Del bene e del male

Da un lato il bene, dall’altro il male? Ma che cosa sono? Il male è un mero non-essere, un’assenza di bene, un cono d’ombra plotiniano? Il male è ciò che non si deve fare, neppure talvolta pensare? Allora esiste. Eh sì; sembra che possa esistere.





Me ne torno a casa, dormo e al mattino mi trovo mezzo paralizzato. Come lo chiamo? Disgrazia, fato, destino o volere di chi? Coloro che negli ospedali si contorcono per il dolore lancinante, insopportabile, non sono forse colpiti dal male? Mi si obietterà: sono malati. E perché loro, proprio loro e non noi?

E coloro che soffrono per il male altrui? Mi si potrebbe dire: ma tale è un male metafisico, dell’anima. E i non credenti? Anche costoro penseranno ad un siffatto male? Lo si chiamerà male morale forse, ma il succo resta il solito: il Male. Ma tale non cambia anche con le regole sociali (in fondo le facciamo noi secondo epoche, periodi storici, strutture sociali e sono mutabili)? “Bene” è uccidere o – meglio – “giustiziare” il condannato che si è reso reo di qualche delitto (grave? Può esser anche un dissidente, secondo il regime imperante), mentre altri pensano che questo “bene” – o pena capitale – non sia che un “male”. Si dovrebbe cadere nel relativismo assoluto? Ciò che una società storicamente determinata ritiene erroneo o dannoso per la sua sopravvivenza lo denomina con “male”, ciò che ritiene utile con “bene”. In parte è vero ma non soddisfa il problema radicale: il perché ci ripugnano, a distanza di secoli, certe azioni mentre altre le diciamo nobili, e le facciamo rientrare nella cosiddetta “categoria” del “bene”.

Eppoi resta intatto il problema non solo della sofferenza psico-fisica ma della sofferenza morale, della solitudine più o meno forzata, della inquietudine, dell’incomprensione. È pur vero che il “male” del banchiere resta dar soldi a poco interesse o a persona poco affidabile, che il “male” dell’industriale rimetterci nella sua impresa oppure non saper affrontare una determinata situazione con razionalità imprenditoriale e via dicendo. Ma tali sono “mali” minuscoli: il Male, quello con la maiuscola, è l’estrema negatività dell’esser umano, la negazione della “libertà di”, di libertà che non si può attuare.

È il nauseante senso d’impotenza davanti a malati terminali, davanti all’apatia, all’indifferenza, davanti alle urla strazianti o al silenzio assordante che grida, inascoltato. Lì appercepiamo il Male maiuscolo perché impotenti nel far qualcosa, riconoscendoci nella nostra miseria di non aver saputo prevenire. Quando assistiamo alla morte violenta di un condannato a morte, avvertiamo evidente il senso del Male, di un’umanità malata; quando non sappiamo mettere posa a crudeltà, ad incendi più o meno estesi di guerra, avvertiamo il Male nella sua estrema negatività altrimenti anche il mercante d’armi potrebbe rifarsi a certo “relativismo” per giustificare il suo commercio. Eppure l’etica (da ethos, costume, ciò che veramente viviamo ogni dì nei nostri rapporti interpersonali, nel milieu che ci fascia, abbraccia) mentre ci proibisce lo stupro o la violenza in tempo di pace e nei confini nazionali, è contraddittoria in quanto li permette contro i nemici quando si è in guerra, anzi incita all’omicidio e ad ogni efferatezza.

Il Male maiuscolo non è forse l’impotenza d’agire per mutare? Non è forse per tale motivo che un filosofo ha esclamato che in fondo da ciò dipende il nostro sogno di onnipotenza che si traduce nell’essere Dio? O forse da qui il bisogno, postillerei, di un dio?

Posted

11 Jun 2024

Pensieri e riflessioni


Enrico Marco Cipollini



Foto dal web





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