Operazione Overlord. I dimenticati, figli di nessuno

6 giugno 1944: il D-Day, ovvero lo sbarco in Normandia. L’invasione delle truppe alleate del nord della Francia, che provocò la morte di quasi 20mila soldati, è stata una delle operazioni militari più importanti della Seconda Guerra Mondiale, il momento tanto atteso e meticolosamente pianificato della liberazione dell’Europa continentale dal controllo nazista. Tra questi anche 220 italiani dimenticati dalla storia

care Amiche e Amici, nel giorno della ricorrenza del D-DAY, come ogni 6 giugno, un omaggio a mio padre con un ritratto che gli feci nell’autunno del 2010, matita a carboncino. Ci lasciò in primavera. Partecipò allo sbarco in Normandia nella famosa spiaggia del nord-ovest della Francia chiamata Omaha Beach. Restò quasi un anno a combattere con gli americani per liberare la Francia dai tedeschi e in seguito il Belgio. Ritornò in Italia a causa di due schegge in una gamba e in un fianco.




Presero parte allo sbarco circa 220 italiani. Eppure, come avvenne con le Foibe, nessun governo ha mai cercato di far valere questo apporto a livello internazionale. I governanti del dopoguerra sapevano, mentre quelli attuali non sanno nulla di quegli italiani che non esistono nemmeno su un libro di storia. È amaro constatare questa perenne negatività italiana dovuta alla mancanza di una volontà politica e storica nel tramandare l'eredità della memoria. Discorso lungo e complesso che comporterebbe un'analisi su ideologia e rigore storico.
Declinazione che dimostra l’incapacità nazionale nell’avere cultura di stato, colpa sempre del “particulare”. Un Paese che non tramanda la propria memoria è destinato a fallire. Ed è quello che sta avvenendo. Come ogni anno, nella ricorrenza dell’evento, mi è solito tracciare un minimo di storia. Mio padre, Michele Del Boccio, trovandosi a combattere in nord Africa, fu richiamato col suo battaglione a difendere la Sicilia dallo sbarco degli alleati. Durante la traversata un bombardiere americano sganciò una bomba sulla nave. Non scoppiò.
Era piena di sabbia in cui gli artificieri trovarono un biglietto con su scritto: “gli italiani si aiutano anche da lontano.” Quando si dice la sorte. In Sicilia, dopo lo sbarco e vari combattimenti, si situarono in un boschetto su una collina. Mio padre, con la morte nel cuore, mi raccontò che mitragliarono centinaia di militari che gli alleati facevano avanzare, ubriachi, come carne da macello. La maggior parte erano neri. La posizione in cui si erano nascosti era quasi inespugnabile, finché giunse l’ordine da parte degli alti comandi di scendere in pianura e scavare le trincee.

Mio padre allarmato disse al capitano che scendere in pianura avrebbe significato morte certa esponendosi agli attacchi, non solo dei bombardamenti aerei, ma anche delle avanzate nemiche via terra. Ed è ciò che avvenne. Il capitano rispose che quelli erano gli ordini e andavano eseguiti. Non si è mai capito bene se furono i tedeschi a suggerire quella strategia per farsi coprire la ritirata verso nord o se fu per distogliere l’azione nemica da altre zone.
Stando in collina si trovavano in una posizione di vantaggio sulle truppe nemiche di terra. Vantaggio che persero. Una volta scesi in pianura mio padre mi parlò più volte di un cielo simile a una cappa scura a causa della presenza dei tanti aerei. Tanti, come cavallette, mi disse. Non si vedeva più un lembo di cielo. Le trincee diventarono un inferno di fuoco e fiamme subissate di bombe che cadevano dal cielo come grandine e con le migliaia di proiettili sparati dai soldati che avanzavano via terra con mitragliatrici e cannoni. Tra fiamme e urla dei tanti amici e commilitoni che morivano in modo atroce, mio padre, immerso in quell’inferno, pensò che fosse arrivata la fine anche per lui. Non gli rimase che affidarsi alla croce che portava al collo. Gli andò bene, si salvò. Di tremila ne rimasero sessanta e furono fatti tutti prigionieri.


Ritratto di Michele Del Boccio (2010).
Autore: Nestore Del Boccio



Lui fu riportato in Africa ma un avvenimento cambiò la sua vita.
Dopo l’armistizio, da grande nuotatore quale era, avendo salvato un comandante americano che stava annegando a duecento metri da una spiaggia del nord Africa, gli americani gli chiesero, non essendo più nemici, se voleva combattere nelle loro linee contro i tedeschi. Mio padre accettò. Lo imbarcarono per gli Stati Uniti e un anno dopo lo sbarco di Sicilia del 1943, si ritrovò nello sbarco di Normandia a Omah Beach il 6 giugno del 1944 insieme alla fanteria americana.
Combatté i tedeschi da nord a sud della Francia e in inverno anche nella battaglia finale in Belgio. Poi fu ferito da due schegge nella parte sinistra del corpo, una alla gamba e l’altra al fianco. In seguito all’operazione, lo fecero rientrare in Italia nel 1945. Gli fu estratta una sola scheggia, l’altra la portò sempre con sé, “è un mio ricordo di guerra”, diceva.

Di questo manipolo di valorosi italiani nessuno ne ha perpetrata la memoria. La solita vergogna. Quando vedo che in Normandia sono presenti diversi capi di Stato alla commemorazione e non c’è nessun italiano, mi chiedo perché quei duecentoventi italiani che hanno partecipato allo sbarco siano stati dimenticati. Sono figli di nessuno? Vergona, ripeto. Non riusciamo mai ad avere una classe politica all’altezza. Un paese i cui gruppuscoli di cecità ideologica lo hanno reso sempre di pastafrolla e che, per interessi di parte, della de
bolezza dell’Italia fanno terreno utile a speculatori e lobby.
A mio padre, che gli americani chiamavano Mike, offrirono la nazionalità americana: lui la rifiutò. Quando gli dicevo “papà hai sbagliato”, mi rispondeva sempre allo stesso modo: “A cosa mi serve? Sono italiano.” Forse poteva essere utile a me”, rispondevo. Ma anche qui la risposta era sempre la solita: quella di un sorriso.

In quel sorriso vi era nascosto il vissuto di un uomo il cui concetto era, come mi diceva spesso: “ricordati, ovunque andrai non ti regalerà niente nessuno.”
Dopo i cinque anni di guerra fu anche emigrante in Venezuela, sapeva bene cosa significasse andare in giro per il mondo. Oggi declamano eroi soggetti per una scivolata di banana o per delle inezie accidentali. Riti teatrali utili alla scenografia dell’apparire. I segni duri della guerra li portò sempre con sé, a volte era aspro, come tanti reduci violenti dei film americani o come quelli che erano stati in Vietnam, ma era sempre di grande generosità umana. Non aveva grande fiducia negli uomini, soprattutto quelli che facevano politica. Mi diceva, vedendomi impegnato: “tu sei troppo sincero, onesto, gli altri sono cani di piazza.” Nella nostra cultura c’erano i cani che aiutavano l’azienda di casa e quelli di piazza che cercavano di fregare i simili per vivere. Lo contestavo, ma ha avuto sempre ragione lui.
Mia madre aveva un’origine culturalmente elevata essendo il padre, diplomato in sette lingue, figlio di uno scultore lombardo che, arrivato a Roma, venne poi in Abruzzo a scolpire statue nelle chiese. Mio padre, al contrario, era di estrazione classica contadina e della pastorizia abruzzese. Aveva una visione molto concreta della vita. Ha sempre avuto ragione lui.
Ciò che mi rattrista è constatare questa Italia banale e goffa, sempre poco generosa con i suoi figli. È sempre quella dei furbi. Cristiani ma ipocriti, socialisti per le proprie tasche, come oggi: europeisti per il proprio divano. Sul carro del fascismo prima e vincenti dopo sul carro degli antifascisti. Ne conosco tanti. Tutto senza pudore. Sufficiente essere l’amante di qualcuno per essere perfino titolata o titolati come combattenti per la libertà. E quelli che l’hanno fatto davvero, tutti nel dimenticatoio dell’indifferenza. Senza una lira in tasca. E mi riferisco a mio nonno morto sotto il fascismo da confinato a Matera. A proposito, quella croce che secondo mio padre lo salvò, me la diede insieme alle due piastrine con i codici di cooperante americano un paio d’anni prima che morisse. Mi disse con la solita ironia: “le lascio a te che sei l’intellettuale di famiglia, mi raccomando, fanne buon uso.” Quei cimeli li porto sempre con me. E non so a chi un giorno dovrò lasciarli. Esserne degni testimoni non è facile. Intanto, permettetemi: Ciao Papà. Un caro saluto anche a tutti voi.

Posted

15 Jul 2021

Pensieri e riflessioni


Nestore Del Boccio



Foto di Nestore Del Boccio





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