Italo Svevo: omaggio a centosessant’anni dalla sua nascita

Centosessant’anni fa nasceva Italo Svevo: nella Coscienza di Zeno, il racconto dell’uomo contemporaneo

Italo Svevo è passato alla storia della letteratura italiana per il suo grande contributo alla nascita del romanzo contemporaneo che ha caratterizzato il ‘900 nella sua accezione più attuale di opera in cui si parla dei conflitti dell’uomo moderno, delle sue ansie e delle contraddizioni








Italo Svevo (Ettore Schmitz all’anagrafe) nasce nel 1861 a Trieste, austriaca fino al 1919, da una famiglia borghese ed ebrea.
A 12 anni, insieme a due dei suoi fratelli, entra nel collegio di Segnitz presso Wurzburgo. Gli studi intrapresi lo conducono verso una carriera da commercialista e all’apprendimento di quattro lingue, tra cui il tedesco che rappresenterà la chiave del futuro di Svevo.

In Germania scopre la sua passione per la letteratura ed in particolare per Goethe a Schopenhauer. Nel 1878 torna a Trieste. Il fallimento del padre, facoltoso commerciante, lo costringe a lasciare gli studi per lavorare in banca e collaborare con il giornale triestino L’Indipendente.
Ciò nonostante, coltiva la sua passione; legge molti classici italiani come Boccaccio, Guicciardini, Machiavelli e non trascura nemmeno la letteratura francese e autori come Flaubert, Zola, Balzac e Stendhal
In questo periodo, a sottolineare la sua appartenenza sia alla cultura italiana che a quella tedesca, sceglierà come pseudonimo Italo Svevo.
Nel 1892 pubblica, a proprie spese, il suo primo romanzo, Una vita, che verrà ignorato dalla critica.
Dopo un decennio che scuote fortemente Svevo a causa della morte dei genitori e di tre dei suoi sette fratelli, si sposa nel 1896. Pur continuando a lavorare in banca e ad insegnare lingua tedesca e francese, riesce a scrivere il suo secondo romanzo, Senilità, che pubblica nel 1898 sempre a sue spese. La critica è spietata con lui; lo accusa di utilizzare la lingua italiana povera di contenuti, un insuccesso che si ripercuoterà profondamente sulla fiducia che Svevo ha di se stesso, spingendolo ad abbandonare la scrittura.

Nel 1899 lascia il suo impiego in banca e lavora come dirigente nell’industria del suocero, cominciando a viaggiare per affari in molti paesi europei. Conosce James Joyce, scrittore irlandese, e tra i due nasce un solido rapporto di amicizia basato sul comune interesse per la letteratura. Ed è proprio Joyce ad incoraggiarlo a riprendere a scrivere. Durante gli anni della Grande Guerra, si dedica alla letteratura inglese e scopre la psicanalisi, traducendo La scienza dei sogni di Freud.
Terminata la guerra, Svevo scrive per La Nazione, primo grande giornale triestino, e porta a compimento la stesura del suo terzo e più celebre romanzo, La coscienza di Zeno edito nel 1923. Anche stavolta però, Svevo viene sottovalutato dalla critica italiana.

Nato a Trieste come Aron Hector Schmitz, Svevo ha inventato personaggi emblematici, propri di un’epoca conflittuale. Appartiene a quella generazione di scrittori nella quale si compie la rivoluzione della letteratura moderna



Joyce, contrariamente all’opinione pubblica, lo convince a inviare la sua opera ai critici e letterati francesi V. Larbaud e B. Crémieux, che lo apprezzano e ne fanno un grande successo a livello europeo.

Svevo raggiunge la notorietà. La componente psicoanalitica dell’opera si contrappone visibilmente tanto al verismo quanto all’estetismo dannunziano e “il caso Svevo” diventa uno degli argomenti preferiti dalla critica italiana.
Il meritato successo arriva quando Montale scrive, nel 1925, un saggio critico dal titolo Omaggio a Svevo sulle tre opere che l’autore stesso gli aveva inviato,

collocandolo sul piano più alto della letteratura contemporanea inducendo la critica italiana a dissolvere definitivamente i pregiudizi nei confronti di Svevo, probabilmente dovuti anche a una componente antisemita.
Nel 1928 inizia la stesura del quarto romanzo, Il vecchione, mai portato a compimento perché il 13 settembre 1928 muore, a sessantasei anni, vittima di un incidente stradale.

LO STILE E LA POETICA
Le profonde conoscenze delle teorie freudiane, hanno portato Svevo ad analizzare l’esistenza in maniera profonda, dalla realtà esterna a quella interiore dell’uomo, frutto della crisi dell’Europa ottocentesca: quell’uomo che, in Una vita, non trova il modo di reagire al naufragare di tutte le sue aspirazioni; che, in Senilità, non ha slancio né ardore, rassegnato a subire e che, ne La coscienza di Zeno, non ha nessuna qualità, è privo di volontà e malato immaginario.
La trilogia dei suoi romanzi esprime il fallimento dei grandi ideali che hanno caratterizzato l’800. Il suo linguaggio è ironico, scruta nella coscienza ed evidenzia le debolezze e le miserie umane, restituendo al lettore tristezza e rassegnazione rispetto alla natura umana e al dramma esistenziale dell’uomo.

LA PSICOANALISI E LA NATURA UMANA NEI ROMANZI DI SVEVO
Svevo si è rivolto alla letteratura come vero e proprio strumento conoscitivo con il quale esplorare e spiegare la natura umana e la vita. Il suo approccio introspettivo è stato spesso accostato agli studi psicanalitici, anche se Svevo è scettico riguardo alla validità scientifica della psico-analisi e alla sua utilità come strumento conoscitivo o terapeutico.
È convinto che il comportamento umano sia fortemente influenzato da predisposizioni biologiche e che le relazioni sociali tra gli individui, siano regolate da leggi naturali.
La natura umana entra tuttavia in conflitto con l’atteggiamento riflessivo e contemplativo, tipico dell’intellettuale, dei personaggi di Svevo, che dunque sono inetti, disadattati che si riFiutano di vivere lasciandosi guidare dagli istinti biologici sottostando agli impulsi che li spingono verso l’egoismo, la vanità, la competizione.

Posted

24 Nov 2021

Storia e cultura


Massimo Massa



Foto dal web





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