Il maestro Alberto Manzi, in una delle sue rivoluzionarie lezioni di “Non è mai troppo tardi”, dimostrava come, con un semplice spostamento di virgole, il senso di una frase poteva cambiare radicalmente. Da una virgola si potrebbe passare a sostituire una parola, da una parola si può arrivare a riscrivere o cancellare capitoli interi di un libro, ed ecco che non è così remota l’ipotesi di stilare un Indice dei libri proibiti o di accendere roghi in cui bruciare i libri ritenuti immorali.
La pratica dell’attuale cancel culture e la recente rewriting arbitraria dei libri di Roald Dahl ne è inquietante presagio, se non principio.
Nell’instaurarsi di un regime antidemocratico, la cultura è sicuramente al primo punto dell’ordine del giorno nella politica governativa del dittatore o del partito egemone. In effetti, la cultura – come accade anche per il diritto – se svuotata della sua autentica e specifica funzione sostanziale, può essere farcita di contenuti impropri; ridotta ad una funzione meramente formale, la cultura ruota in strumento di controllo utile per la manipolazione delle menti nonché dei comportamenti dei cittadini che, in tal modo, da soggetti titolari di diritti, si trasformano in un’indistinta massa facile da dirigere e da controllare.
Del resto sono proprio le menti pensanti che hanno sovvertito con rivoluzioni e resistenza (non resilienza) gli Stati assoluti o i totalitarismi, fino a darsi Costituzioni liberal-democratiche: è per questo che nelle forme di Stato illiberali e anticostituzionali si vuole, anzi è necessario, estirpare ogni forma di dissenso; l’organismo statale o sovrastatale interviene con i propri mezzi di coercizione, uniformando e omologando il popolo (rectius: i popoli), al fine di naturalizzare e razionalizzare una determinata ideologia confacente ai profitti di quella che Aldous Huxley chiama la Grande Impresa, incarnata nel Gran Governo sovranazionale.
La cultura, comunque, rimane pur sempre un’arma a doppio taglio: nella sua funzione formale, in mano allo Stato predatorio o a organismi sopranazionali dominati dalla lex mercatoria, diventa il contenitore contraffatto di valori disumani, di immagini immediate e fallaci (verso le quali si nega l’approfondimento epistemico) e significati “politicamente corretti”; al contrario, nella sua vera funzione sostanziale, in mano ad un popolo libero, è invero auto-accrescimento e suggello dell’autocoscienza, conducendo alla piena espressione socionomica dell’uomo come ente sintetico-relazionale facente parte della leibniziana armonia universale.
Una cultura autentica è indubbiamente uno strumento sedizioso agli occhi del governo autocratico. Come i detentori del potere economico hanno preferito entrare direttamente nella politica anziché solamente influenzarla, così i funzionari di questa “politica nuova”, sottomessa e strumentalizzata dall’economia neoliberista e globalista, al posto di creare solamente nuovi orientamenti culturali paralleli alla cultura “sostanziale”, fonte di umanità , riscrivono, annientano od ostracizzano direttamente quest’ultima.
Alla luce di tutto ciò, la pratica della cosiddetta cancel culture è da considerarsi un abominio pari alla manipolazione biogenetica dell’essere umano. Dietro a sempre più numerose maschere di moralismi fatiscenti ed artefatti, si va, infatti, a rendere legittimo (e legale) ciò che è diretta contraddizione dell’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo il quale: “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.” Il moralismo psicotico nella cosiddetta postdemocrazia, consacrato da strumentali programmi politici post-materialisti e libertari, de jure si pone come scopo la cancellazione di ogni discriminazione, ma, de facto, tale cancellazione è epurazione culturale di stampo ideologico. Il motto dell’UE, da “uniti nella diversità”, sta degenerando vorticosamente in “uniti (a forza) nell’omologazione”. L’esaltazione fanatica delle fluidità e dell’annichilimento dell’identità culturale e sessuale, millantata dai contenuti ideologici con cui viene riformattata la cultura sostanziale, è prodromica alla realizzazione completa di un “superorganizzato” e asfissiante “formicaio umano”, comandato e pervaso da un Leviatano finanz-capitalista che è personificazione dell’oligarchia economica dominante; in questo formicaio sovrastatale non troviamo più individui umani emancipati, tutelati nel pluralismo della democrazia e dotati di sfere di libertà inviolabili, ma funzionali ingranaggi biologici predefiniti culturalmente, se non addirittura geneticamente come nello Stato nuovo profetizzato da Huxley. La cultura, similmente a quanto accade al diritto, si riduce ad una sorta di algoritmo tramite il quale l’élite governante, nelle vesti di un sovrano-programmatore assoluto, scrive le istruzioni computazionali che regolano il pensiero critico, l’opinione pubblica e la convivenza sociale; gli esseri umani vengono di conseguenza privati della loro dignitas naturalis originaria e imprescindibile.
La recente notizia della rewriting di alcune parti delle opere originali di Roald Dahl mi colpisce direttamente nel profondo, in quanto i libri dello scrittore britannico hanno accompagnato e colorato costantemente la mia infanzia, donandomi fantasia, avventure ed insegnamenti. Ricordo che passavo interi pomeriggi d’estate in giardino a leggere Le streghe, Il GGG, Matilde, Danny il campione del mondo, Boy, James e la pesca gigante, e avvertivo un familiare legame letterario con lo scrittore e con le sue esperienze di vita trasposte, spesso anche in stile autobiografico, nelle sue storie; custodisco ancora con estrema cura i suoi libri e mi piace spesso riprenderli fra le mani, sentire il peso della copertina rigida, tinta di fucsia, rossa o arancione, e respirare l’odore della carta ruvida delle pagine, ricordando i momenti felici in cui ho vissuto avventure con Matilde, Danny, Charlie e tutti gli altri personaggi e protagonisti dei libri di Dahl.
Oltre alla indecorosa violazione nel modificare un testo originale d’autore, alla pari del cambiare le note, e quindi le armonie, di una Sonata di Bach, è da considerare la gravità di tale atto: Suzanne Nossel, CEO di Pen America, una comunità di oltre 7000 scrittori che sostengono la libertà di espressione, ha scritto: «Tra feroci battaglie contro i divieti sui libri e le restrizioni su ciò che può essere insegnato e letto, l’editing selettivo per rendere le opere letterarie conformi a particolari sensibilità potrebbe rappresentare una nuova pericolosa arma». Il 7 luglio 2020, inoltre, circa 150 intellettuali (tra cui Noam Chomsky, J.K. Rowling, Salman Rushdie, Margaret Atwood e Francis Fukuyama) hanno pubblicato su Harper’s Magazine una lettera aperta (A Letter On Justice And Open Debate) per metterci in guardia dal pericolo di “una nuova serie di standard morali e schieramenti politici che tendono a indebolire il dibattito aperto in favore del conformismo ideologico”.
Con l’opposizione alla cancel culture non si vuole certamente negare che molte opere letterarie antiche o moderne abbiano in sé riferimenti discriminatori, ma tali riferimenti, ovviamente condannabili, non possono essere decontestualizzati e giustificare così la riscrittura ovvero l’ostracismo parziale o totale dell’opera e del pensiero del suo autore. Ogni opera letteraria, musicale o artistica deve essere conosciuta e studiata facendo riferimento allo specifico contesto storico, culturale e personale in cui nasce, altrimenti il pensiero critico umano, e di conseguenza la sua intelligentia, verrebbero mutilati. È altresì vero che opere letterarie, come anche le più conosciute fiabe e favole o, caso emblematico, la stessa Bibbia, hanno aspetti molto spesso estremamente brutali che non bisogna però cancellare arbitrariamente, ma analizzare, spiegare ai bambini e ai ragazzi, criticare e approfondire per meglio conoscere e affrontare la realtà e la storia che permea la nostra vita, in quanto esseri ontici inseriti esistenzialmente nel mondo. Nel caso particolare di Dahl, poi, gli obiettivi pedagogici basati sulla gentilezza e sui valori della famiglia, dell’amicizia e del rispetto, anche nei confronti di un ente diverso come ad esempio il Grande Gigante Gentile, se posti sulla bilancia del buon senso, superano senza ombra di dubbio l’irrilevanza di quegli ipotetici elementi discriminatori, oggetto di riscrittura arbitraria.
È inoltre da sottolineare che il “fluido” moralismo ideologico svela le sue dissimulate mire perverse ponendosi come custode di tutto quel materiale commerciale-seriale, rivolto soprattutto ai più giovani, che comprende video, canzoni, immagini, mode, canali social o programmi televisivi di carattere palesemente violento, osceno e sprezzante, inneggiante all’aggressività relazionale e sessuale, ai vizi estremi e al sadismo; i funzionari della cultura gestita dal Leviatano economico sono chiamati a inoculare capillarmente questi contenuti devianti, manomettendo ed estromettendo dai principali canali di diffusione la cultura “sostanziale”. Si tratta di un vero e proprio “incarceramento” arbitrario delle menti; come scriveva Huxley, accanto al mandato dell’habeas corpus dovrebbe esistere quello dell’habeas mentem. È da aggiungere che gli ipocriti paladini del buonismo e della aberrante cultura “di consumo”, sono i primi a discriminare violentemente chi oppone resistenza all’omologazione imperante, diventando così essi stessi produttori di un paradossale “diritto storto”, per usare un termine di Roald Dahl.
Analizzando criticamente il moralismo buonista-estremista del “politicamente corretto”, ci si accorge di essere in presenza di una calcolata e lucida programmazione di eugenetica culturale, in quanto la nuova cultura conformante risponde perfettamente all’ideologia più efficace per assicurare la stabilità del potere, e quindi il maggior profitto, all’oligarchia dominante; la stessa logica “ideologica” è alla base della entartete Kunst, del Ministero della Verità in 1984 di George Orwell, del divieto di leggere Shakespeare nel Mondo nuovo di Huxley, del programma di rigenerazione del Grande Reich nazista che fa esplodere la Statua della Libertà nella serie The man in the high castle basata sull’omonimo romanzo di Philip K. Dick.
A conclusione di tale riflessione, posso aggiungere di aver avuto un riscontro concreto di tale sostituzione culturale in atto nelle classi delle scuole medie in cui, come docente di violino e di musica, ho potuto riscontrare “sul campo” l’alienazione devastante a cui sono soggette le giovanissime generazioni, e non certo per loro scelta. Nella mia piccola possibilità d’azione cerco sempre di consegnare ai bambini e ai ragazzi “con arte e con metodo” (per usare i termini aristotelici) i semi di un pensiero critico con cui interpretare non solo lo spartito musicale, ma anche la realtà e la bellezza di cui tutti dovremmo essere difensori. In ultimo, proprio nel giorno in cui scrivo questo articolo, è iniziato un progetto musicale didattico, in cui sono molto felice di collaborare attivamente come violinista: tale progetto prevede spettacoli interattivi dedicati ai bambini e ai ragazzi delle scuole elementari e medie per fornire loro una conoscenza della musica classica (che definirei musica “sostanziale”) oggi totalmente lacunosa nella scuola italiana e spesso ridicolizzata o banalizzata nei modelli culturali taroccati e devianti a cui hanno accesso i giovani.
Per essere difensori della pace, per riprendere il titolo della monumentale opera politica di Marsilio da Padova, bisogna essere difensori della cultura “sostanziale”, in quanto pace e cultura si coimplicano, già solo considerando il semplice fatto che il Gran governo che viene legittimato (rectius: si autolegittima) a manipolare la cultura e le menti, è lo stesso Gran governo che non esita a sacrificare il “suo” popolo in una guerra nucleare.
Bibliografia
Aldous Huxley, Ritorno al mondo nuovo (trad. di Lorenzo Gigli e Luciano Bianciardi), Mondadori Libri S.p.A., Milano, 2015 – ISBN 978-88-04-67052-0 (con la Prefazione all’edizione 1946 del Mondo nuovo, trad. di Alessandro Maurini)
Sergio Cotta, Il diritto nell’esistenza – Linee di ontofenomenologia giuridica, Dott. A. Giuffrè Editore, S.pa. Milano, 1991 – ISBN 88-14-02733-1
Paolo Savarese, Diritto ed episteme – Note sullo statuto dello strumento giuridico, Edizioni Nuova Cultura – Roma, 2014 – ISBN 978-88-6812-271-3
Alfonso Di Giovine, Alessandra Algostino, Fabio Longo, Anna Mastromarino, Lezioni di diritto costituzionale comparato, Le Monnier Università, 2017 – ISBN 978-88-00-74612-0