– Dopo aver conseguito la laurea presso l’Università degli Studi di Bari in Sociologia e Filosofia del Diritto e in Diritto Costituzionale, ho approfondito i miei studi nella Westfälische Wilhelms-Universität di Münster, occupandomi di Epistemologia giuridica, Ermeneutica filosofica e Teoria del diritto. Sussessivamente sono stato un paio di anni in Uruguay in qualità di Coor-dinatore di un progetto di cooperazione culturale in un incarico governativo dell’Unione Europea.
Così esordisce Gianfranco Longo, nato a Bari nel 1965, quando gli chiedo di parlarmi un po’ di se e della sua vita, mentre siamo seduti in un bar della centralissima via Sparano a Bari, nei pressi del-l’Ateneo dove insegna nel Dipartimento di Scienze Politiche.
Ho conosciuto Gianfranco in occasione del Cerimoniale di premiazione della VI edizione del Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea L.A. Seneca organizzato dall’Accademia delle Arti e delle Scienze Filosofiche di Bari. Vincitore Assoluto per il 2022, ha ottenuto il plauso dalla Commissione con i suoi libri Srebrenica. In Europa, alla foce della notte per la sezione libri editi di poesia e Veza Canetti. Autodafé di un amore per la sezione editi di narrativa.
Pochi minuti, giusto quelli sul palco della Sala delle Scuderie del Castello Normanno-Svevo di Sannicandro per la premiazione. Sono bastati per comprendere la sua sensibilità, la sua profonda preparazione culturale. Da qui il passo è stato breve. Un’amcizia sincera, una stima incondizionata che ci vede coinvolti in affinità di idee ed intenti. Ed ora è qui, di fronte a me, un’occasione da non perdere per parlare con lui, per conoscerci più a fondo, ma soprattutto per consolidare la nostra recente amicizia.
– Dopo anni di inteso lavoro lontano dal mio paese e dai miei affetti, sono rientrato in Italia e ho iniziato a scrivere scoprendo una vena poetica che non pensavo di avere – mi racconta sorseggiando il suo caffè.
– Grazie Gianfranco, mi hai dato spunto per chiederti com’è nata in te questa passione. Come t’ispiri e come condividi nella quotidianità le tue due anime di docente e di creativo scrittore?
– Non sono due anime, ma una sola; né una che contiene l’altra poiché sarebbero sempre due. Non c’è mente e materia, c’è la persona umana che grazie all’impulso creativo riesce, non a dare nomi nuovi a cose vecchie, lasciando sostanzialmente tutto ingessato, ma a proporre agli studenti un’attività creativa: portando le mie opere poetiche e narrative in porgramma insieme a vari altri saggi dai contenuti tematici più specifici rispetto al programma, cerco di dare spazio alla loro creatività perché siano anche loro in grado di interpretare personalmente un’opera narrativa o poetica, dando senso alla realtà e al presente non omologandosi a una didattica ripetitiva, che non forma al criterio personalistico e valutativo, ma impone una ripetizione, ed è questo il vero silenzio, come giustamente sosteneva Roland Barthes, „non impedire di dire, ma obbligare a dire”.
Dagli anni settanta in poi la formazone didattica in Italia è ripetizione, coordinata, modellata, deliberata; obbliga ad esistere, non rincuora alla vita e non sprona a vivere, non lascia credere nulla possibile, imbalsama e mummifica i viventi. Ma questo è il marxismo, un’altra sciagura da cui non riusciamo a venirne fuori.
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Non solo una brillante carriera professionale dunque. Al di là del puro apporto in pensieri e versi che regala ai suoi lettori, mi piace sottolineare il suo importante contributo alla letteratura contemporanea italiana, come testimoniano le numerose pubblicazioni e i riconoscimenti letterari ricevuti in campo nazionale.
Sentirsi uno scrittore oggi è un vezzo, un poeta ancor di più, una moda, un’illusione più o meno reale di essere letti e apprezzati. Chi non è mai caduto nella tentazione narcisistica di credere che le proprie creature, a volte anche due o tre versi in una metrica più o meno corretta, potessero significare davvero qualcosa?
Sarà forse questo il motivo per cui gli ultimi anni hanno visto e lasciato un deserto poetico tra intimismo ed egocentrismo, misticismo e liricismo. Ma non è così per tutti e Gianfranco è la prova più evidente, facendo parte di quella resistenza di scrittori che reagiscono a questa desertificazione individuale. I suoi libri escono dalla confortevole domesticità e s’incontrano con gli eventi, li narra, li giudica, li analizza. Non ha paura di parlare al mondo di giustizia, di guerra, d’amore.
Gianfranco è un intellettuale che riflette, osserva, analizza come farebbe un buon psicologo, e per far questo esce dalla prassi, dalla massa, immergendosi nel fluire della vita quotidiana, sostiene valori e certezze, nella consapevolezza che la scrittura ha un "mandato sociale."
I suoi libri sono uno spaccato della realtà, di storie realmente vissute, di fatti realmente accaduti, che per forma compositiva e per le tematiche trattate, restituisce vividi frammenti della società attraverso una raggiunta maturità formale e concettuale della propria “ars scribendi”: non più, quindi, personale ed autoreferenziale ma, sublimata a linguaggio universale.
E continuo a parlare con Gianfranco, affascinato dal suo mondo interiore, dalla sua sensibilità. Siamo qui, ancora seduti al bar, con tutto il tempo a nostra disposizione. Ne approfitto.
– Come ha influito la tua preparazione universitaria, la tua professione sull’attività da scrittore e soprattuto sui contenuti.
– Quando studiavo in Germania, all’Università di Munster, ho avuto molti incontri che hanno personalizzato la mia formazione, mi hanno cioè stimolato a trovare la mia strada non solo di ricerca, ma anche da un punto di vista didattivo e formativo. È stato già in quegli anni, per esempio, che ho iniziato a scoprire la possibilità di coniugare all’ascolto musicale e alla lettura narrativa e poetica le analisi e le riflessioni su tematiche specifiche che porto avanti nei miei corsi qui in Italia.
Purtroppo tutto ciò generalmente viene trascurato, poiché il sistema universitario italiano è improntato a una mera, dinastica trasmissione di ruoli e di mantenimento di carrierismi che ingombrano pesantemente la libertà di ricerca e la novità dell’iniziativa didattica.
– Vuoi parlare brevemente ai lettori dei due libri?
– Srebrenica nasce da un incontro con i protagonisti stessi del poema; nasce anche dal desiderio di una testimonianza civile sul destino europeo, politico e cristiano; ma è stato anche un moto di passione, tra amicizia e amore per la persona, al fine di riportare anche la letteratura italiana a un nuovo rinascimento, ripiegata com’è alla narrazione che deve attrarre al momentaneo, relegandosi al contenuto consumistico e omologante, quasi il nome dell’autore non ci fosse, poiché si leggono sempre le stesse pagine e le stesse cose.
Con Veza Canetti, che è un romanzo, ho voluto dare uno spazio che rompesse una meccanica irrigidita nella sua ripetizione: anche in questo caso come nella formazione universitaria, dove la cultura che è attività interpretativa di ciò che accade, coniugazione di eventi del passato al presente e arricchimento spirituale per un presente che sia qualità umana e non omologazione di concetti a ruoli, nonché appiattimento a un modo di riflettere unidimensionale di grado zero, torni a divenire e non a restare racchiusa tra enciclopedie elettroniche e paradigmi della elaborazione ripetuta e ripetente.
– Hai scritto molti libri. C’è qualcuno a cui sei particolarmente legato?
– Sono molto legato a Dottrina della sovranità e del mutamento costituzionale che iniziai a scrivere in Germania, poi concluso in Italia, comprensivo di due tesi di dottorato di ricerca, dottorati che ho rispettivamente concluso e conseguito.
L’altro a cui sono fortemente legato per ragioni affettive, di amicizia e di storia, è Srebrenica. Ma quello cui più rimango attualmente avvinto, e che più mi è caro, è un poema che spero possa uscire fra qualche anno, sulla figura e l'opera di un santo spagnolo.
– Il Seneca. Cosa ha rappresentato per te questo riconoscimento. Ti aspettavi unanimità di consensi da parte della Commissione?
Per esperienza di miei concorsi, non mi sarei mai aspettato che trionfasse il merito e che soprattutto la Commissione operasse una tale attenta lettura fra tutti i milletrecento lavori pervenuti, arrivando a considerare il poema Srebrenica e l’opera narrativa Veza Canetti come i lavori da identificare in un Premio Seneca assoluto.
È un segno di grande importanza per un paese che voglia davvero essere diverso, non influenzabile politicamente, scevro dagli spintoni che provengono dai clan familiari, così numerosi, indipendente dai vari poteri, editoriali e finanziari soprattutto.
Basti pensare che Srebrenica è stato rifiutato da sessantotto editori, di cui solo cinque hanno risposto laconicamente senza motivare la scelta del rifiuto. Gli altri, come è „notorio”, non rispondono mai, un segno di grave baratro umano e di desolante disordine mentale l’indifferenza degli editori.
Guardo l’orologio. S’è fatto tardi e dobbiamo far ritorno ai nostri impegni quotidiani di lavoro. Ci promettiamo nuovi incontri, prospettandoci idee di collaborazione in attività culturali. Sarebbe cosa buona e giusta!
Saluto Gianfranco con una stretta di mano ed un abbraccio. Al diavolo le restrizioni Covid.
Grazie Gianfranco.
GIANFRANCO LONGO
È stato insignito del Premio Internazionale Pompeo Sarnelli nel 2016. Attualmente è Ricercatore di Filosofia del Diritto e professore aggregato di Filosofie giuridiche e religioni del Medio ed Estremo Oriente nel corso di laurea magistrale di RISE (Relazioni Internazionali e Studi Europei), e di Filosofia della pace e dei diritti individuali nel corso di laurea magistrale di ISPI (Innovazione Sociale e Politiche di inclusione) nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari.
È autore di Dottrina della sovranità e del mutamento costituzionale (Ales Italia, Roma, 2008); Katholou. Weltgestalt und Zeitinterpretation, Lit Verlag, Berlin (2012); Poetica (Campanotto, Udine, 2015); Empireo (Mimesis, Milano, 2016); Srebrenica. In Europa alla foce della notte (Il Poligrafo, Padova, 2020); Veza Canetti. Autodafè di un amore (Il Poligrafo, Padova, 2022).
Primo Premio per la poesia edita Bari, Città aperta (2016).
MOTIVAZIONE redatta dalla Commissione per il Premio Assoluto Seneca 2022
Ricercatore e docente con riconosciute abilità artistiche Gianfranco Longo ha saputo coniugare l’ibridazione di generi letterari differenti con uno stile di indubbia sagacia e abilità costruttiva, congiunti a un bagaglio culturale sofisticato, mai troppo esibito, conferendo alla sua scrittura una cifra manieristica che attinge in modo equanime sia in ambito stilistico che in chiave vagamente simbolica, a elementi di repertorio storiografico del passato, come in Srebrenica. In Europa, alla foce della notte, raccolta poetica che traccia il diagramma storico degli accadimenti di Srebrenica, città della Bosnia-Erzegovina, dove si è consumato il più cruento eccidio al termine della Seconda Guerra mondiale e nel quale l’Autore intesse una toccante e drammatica vicenda d’amore spezzata dalla guerra proiettando i fatti storici nel più ampio orizzonte delle traversie umane.
O come in Veza Canetti. Autodafé di un amore, originalissimo romanzo frutto di trent’anni di ricerche, riscritture e itinerari europei, che si caratterizza per una narrativa dai contenuti intensi e spesso altamente drammatici, una dichiarazione sulla memoria, sull’opera d’arte nel crogiolo dell’amore e della vita, sulla ricerca dell’imponderabile.
Con il Premio Assoluto Seneca 2022, l’Accademia intende dunque omaggiare i meriti di un intellettuale appartenente alla cultura letteraria italiana del nostro tempo, che ha saputo contaminare la dimensione di taglio antropologico con un’esperta capacità combinatoria, elementi che, a buon diritto, conferiscono alla sua scrittura una fisionomia raffinata.
Voce riconoscibile al di fuori della letteratura modaiola compiacente, le sue opere coniugano la capacità di interrogarsi in modo originale sulle questioni ineludibili dell’esperienza umana con una scrittura caratterizzata da un vasto sapere e un’eleganza intesa non come ornamento ma come mero strumento conoscitivo.