per rimanere altamente tecnologici e rispondere alle necessità di diagnosi precoci e di cure in tempi rapidi, con la massima efficacia ed efficienza, necessitano di un raccordo più integrato con il territorio.
È necessario, in altre parole, che il ricovero sia il più rapido possibile e che il territorio sia più idoneo alla prevenzione prima e alla continuità di cura poi.
Le incongruenze hanno il nodo nel differente tipo di dipendenza tra gli Ospedalieri e i MMG (medici di medicina generale). In particolare in “convenzione” si fa ciò che è stabilito dalla convenzione stessa, mentre nel rapporto di dipendenza si fa tutto ciò che c’è bisogno di fare, e credo che, noi medici, lo stiamo dimostrando, anche quando si presta opera in reparti non di pertinenza.
Da più parti si lamentano le problematiche di dimissione dei sintomatici Covid-19 dalle UO di Medicina al domicilio o nelle CRA, per la necessità di liberare i posti letto con un più rapido turn-over; si aggiunga la necessità di accelerare i tempi di dimissione dai Reparti di Chirurgia e Oncologia per i casi trattati.
L’esigenza di dare al Territorio un nuovo incarico, comporta una revisione del SSN e la creazione di nuove figure professionali, magari attingendo ai giovani medici definiti “Camici Grigi” (quelli che non sono riusciti ad entrare nelle Scuole di Specializzazione a causa del gap tra richiesta e offerta di circa 3.000-4.000 posti/anno); anche l’assunzione degli specializzandi all’ultimo anno, trova probabilmente difficoltà nella struttura stessa delle Scuole di Specializzazione.
Occorre dunque responsabilizzare ulteriormente le MMG nei confronti dei propri assistiti convenzionati nel rispondere alle richieste notturne e festive. In tal modo si potrebbero impiegare i medici che al momento svolgono queste funzioni con incarichi di Medicina di Territorio come gli USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) o turni Ospedalieri di bassa complessità e con tutors. A epidemia risolta potrebbero divenire il vero “trait d’union” tra Ospedale e Territorio con nuove funzioni di diagnosi, prevenzione e cura domiciliare o in strutture evoluzione delle attuali “Case della Salute”.