Ancora una volta ci ritroviamo così, a confrontarci con l’insensatezza di un conflitto che ha radici lontane ma che ribadisce uno scontro illogico e disumano tra popoli che condividono la stessa matrice umana. Ancora una volta restiamo inermi di fronte alla violenza mentre piovono notizie di bombardamenti e di uccisioni di esseri innocenti, tra cui molti bambini a cui viene chiesto di pagare colpe non loro.
Ancora una volta, infine, i nostri occhi riescono a stento a sopportare il peso di una tale catastrofe che vede poveri esseri ridotti a brandelli, mentre cercano una via di fuga da quella Striscia trasformata in prigione senza uscita e dove temono di restare schiacciati, per sempre.
E cos’è in fondo una guerra se non una prigione? La storia ci insegna che il risultato di ogni scontro tra uomini e genti ha avuto ben pochi riscontri positivi, anche in quei casi in cui il conflitto nasceva da cause nobili e si colorava di ideali puri e assoluti. I dopoguerra che hanno riempito i libri di storia e storiografia hanno sempre portato distruzione, caos e povertà quando non malattie mortali se pensiamo al periodo medioevale. Nessuna guerra può dunque illudersi di agire soltanto seguendo uno spirito di libertà e difesa della dignità umana, che viene piuttosto vilmente calpestata nel reiterarsi di comportamenti atavici che poco mostrano i segni positivi dell’evoluzione umana. Basti pensare a uccisioni di vecchi, donne e bambini, stupri e ogni altro tipo di violenza che riempie ormai le cronache quotidiane al punto d’aver creato un sentimento di abitudine o piuttosto di assuefazione.
Violenza chiama violenza. L’attacco subito da Israele la mattina di sabato 7 ottobre, all’alba, da parte del gruppo radicale palestinese Hamas, che governa la Striscia di Gaza, è stato senza precedenti, per estensione dell’operazione, per numero di persone uccise e per il modo in cui è stato compiuto. Hamas ha iniziato infatti una complessa operazione via mare, terra ed aria contro Israele che ha risposto in una maniera estremamente violenta bombardando la Striscia come non aveva mai fatto prima e mani-festando l’intenzione di iniziare un’invasione di terra per eliminare del tutto Hamas: tutto questo potrebbe, quindi, avere conseguenze catastrofiche per i civili di Gaza.
Israele ha risposto dunque all’attacco di Hamas con la stessa cieca spietatezza e lo stesso assoluto disprezzo per i civili e per le leggi internazionali che li proteggono. Solo così possono essere interpretati il blocco delle forniture vitali di acqua elettricità e medicine a due milioni e mezzo di persone e la perentoria ingiunzione a quasi metà di esse (più di un milione!) di sgombrare entro ventiquattro ore le loro case, le terre, i luoghi di lavoro, e di trasferirsi “altrove”. Da un mese ormai continuano micidiali bombardamenti indiscriminati che hanno distrutto abitazioni civili, ospedali, scuole, chiese, e ucciso diecimila civili, di cui quasi la metà donne e bambini. L’operazione israeliana può quindi essere definita una vera e propria vendetta, un “occhio per occhio, dente per dente”, anche se gli Stati Uniti, che da sempre proteggono Israele, si rifiutano di definirla tale.
Violenza chiama dunque violenza. La guerra non è più la soluzione alle incomprensioni e non elimina certo ingiustizie e soprusi, piuttosto ne crea altri. Sia la guerra ucraina che questo risorgere del conflitto tra Israele e Palestina hanno un retrogusto antico ma i danni, forse irreparabili, creati sono del tutto nuovi. Evidentemente i vecchi codici di comunicazione, veicolo di storie cariche di senso, non sono più validi. Forse le parole usate nel corso dei secoli hanno smarrito la loro carica semiotica e non riescono più a trasmettere idee e contenuti ma solo scatole vuote.
Ecco che allora in una realtà assurda che sfugge ad ogni logica sarà necessario coniare nuovi termini all’interno di un linguaggio che permetta di capire, interpretare e forse anche stabilire canali di comunicazione privilegiati e tali da permettere la circolazione di idee basate su una rinnovata musica ed un’autentica umanità.