Care Amiche e Amici, ho rispolverato una tela a olio del 1980 che dedicai all’Anno del Bambino indetto dall’UNICEF, in ricorrenza dei venti anni dalla adozione dei “Diritti del bambino” indetta dall’ONU nel 1959. Realizzai due Bambini immersi in una dimensione buia, imprigionati in un tipo di alone artificiale e di vuoto assoluto; un condizionamento in cui si intravede uno spiraglio di luce uscente da una serratura che lambisce le due figure come possibile speranza futura. Le discussioni di questi giorni, in cui si parla molto della condizione attuale dei minori, in un momento in cui gli eventuali riflessi del virus potrebbero generare nella loro psiche conseguenze negative, mi ha riportato alla memoria questo mio impegno in un periodo che potrei definire “blu.”
Realizzavo pitture sui disastri ambientali e sulle problematiche esistenziali che la violenta e rapida trasformazione della società causava, non solo nel paesaggio ma nelle nuove generazioni. Avvertivo sempre più la mercificazione assassina che usava l’innocenza delle persone e soprattutto delle nuove generazioni attraverso la cultura dell’effimero e dei piaceri facili, mediata dalla filosofia commerciale del divertimento a prescindere, improntata sul famoso carpe diem. Per cui fumo, droga e tutto il resto diventava stile di vita.
Quando vivevo a Roma, un grande produttore di film, per simpatia, volle regalarmi un piccolo astuccio, bello come uno scrigno d’avorio, pieno di “farina bianchissima.” Dissi “no, grazie”. “Ma come, un artista come te? Dai?” “No, mi dispiace – dissi – non faccio certe cose.”
Un amico in seguito mi apostrofò in dialetto romano: “Aho’, ma sei stronzo... vai a rifiutà ‘na cosa der genere? Poi entrà ner cinema...”
“No – gli dissi – se sei un artista non hai bisogno di certe cose, o le hai dentro o non le hai, altrimenti distruggi solo la tua vita.”
Ne ho visti tanti “morire” di false speranze e di illusioni seguendo miti che portano all’autodistruzione. Vittime di culture esistenzialiste e di speculazioni mercificatorie dei grandi finanzieri dello “star system.” Per cui, io che sono di altri tempi in cui la vita era molto amara, sono portato a non drammatizzare più di tanto le vicende attuali, anche nella loro durezza.
E sicuramente sbaglio.
Ma sono nato appena dopo la guerra in cui per mangiare si andava nelle campagne a raccogliere erbe e dove la vita sociale non è che fosse così idilliaca come si racconta, in cui i sudori non diventavano lacrime in quanto non ce lo potevamo permettere. Si trattava di una continuazione di esistenza, fatta di privazioni e sopraffazioni, che aveva plasmato gli uomini e le famiglie dall’animo sensibile ma ruvido come corteccia o duro come sassi di montagna, tutto mi passa come esagerazione di una società attuale fatta di mollezze. I mali sono sempre improvvisi.
Ma sbaglio io. Forse.
Mio padre, a me ragazzo ingenuo come tanti che davamo molte cose per scontate, mi diceva: “Attento, tutto ciò che si ha e che si vive adesso non è caduto dal cielo. Le libertà, i benesseri sociali non durano in eternità, i rovesci di sistema, i ritorni alle sofferenze, alla fame, son sempre dietro l’angolo.” E aveva ragione. E oggi più che mai ci rendiamo conto che, in un momento di rivoluzioni geopolitiche, basta l’arrivo di un virus – concreto, politicamente e nei fatti – ad affamare tanta gente.
E come ogni carestia, come ci insegna la storia, se molti fanno la fame, pochi, i ricchi speculatori, con le loro congreghe lobbistiche diventano sempre più ricchi.
Un caro saluto a tutti. Al prossimo caffè, solito privè.