In riferimento ai contenuti, ero solita presentare un mio romanzo, pubblicato nel 2017, con la citazione d’esordio “ricordare per ritrovarsi” nella consolidata convinzione che siamo la risultanza non solo del nostro vissuto, ma anche di tutto quanto si è profondamente stratificato, sedimentato nel percorso evolutivo millenario, semmai – come avremo modo di comprendere procedendo nella lettura del presente, pregevole testo – ci sia mai stata una evoluzione a livello di coscienza e crescita umanitaria, non essendo stati in grado di coniugare il progresso tecnico-scientifico con l’educa-zione civica e la formazione e la crescita morale (individuale) ed etica (collettiva).
Se da un lato tale constatazione può risultare a primo approccio obsoleta o ordinaria, perché assimilabile a ogni epoca e cultura (l’uomo è sempre simile a sé stesso), ciò che in epoca contemporanea appare preoccupante sono le tempistiche galoppanti con cui stiamo assistendo alla disumanizzazione “irresponsabile” dell’individuo e quindi alla disgregazione “responsabile” del tessuto sociale di appartenenza, fenomeni non più ascrivibili a determinate aree geografiche o assetti culturali, ma a ogni sito abitativo del pianeta.
La globalizzazione “imposta”, forte del progresso tecnologico, favorisce la velocità di propagazione di modelli e stili di vita che, oltre ad appiattire e uniformare le identità, propongono un modus vivendi che inibisce, e di fatto limita, le effettive potenzialità dell’Homo Sapiens (cosiddetto) e ne mortifica la dignità. Motivo, insieme a mille altri che per ovvie ragioni non ci è possibile affrontare, per cui la scienza non risulta più essere al servizio dell’uomo – utile a migliorarne qualitativamente l’esistenza – ma lo ha reso sottomesso, plagiato, ne dirige l’agito, con linee guida che impongono più che consigliare, e dipendenze al limite del patologico.
Quali quindi le concause dello sconcertante stato attuale di società, quasi tutte suscettibili di biasimo, per ciò che riguarda i rapporti interpersonali, le relazioni tra i sessi e a più ampio respiro le convivenze-connivenze, a livello politico-economico-sociale?
Il rapporto conflittuale con l’alterità, in cui ciò che è estraneo all’io risulta essere ostico se non nemico, dove è quando si è innescato, quale la linea di rottura, di demarcazione da cui hanno avuto origine i mali, le degenerazioni, le lotte intestine, le guerre fratricide, i soprusi, gli sfruttamenti, gli eccidi e tutto quanto di raccapricciante è rapportabile all’uomo?
Adulatori a credito amiamo definirci “società evoluta” eppure siamo circondati da conflitti bellici, a un passo dal rischio di una ecatombe nucleare (vox populi? in una realtà distopica in cui nulla è come appare?) e nonostante i traguardi raggiunti sulla carta che sanciscono la sacralità dei diritti umani, l’uguaglianza tra i popoli, condizioni di vita eque, rispetto e parità tra i sessi, assistiamo inermi al capovolgimento trasversale, a livello planetario, dei citati, sani princìpi che dovrebbero essere incorruttibili, eppure violati, corrotti costantemente.
Considerazioni che hanno di certo condotto il nostro Autore, fine intelletto indagatore, alla stesura di Gilania Contemporanea, un saggio non solo di grande interesse per l’approccio storico-sociale ma soprattutto utile per importanti spunti riflessivi perché conoscere chi siamo stati, come abbiamo vissuto, e di quanto “siamo stati depredati” può aiutare a “ritrovarci”, a illuminare la via per riprendere il percorso prestabilito dalle leggi naturali che regolano le nostre vite e le armonizzano, in una visione olistica, ai moti dell’universo.
Andrea Petricca ha quindi inteso concentrarsi non solo sulla trasformazione della società, alla ricerca del punto di rottura, andando parecchio a ritroso dal paleolitico/neolitico ad oggi, ma ha sentito l’esigenza di approfondire i motivi che hanno indotto tali cambiamenti passando da società pacifiche ed egualitarie – fino al 4.000/3000 a.C. – a gruppi di aggregazione bellicosi e dominanti. Presupposti che indurrebbero alla ridefinizione perfino del termine “civilizzazione”, se associato alla nascita del linguaggio e della scrittura che procede di pari passo con l’uso e la diffusione delle armi, dapprima rudimentali, e con l’escalation dei conflitti in virtù di un potere autoritario.
Quali gli assunti che possano definire una società più o meno evoluta se non l’uguaglianza sociale, l’assenza di predominio tra le classi e i generi, le diverse culture e quindi la pacifica convivenza?
Il Nostro in seguito a un’attenta opera di studio, di ricerca e archivio, in una sorta di palingenesi gnoseologica, ci presenta le società gilaniche, l’antica culla della convivenza pacifica, la cui conoscenza è approfondita grazie all’opera di recupero storico e ai testi della sociologa statunitense Riane Eisler, a cui si deve il termine “gilania” e all’archeologa Marija Gimbutas che ne ha supportato le tesi grazie alle testimonianze dei ritrovamenti archeologici.
Certo è che l’ipotesi di una società non adusa alla sopraffazione ma retta su principi di partnership, vissuta tra il 7000 e il 3000 a.C., fondata su modelli di mutua collaborazione “fra i generi”, priva di figure autoritarie e qualunque forma di gerarchia, diviene sempre più attendibile grazie all’analisi e agli studi comparativi, affiancati da reperti archeologici in cui sono assolutamente assenti riferimenti a battaglie o armi mentre giganteggia la figura della Dea, la Donna/Madre, origine della vita.
La scomparsa di tali idilliache, fantastiche civiltà avvenne a causa dell’insediamento di popolazioni migranti aggressive, rozze e già dedite all’uso delle armi, fenomeno descritto con cognizione di causa dal Nostro attraverso un excursus storico-sociale, basato su materiale documentale della Eisler in particolare e della Gimbutas, già in rapporti collaborativi tra loro per amore verso la conoscenza.
In sintesi, e per lasciare che sia l’autorevolezza intellettuale e critica dell’Autore a guidare il lettore in tale percorso di approfondimento, le società gilaniche gravitavano intorno alla figura femminile e praticavano il culto non violento della Dea Madre, dispensatrice di vita, associata alle forze generose/genitrici della natura.
L’invasione da parte di orde guerriere (i Kurgan) ha provocato l’oscuramento-annientamento della Dea e della sua potenza vitale generando il passaggio (traumatico) dalle società gilaniche (basate su modelli mutuali e di partenariato) a quelle androcratiche (bellicose, autoritarie, classiste e sessiste). Ciò che personalmente definirei il “punto zero”, l’inizio della involuzione umana.
Non esito quindi a definire vGilania Contemporanea una trattazione autorevole, un solido contributo letterario e in tale dedizione per la conoscenza ritrovo in Andrea Petricca il libero pensatore di cui avevo intuito fin da subito – seppure in così giovane età – poco recettivo a manipolazioni di puro stampo nozionistico, una mente critica incline all’approfondimento e quindi un acuto osservatore della (dis)real-tà in cui siamo immersi. L’acume raziocinativo che gli è proprio è la spinta propulsiva all’indagine, al di là del già detto e stabilito ed è tale innata attitudine a condurlo sui sentieri poco battuti della speleologia dello scavo che, di volta in volta ridefinisce i confini del sapere umano.
Non avremmo avuto altrimenti un testo di tale spessore e interesse a cui auguro vivamente ampia diffusione, non solo per apprezzamento verso l’indubbio lavoro svolto dal nostro Autore ma soprattutto per riappropriarci dell’antica bellezza che ci è stata strappata e sfatare le false convinzioni quale potrebbe essere l’asserzione che ogni società necessita di una autorità che la governi.
Tanti sono i riscontri, i presupposti per credere che quelle della Eisler siano ben più che teorie ma abbiano un solido fondo di verità: la Dea/Madre “è stata” amore, energia, ciclo vitale… ma è ancora fra noi, non è mai andata via, dobbiamo solo imparare a riconoscerla. Per questo è importante la riscoperta di quel femminino sacro, espressione dello sconosciuto, del mistero della natura selvaggia e detentore dei segreti della vita. Tenere ben salda la strada che conduce alla nostra vera natura ed essenza, ritrovare il gusto per la ricerca interiore e svegliare la coscienza al nostro potere intrinseco e a ciò che siamo realmente, perché, come dice Peter Deunov, un grande iniziato contemporaneo:
La salvezza del mondo è nell’elevazione della donna. Se non elevate la donna, o se lei non eleva se stessa, non si avrà la salvezza.
Utopia, illusione?
Di certo “evolverci” al livello delle società gilaniche potrebbe restare un sogno ma almeno sapremo chi siamo stati e da dove veniamo.
Dove stiamo andando è al momento una scure sulle nostre coscienze.