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La percezione sociologica del Festival della canzone tocca i cuori, quando al di là degli interessi contingenti delle aziende discografiche, delle mode e delle tendenze del momento, del narcisismo edonistico nel desiderio insopprimibile di apparire, racconta con note e parole le sfumature complesse delle emozioni umane. Liberata dalla superficialità lo spettacolo musicale ribalta i valori della cultura imperante emozionando e si fa impegno sociale che induce alla riflessione sui piccoli e grandi temi dell’esistenza.
Molte canzoni, certamente le più sensibili alle tematiche del vissuto, alcune delle quali basate sulle poesie, mostrano la capacità di dar voce agli emarginati, ai diversi. Considerare la fragilità soprattutto quella giovanile del dopo Covid, espressa nei testi musicali, significa trasmettere il valore dell’accoglienza e dell’integrazione. I giovani oggi immersi nel villaggio globale, tra infinite insidie sono certamente più insicuri dei loro padri e, anche quando si mostrano agli altri forti e determinati, con sé stessi si ritrovano soli. Contro la marginalità della povertà non solo materiale ma spirituale, spesso presente nella comunicazione dei social, cantare raccontando debolezze, incertezze e solitudini significa aprirsi alla speranza nella condivisione empatica.
La musica, come osserva il Maestro Ezio Bosso, ci insegna la cosa più importante: ad ascoltare e ad ascoltarsi. Spesso rappresenta l’unico linguaggio che ci permette di dialogare facendo leva sulla sensibilità comune armonizzando i vari sentimenti promuovendo la pace dentro e fuori di noi, trasportandoci in “un’altra dimensione”, in uno spazio gioioso. La festa della canzone italiana permettendo a tutti di ascoltare le voci degli altri si fa scienza delle emozioni in cui lo spirito di un’intera comunità sociale opera, pensa e sogna.
Quando il pubblico del Festival, onorando l’esibizione canora dei loro beniamini, si alza, balla e canta e con un’unica voce ripete le stesse parole, a mio avviso, condivide una bellezza che si fa poesia. Nell’assistere all’originale performance di Loredana Bertè mi viene in mente la frase di Friedrich Nietzsche: “E coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica”. Loredana da esperta cantante conosce bene il demone della musica che costituisce il genio del suo talento. Allo stesso modo la saggezza di Giovanni Allevi fa della filosofia poesia di vita.
Tra le tante e commoventi considerazioni sulla sua esperienza quando dice che dalla finestra dell’ospedale, dove è ricoverato come paziente oncologico, osserva le albe e i tramonti distinguendoli comunica un desiderio infinito di vivere assaporando ogni attimo di ombra e luce.
Allo stesso modo la sua tenacia nel suonare davanti al pubblico, nonostante i dolori fisici che l’affliggono, sostenuto dall’anima mostra la spiritualità profonda dell’espressione musicale capace di oltrepassare il tempo e lo spazio. Non è facile descrivere il buio che abita nello sconforto della mente per farne consiglio a confortare il disagio esistenziale. Allevi ha mostrato con la sua profonda onestà professionale ma soprattutto umana la possibilità di superare la sensazione di smarrimento ritrovando, con il filo della razionalità, la speranza. La musica non fa vibrare solo con le sue onde sonore l’apparato acustico ma cambia il pensiero contaminandosi nell’abbattere le barriere e nel donare nuovo benessere. Nella serata stupenda delle “Cover”, nella quale sono state riproposte al pubblico le canzoni d’autore, meravigliosa non solo per la nobiltà del messaggio trasmesso ma per l’emozione travolgente che è arrivata anche alla platea, è stato il duetto tra il giovane Alfa e il veterano Vecchioni.
La bellissima voce di Roberto, un poeta che canta il meraviglioso, accompagna l’esibizione di Alfa invitando con lui tutti i giovani a sognare. Il testo della canzone, che si fa “lirica”, viaggia sulle note e suscita coraggio nella lotta per la giustizia. Ma saranno le nuove generazioni a scrivere l’ultimo verso: “Sogna ragazzo, sogna ti ho lasciato un foglio sulla scrivania, manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu”. Il cantautore, che è anche un insegnante, non dimentica mai il valore letterario e nel contempo educativo delle sue canzoni capaci di figure retoriche e significati nascosti per dare alle canzoni dignità di opere d’arte. Se Alfa guarda con ammirazione Vecchioni come fosse il suo maestro, Vecchioni, da parte sua, chiude gli occhi assorto nell’ascolto quando Alfa aggiungendo un finale Rap all’esibizione conclude con alcune sue rime. La musica abbraccia le generazioni che pur con stili, tempi, modi diversi esprime i bisogni eterni dell’uomo: gli stessi narrati dai poeti di ogni epoca e di ogni Paese: “I poeti che non si interessano alla musica sono, o diventano, cattivi poeti” (Ezra Pound).
Pertanto è riduttivo parlare solo di intrattenimento. La musica che ispira e insegna ci invita anche alla responsabilità. Considerare temi “di tendenza” banali e scontati svuota del suo immenso potenziale una delle più alte forme di comunicazione create dall’uomo. E noi che l’ascoltiamo dovremmo chiederci seriamente che cosa ci aspettiamo da una canzone per comprenderne appieno il suo valore.
Lasciatemi concludere, questa mia breve recensione, con la poesia-canzone “Sentire Alda” composta da Vito Terribile sulle parole del componimento “Sentire”, che pur non presentata al Festival, ne coglie la finalità principale: raccontarsi e raccontare emozionandosi.
Mi piace il verbo sentire.
Sentire il rumore del mare,
sentirne l’odore.
Sentire il suono della pioggia che ti
Bagna le labbra
Sentire l’odore di chi ami,
sentirne la voce
e sentirlo col cuore.
Sentire il vento
delle emozioni,
ci si sdraia sulla schiena del mondo
e si sente…
(Alda Merini)