Un talento travagliato dalle sue stesse emozioni, Edvard Munch fu un pittore norvegese con un’infanzia disagiata dalle malattie e dai lutti familiari che ne accentrarono il suo stato di terrore lasciandolo sfogare per mezzo della pittura.
Nato a Løten il 12 dicembre del 1863 e deceduto a Oslo il 23 gennaio del 1944, offrì al suo trascorso artistico un importante bagaglio morale che accese la sua pittura con intensa forza psicologica.
L’urlo di Munch è il dramma dell’esistenza, della circoscrizione di ciò che siamo già dalla nascita in un destino preconfezionato dal non ambito ma obbligatorio traguardo, la morte.
L’opera espone un forte stato di terrore dell’uomo che vi è sovraccaricato dai conflitti psicologici che scuotono violentemente anche lo spazio che lo circonda con dei colori decisi e delle forme tortuose.
Essa è un’opera di altissimo livello concettuale, dove la vita non è alla base della sua bellezza cognitiva ma esprime il marcio della dinamica temporale e, nella menzogna di un destino benevolo, ci conduce a delle sorti di traguardi non desiderate. Traguardi che si modellano in sentenze nonché in condanne di vita sino alla chiusura del sipario emozionale - ormai esausto - per mezzo del decesso. Ed è forse proprio lì che il meritato riposo giunge, come una carezza sul volto che asciuga tutte le lacrime vissute sullo spazio terreno. L’autore, senza barriere morali, lasciò pertanto andare questa realtà alla luce, dimostrando quanto un urlo di terrore può scuotere l’esistenza, la morale e il punto di vista umano. L’uomo, figurato su un sentiero in salita sulla collina di Ekeberg, sopra la città di Oslo e delimitato da una staccionata, accentra il suo turbinio di angosce con il viso stravolto, simile a quello di un cadavere, con gli occhi spalancati e inorriditi, con la bocca aperta dal suo grido e con le mani sulle orecchie per attutirne il suono emesso a squarciagola. E, in questa figurazione del soggetto, l’energia negativa si propaga deformandone l’ambiente circostante come se non ci fosse alcuna via di scampo. Sulla sinistra della composizione, vediamo in lontananza due personaggi che non sono affatto stravolti dal grido, poiché sordi e inemozionali al dolore dell’artista.
Dei mali della vita ci si consola con la morte, e della morte con i mali della vita. Una gradevole situazione. Le parole di Arthur Schopenhauer risuonano come melodrammi esistenziali anche sulle pennellate di Munch, quasi in comune accordo, come a volerci indirizzare su un significato univoco che non lascia via di fuga se non l’illusoria bellezza dell’espressione che cerca di modellare le debolezze in forza cognitiva.
Tuttavia, è doveroso individuare i sensi della vita su svariati fronti, poiché l’arte è un messaggio settoriale che figura una circostanza, ma mai l’intero viaggio di ogni individuo. Quindi sulla base di questa concezione non possiamo ridurre una vita difficile “in terrore e morte”, bensì dobbiamo essere capaci di ampliarla verso orizzonti favorevoli per la nostra personale esperienza terrena.
Edvard Munch trovando giovamento nell’arte, decise di riversare i suoi momenti più crudi proprio nell’espressione pittorica al fine di liberarsi, di sollevarsi emotivamente, ma questo contenuto portò la Germania nazista a bandire le sue opere come “arte degenerata”. In ogni caso, la maggior parte delle sue opere sono sopravvissute alla seconda guerra mondiale.
Dell’opera L’urlo esistono quattro versioni e da una pagina di diario dell’artista divenne chiaro il desiderio di questa creazione prettamente autobiografica: Una sera camminavo lungo un viottolo in collina nei pressi di Kristiania - con due compagni. Era il periodo in cui la vita aveva ridotto a brandelli la mia anima. Il sole calava - si era immerso fiammeggiando sotto l’orizzonte. Sembrava una spada infuocata di sangue che tagliava la volta celeste. Il cielo era di sangue - sezionato in strisce di fuoco - le pareti rocciose infondevano un blu profondo al fiordo - scolorandolo in azzurro freddo, giallo e rosso - Esplodeva il rosso sanguinante - lungo il sentiero e il corrimano - mentre i miei amici assumevano un pallore luminescente - ho avvertito un grande urlo ho udito, realmente, un grande urlo - i colori della natura - mandavano in pezzi le sue linee - le linee e i colori risuonavano vibrando - queste oscillazioni della vita non solo costringevano i miei occhi a oscillare ma imprimevano altrettante oscillazioni alle orecchie - perché io realmente ho udito quell’urlo - e poi ho dipinto il quadro L’urlo.
Una versione del 1893 riporta la tecnica ad olio, tempera e pastello su un cartone dalle dimensioni di 91 x 73,5 cm e ad oggi è ubicata al museo nazionale di arte, architettura e disegno di Oslo.
Un’altra, della stessa datazione, fu realizzata a pastello su un cartone di 74 x 56 cm ed è sita al museo Munch di Oslo.
Nella versione realizzata nel 1895 la tecnica fu eseguita a pastello su un cartone di 79 x 59 cm e attualmente è parte di una collezione privata.
Mentre nella produzione del 1910, L’urlo vi è figurato a tempera su un pannello che misura 83,5 x 66 cm ed è conservato al museo Munch di Oslo.