La splendida nuova “Stella” dell’universo letterario-poetico di Maria Teresa Infante La Marca, che alza progressivamente l’“asticella”, dimostrando la sua immensa carica umana, intellettuale ed artistica, conferendo ogni volta ai suoi scritti intensità e profondità di forma e sostanza, è intitolata La sconosciuta, termine non mai così appropriato.
L’opera rivela, già dal primo sfogliarla, la genialità dell’Artista, una creatività armoniosa e sorprendente, che si dispiega compiutamente a tutti i livelli.
Veste una forma atipica, nel senso che definizioni e categorie usuali non le stanno bene addosso, non la vestirebbero così come si deve.
È un romanzo-non romanzo, con una trama-non-trama, con paragrafi, per usare il termine, introdotti dallo stesso gruppo di parole, nodali e funzionali alla narrazione “A un’ora dal Destino”, in cui i personaggi non dialogano mai tra loro, ma efficacemente presenti, nella loro interezza umana (fisiopsichicosociale) per interposta persona.
E la scrittura? Originalissima e personale, combina in un’amalgama d’insuperabile spessore espressivo, prosa poetica e poesia allo stato puro, in un continuum avvolgente, fluido, profondo, misurato e superbamente significante. Esperimento letterario, spontaneo e naturale, simile ad un rigurgito poetico, come la stessa Autrice la definisce; l’abito più adatto e raffinato da far indossare, ed “essere”, esso stesso, sostanza, di una narrazione di tale potenza. Detto questo, che rappresenta il minimo sindacale per un’opera del genere, destinata a lasciare il segno nel tempo, ecco i personaggi.
Lei è Amanda, l’Altra è il suo Alter Ego, la pura essenza di sé, la vera possidente la Sconosciuta; e Lui è un signore “senza nome”, un po’ più avanti negli anni rispetto a Lei, legati stretti dello stesso amore.
Comprimario, anzi dominatore assoluto e beffardo il Destino, ineffabile ed ineludibile, che spiazza, devasta e decide.
Si affaccia (in modo significante) nella narrazione, Gisa, tenera creatura che induce empatia e simpatia, e una mano con al collo il doppio filo di perle, di un’anonima donna indifferente, distante, anaffettiva, glaciale, chiusa nel suo labirinto materiale e mentale di egoismo, a rappresentare lo scoglio, contro cui batte l’onda dell’amore.
L’ambiente e il tempo nella narrazione non sono dimensionati, essendo il tema trattato, l’Amore, sentimento universale ed eterno - rapina dell’anima - come lo definisce Platone, non bisognoso perciò di recinti spazio-temporali.
I due vivono di un amore puro, assoluto, totalizzante. Destinati da sempre ad essere l’uno per l’altra, prima ancora che si conoscessero.
Il Destino aveva deciso così, lui padrone assoluto. E in quel Vintage Cafè, dove s’incontrano fisicamente per la prima volta, sono già catapultati in un amplesso mentale (…) infatti erano andati via lasciando i corpi sulle poltrone in ecopelle ocra, senza che nessuno se ne accorgesse.
Comincia con questo incontro, apparentemente fortuito, la profonda ed appassionante storia d’ amore che non può non lesinare gioie, ma soprattutto sofferenze ai due protagonisti, in un continuo fluttuare di sensazioni dolci e amare nel loro naturale-innaturale evolversi.
L’Autrice scandaglia, con assoluta lucidità e maestria, la personalità dei protagonisti e ne trae un dettagliato profilo psicologico, segno di una profonda e vasta conoscenza dell’animo umano, e non solo al femminile.
Il risultato. Sono persone reali, vive, di cui apprendi ogni loro pensiero, ogni azione e/o reazione, di cui intravedi finanche i dettagli dei loro percorsi mentali, oltre che reali e fisici; ne percepisci le ansie, gli affanni, i battiti, i respiri profondi, anche i profumi che emanano i loro corpi quando s’incontrano. Al lettore è dato d’immergersi, subito e completamente, nel sangue e nella carne, negli attimi bui della sofferenza ed in quelli luminosi ed inebrianti dell’estasi, che fanno del loro sentimento l’unica e sola ragione di vita, in cui lo “stare insieme” fisicamente è solo una parte del loro “stare”, perché sanno entrambi che dopo ogni incontro passionale e vorace, in cui esplode la carnalità, l’avidità dei sensi, la fame dal digiuno sempre troppo lungo dell’assenza, spento fuori il mondo, accesi solo al loro sentire, danno vita a quel donarsi reciproco che è altitudine e profondità, è cielo e terra, è estasi e sofferenza, è vita e morte da cui rinascere più forti insieme ed opporsi a quel destino, che li ha legati, che spiazza, che scombina, che squaderna a suo piacimento.
Tanti gli incontri, altrettanti i distacchi, che mai saranno tali perché negli addii non andavano mai via l’uno dall’altra Lui partiva, portandola con sé/Lei restava, partendo con Lui. Un’apparente dualità in una sostanziale ed assoluta unità, di corpi e di anime che si bramano, in cui ognuno vive muore e rinasce nell’altro e dall’altro, in una complessa vertigine di sentimenti e sensazioni che è dato vivere al lettore, in modo profondo e condiviso e/o condivisibile.
Si realizza nel lettore una magnetica partecipazione umana a queste due persone, non personaggi, così intimamente unite, che tentano, con tutte le loro forze, di vivere non un amore, ma l’amore, degno di tale nome.
È perciò storia che ti prende e ti possiede, t’incatena, ti spinge ora all’uno ora all’altra, nei momenti in cui “senti” anche sulla tua pelle, nella tua anima, il peso di quel “sentire” che asfissia, che prelude a momenti che non annunciano nulla di buono.
Ed è lì che vien voglia di coccolarli, di incoraggiarli, di accarezzarli per dar loro il senso di una condivisione fraterna e sollievo al male, che un tale rapporto, concepito e vissuto senza infingimenti e compromessi, non può non dare, non solo rose, ma anche spine, e spine dolorose.
La narrazione raggiunge culmini di grande bellezza poetica e potenza espressiva pagina dopo pagina senza soluzioni di continuità.
Mirabile vicinanza del lettore, a mio avviso, si realizza anche quando Lui rende più chiara a se stesso la sua “situazione”, pur convinto della solidità e vigore del suo sentimento. Certo, Amanda era il filo che lo teneva in vita, Lei il motivo per credere di non essere già morto, Lei era la terra in cui affondare per riappropriarsi delle radici, farsi uomo ed avere il dominio della sua reale sostanza.
È il tempo della decisione, del cercare la strada, un modo per non sacrificare ed immolare questo amore che è libertà e prigione, è vita e morte.
Nei confronti di questo nobile sentimento condiviso, non è solo il Destino, che rema contro, intervengono con vigore assurdo di convenienza le convenzioni sociali, imponendo l’ipocrisia della finzione, della maschera da indossare in società, della messa in scena, come a teatro, di costumi adatti a rendere la rappresentazione credibile, chiara e sicura agli occhi dello spettatore /società/mondo, abituato alla navigazione superficiale, a vista, semplificata, spicciola, perché più facilmente fruibile e disponibile a emanare giudizi e condanne.
Stanco, fiaccato da questo suo essere-non essere, Lui vive la vertigine: una vita che ne contiene due, agli opposti.
Il corpo riverso sulla sedia Shabby, era il fantoccio di ciò che restava di spalle alla luce, ma se girava la sedia la luce ad illuminargli il senno riconosceva che quegli anni vissuti a metà era il vero goduto.
La consapevolezza di sé diventa stringente, lo divora aveva martirizzato l’Amore, un amore per pochi per anime elette, lui un prescelto, incapace di elevarsi oltre le nebbie dell’uniformità, non era riuscito a recidere le trame della farsa, che continuava ad inscenare tutti i giorni, aveva tenuto al palo un sentimento superiore ad ogni logica, brandendo la spada dell’apparenza.
Colpevole, questo il giudizio di sé: venti anni di questo amore a nutrirli di gioie e immani sofferenze, ed ora? Ancora una partenza, un bivio, un addio. Questa volta però Lei lo aveva lasciato andare, lui l’aveva lasciata… stare e la simbiosi si sgrana, il comune orientamento si avaria, si frantuma ed è dolore che dilaga ad ogni respiro.
Amanda sembrava non essere più lei, annacquata da un’assenza, e L’Altra, la Sconosciuta, la vera essenza di colei che stava soffrendo, era ancora integra, aveva spalle robuste, ripudiava il pianto, temeraria e stabile, tenace e vigorosa, si riscattava ad ogni nuovo giorno (…) ad ogni disinganno del suo ventre. L’Altra compone il tutto, gestiva il resto, tutto quello che Amanda non fa e, soprattutto, si prende grande cura di lei. Si appoggiavano l’una all’altra, sovrapponendosi, vasi comunicanti in una unica sembianza.
Ma Amanda freme, aspetta il ritorno, lo cerca, ne sente la voce, ecco è alle sue spalle… non lo trova: è devastata, è sofferente, ma non può crollare, deve farsi forza. Lo deve soprattutto all’Altra, per la sua devota vicinanza, il suo affettuoso sostegno, la sua discreta perenne presenza.
E arriva il tempo della verità. Lui questa volta non è tornato e non tornerà: lo smarrimento diviene angoscia insopportabile, è crisi di astinenza, è dolore nel dolore! Nella mente di Lei un pensiero avanza e si fa strada, come ultimo desiderio, o addirittura speranza la morte era preferibile ad un abbandono; sì, sarebbe stato meglio, non avrebbe potuto reggere a qualcosa di diverso, sarebbe stato inconcepibile, assurdo… dopo vent’anni vissuti intimamente in simbiosi! Si fa indispensabile la necessità di una scelta, il bivio questa volta chiede molto di più. La necessità di una scelta radicale, far vivere ancora questo amore cui tanto si è dato di vita e di morte. E si sceglie.
La storia ha un suo epilogo che è bene che ogni lettore scopra e viva da sé. Lettore in cui i due hanno fatto breccia sin dall’inizio, abitandolo completamente con tutta la loro realtà fisica e spirituale. Li si sente dentro come presenza viva, presi dalla loro sofferta situazione di distacco, ma anche felici, quando insieme danno sfogo alla loro passione, quando tutto il mondo e quel che contiene è fuori dalle pareti che li tiene stretti avvinghiati l’uno al corpo ed all’anima dell’altro, e non esiste alcunché al di fuori del loro amore.
Che d’amore si vive pur morendo. Senza amore si è morti pur vivendo. Quando l’amore lo si lascia andare sull’ara di un compromesso, dove l’incenso ha il tanfo della mistificazione ed il pudore taglia le vene al cuore.