Trilussa, er poeta de Roma

Tributo al poeta, scrittore e giornalista italiano, genio della favola, noto per le sue composizioni in dialetto romanesco, in occassione dei settant’anni dalla sua morte avvenuta il 21 dicembre 1950

Roma, 26 ottobre 1871.
Carlo Alberto Salustri nasce da una famiglia di modeste condizioni economiche, rese ancor più precarie dalla prematura morte del padre Vincenzo, cameriere al servizio della nobile famiglia dei Quintili.
A risollevarne le sorti disperate, è proprio il marchese Ermenegildo De’ Cinque Quintili, padrino di battesimo di Carlo Alberto, che accoglie i Salustri nel proprio palazzo, al numero 31 in piazza di Pietra.
Pur crescendo in ambiente aristocratico, a quindici anni abbandona gli studi per intraprendere un cammino da autodidatta.


Carlo Alberto ama la poesia, soprattutto quella popolare, e possiede un vero talento nell’improvvisazione di versi in rima.
Nel 1887 la redazione de “Il Rugantino” pubblica il suo primo sonetto in dialetto romanesco, L’invenzione della stampa, con il quale riscuote un discreto consenso dalla critica e che rappresenterà il punto di partenza di una lunga e celebre carriera artistica.
Da quel momento in poi si firmerà con lo pseudonimo di Trilussa (dall’anagramma del suo cognome) assumendolo quale definitivo nome d’arte.
Ben presto comincia a scrivere su testate importanti fra le quali il “Don Chisciotte” e “Il Messaggero”, narrando in versi comportamenti umani e aspetti di vita quotidiana della capitale, dai quali riesce a trarre l’essenza più profonda e interiore che trasforma in poesia spesso ironica e derisoria.
Non si considera un intellettuale, né frequenta circoli letterari, ma preferisce i luoghi del popolo, come caffè e osterie. Con il suo stile irriverente e sarcastico, si arma di satira per censurare la falsa moralità della piccola borghesia romana del tempo.
Detesta il movimento futurista che in quegli anni si stava diffondendo rapidamente, poichè i temi decantati sono radicalmente opposti a quelli a più lui cari; ecco perché le sue poesie sono popolate da personaggi tipici di questo nuovo mondo, come la casalinga, il commesso di negozio, la cameriera.

Ma Trilussa scrive per mestiere, per cui non può concedersi di assumere una posizione di contrasto con la classe dirigente né con il popolo; per questo deve calibrare la sua ironia, soprattutto negli anni della dittatura.
Pian piano la notorietà comincia a diffondersi al di là confini romani, un’evoluzione artistica che gli consentirà di ricevere, nel 1950, dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, la nomina di senatore a vita, quale riconoscimento per suoi meriti artistici. Si dice che, nel ricevere la lettera di conferimento, con relativo assegno vitalizio, Trilussa, rivolgendosi alla governante, abbia esclamato: “Finalmente se magna!” visto le sue evidenti ristrettezze economiche.
Nel frattempo la sua precaria salute lo ha ormai pesantemente debilitato. Morirà qualche settimana dopo, il 21 dicembre 1950, all’età di 79 anni.

A distanza di quattro anni, piazza di Ponte Sisto in Trastevere, viene rinominata piazza Trilussa in suo onore ed edificato un monumento che lo ritrae nell’atto di declamare una delle sue poesie.


Trilussa è lo pseudonimo anagrammatico con cui è
divenuto celebre il poeta romanesco Carlo Alberto
Salustri, creatore della metrica variata, difensore
della dignità e libertà dei popoli quando mette a
nudo le ipocrisie di sovrani e capi di Stato


IL PENSIERO E LA POETICA
Trilussa è ricordato soprattutto come poeta cordiale ed estroverso, sempre pronto all’umorismo e al sorriso, in quel suo romanesco che tanto si avvicina alla lingua italiana piuttosto che al gergo di “borgata”.
Non c’è situazione o momento della vita che non accenni, non c’è leggerezza umana o malcostume o dissolutezza su cui non faccia sentire la sua satira pungente: dalla nascita alla morte, dall’indigenza all’agiatezza, in chiesa, nelle case di malaffare, nei talami, nei chiostri dei conventi, nelle baracche della povera gente, nei palazzi dei benestanti.

Come nelle favole d’Esopo e di Fedro o dei Fratelli Grimm, una folla dissimile di animali parlanti, arpie, mostri, fate e principi popola il suo mondo meraviglioso in avvenimenti d’epoca o situazioni politiche, che tratta con vena divertente e burlesca, colma di umorismo, fino ad elevarli alla dignità di satira vera e propria.
Lesinando le parole, evidenzia l’astrazione del pensiero. La sua preoccupazione è la chiarezza del messaggio attraverso la realizzazione di una norma morale, una parlata schietta e diretta tratta dal popolo comprensibile a tutti, evidenziando, con arguzia, benevolenza e determinazione, l’annosa ingiustizia sociale sempre viva e pungente a cui il popolo era abituato da secoli.

Non va trascurato tuttavia, che sotto quel velo di spregiudicatezza e di umorismo, c’è sempre un filo di tristezza e di rimpianto per un mondo ideale che non vedrà mai concretizzarsi per la perfidia degli uomini e che richiama alla mente la famosa citazione: Più conosco gli uomini, più amo le bestie.

Posted

01 Dec 2020

Storia e cultura


Massimo Massa



Foto dal web





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