È pensiero comune – forse di ogni tempo – chiedersi dove stia andando la poesia contemporanea ma la poesia è scritta da poeti e i poeti sono uomini che seguono direzioni diverse, compiono scelte differenti. Ogni uomo è una entità a sé stante e spesso con una scala diversa di valori. E già tale presupposto inquieta perché i valori hanno carattere universale ma mai come in questo nuovo millennio stiamo assistendo a un ribaltamento “pilotato” dei principi che regolano l’esistenza umana con conseguente distopia dell’etica e della morale.
Una società in cui i bisogni dell’individuo sono assoggettati all’imperialismo economico e politico è omertosa e malata, destinata al degrado e all’annullamento della sua funzione primaria, lontana dal disegno originario:
Anche dio erra stanco/ come questo sole,/ svogliato.
Il giusto e l’ingiusto, il bene e il male hanno rotto le acque e il confine non è più chiaro e delineato con conseguente aumento delle zone d’ombra in cui è facile incappare in tagliole abilmente occultate.
E se la poesia è disconnessa dal poeta-uomo possiamo ancora parlare di “poesia onesta” o solo di funambolismi letterari, di egotici intellettualismi?
Il diktat odieno è in fila per due, ubbidienti e mansueti per mettere ordine – come in una scarpiera – laddove il disordine è vitalità, e diversità è sinonimo di bellezza. E così “l’ordine” non è altro che uniformità e grigiore cerebrale ed esistenziale in cui ogni stimolo, sogno o tentativo, sono uccisi sul nascere e il pensiero individuale, la libera espressione critica divengono una colpa perché rompono gli schemi.
Un preambolo necessario, il mio, un’arringa per giungere alla con-danna del nostro Autore, Carlo Luti, colpevole di aver aggirato le gabbie dell’ipocrisia e del finto moralismo:
Sono felicemente disadattato/ tristemente consapevole/ del mio privilegio.
Colpevole della non accettazione delle imposizioni che avviliscono e umiliano l’individuo strappandogli la coscienza dal petto e ancor più per suonare la squilla della non omologazione devastante.
E se “poesia onesta” esiste, quella di Carlo Luti lo è fortemente perché non disonesta, non sottomessa alle regole del gioco-giogo, non bara e non scende a compromessi:
non scrivo poesia./ È la vita che me la scrive addosso.
Un lirismo già svincolato dalle metriche, con aderenti figure retoriche, essenzialmente ossimori esistenziali, senza manierismi e orpelli, libero ma non anarchico, anzi retto sui solidi pilastri di ideali e principi naturali che regolano l’esistenza e non la deformano per opportunismi.
“Ciò che resiste è fondato dai poeti.” (Friedrich Horderlin)
E che non si cada nell’inganno, a una prima lettura, di accostarla alla poesia orfica perché in Luti c’è la rivolta dell’uomo che anela alla luce e rifugge le tenebre, utilizzando il verso come un machete per aprire un varco alla speranza, mai abbandonata. Ma di contro non è associabile ai “poeti maledetti” perché il Nostro ama la vita e soffre per l’amore messo alle sbarre e alla pubblica gogna.
La sua è una poesia ergonomica – sulla scia di Brecht, Breton… – che fionda lontano parole, pensieri usando i versi come una mitraglia per denunciare l’ordine disonesto.
“Noi rivoltiamo i fucili e facciamo una guerra diversa, che sarà quella giusta.” (Berthold F. Brecht)
Nell’ampia prefazione Annamaria Barreca ha disquisito in maniera esaustiva del Chaos definito argutamente nel titolo “elegante” perché l’eleganza è armonia nell’ordine naturale delle cose, un connubio perfetto tra ciò che non è uguale, ma nella disuguaglianza crea una consonanza esatta, una rapsodia icastica, una melodia trascendentale destando stupore e meraviglia.
L’eleganza del Chaos è il principio senza il quale nulla sarebbe stato, è l’inizio senza fine a cui apparteniamo ma da cui ci siamo discostati divenendo sciatti e anonimi nelle nostre uniformi. “L’eleganza è rifiuto di canoni prescritti” (Diane Vreeland) e allora anche la poesia di Luti, graffiante ma mai arrogante, incisiva e di sintesi, con sprazzi disarmanti di tenerezza è elegante.
C’è perfino chi vuole bene…/ sto parlando di vita, o forse/ di un di-sordine artistico.
Perché sotto la pelle, stratificata in codici emotivi, privi di barcode, scorre il più nobile dei sentimenti, l’amore e la ribellione nasce dal timore che lo si possa ammazzare sotto la mannaia del boia impositore.
Attraversare le pagine de L’eleganza del Chaos è percepire il soffio potente della Bellezza suprema che scivola di mano… ma forse non siamo ancora persi:
Vedi quella collina?/ Un giorno salirò su quella collina/ e troverò tutte le risposte.
Di seguito alcuni versi di Georg Trakl che aprono La Canzone di Kaspar Hauser, così affini alla dimensione umana che ravvedo in Carlo Luti:
“In verità egli amava il sole che purpureo scendeva
il colle,
i sentieri della selva, l’uccello nero canoro,
e la gioia del verde.
Austero abitava egli nell’ombra dell’albero,
era puro il suo viso (…)”