Il sentiero di Beethoven

Un viaggio musicale sulle tracce del grande compositore che nella musica “ci metteva il cuore”

Cos’è la musica di Beethoven?
Da sempre il Gran Sasso è la meta delle mie escursioni estive insieme a mio padre. Durante il tragitto tra la nostra casa e Campo Imperatore, è pura magia ascoltare le Sinfonie di Beethoven suonate dalla Berliner Philharmoniker diretta da Karajan e percepire il tempo non come il ticchettio di un orologio, ma come flusso vitale reso in musica: il tragitto dura infatti circa un’Ottava di Beethoven.


Man mano che ci si avvicina alle vette del Gran Sasso, la sua musica trasforma la bellezza di quei luoghi in idealità, in filosofia. Sorge Pizzo Cefalone nell’Adagio della Quarta Sinfonia o il Corno Grande nel trionfo dell’ultimo movimento della Settima.
Beethoven si può sentire fisicamente. Quando suono le sue Sinfonie, le sue Sonate, i suoi canti popolari, lo sento nell’arco, in quella tensione e in quel peso corporeo e spirituale che dalla mente passa alla mano e da qui alla bacchetta che, arcuata e in tensione, affonda i crini sulle corde trasferendo alle vibrazioni l’interpretazione dell’idea beethoveniana, per trasformarla in melodia, in arte, in commozione, in vita.
Beethoven è la musica più profonda della Natura che da essa si sprigiona per perdersi nei misteri più inesplorati dell’ignoto.

Amo la musica di Beethoven; come persona prima che come musicista. Studiare il violino per dieci anni mi ha consentito di scorgere i segreti rivelatori del grande compositore, la sua musica travolgente e allo stesso tempo meditativa, quell’ira e quella dolcezza rese suoni e silenzi che riescono ad elevare qualunque spirito umano. Nella sua musica si può percepire la bellezza umana razionalizzata dalla mente e abbandonata alla romantica ricerca dell’infinito.

Nei momenti di crisi spirituale mi rifugio sempre tra i sentieri che affiancano l’Eremo-Santuario della Madonna d’Appari di Paganica ed è proprio in quei momenti che nel silenzio cosmico della mia mente nasce il ricordo della musica di Beethoven, che dona forza all’animo afflitto, coraggio laddove non c’è più speranza. Beethoven mi ha accompagnato e mi accompagna in ogni momento, persino quando, studiando la Storia di Napoleone, ho vissuto quella stessa ammirazione mista a profonda delusione che visse Beethoven quando strappò la dedica a Napoleone che aveva posto nella sua Eroica. Ma è proprio nella crisi che Beethoven trova l’opportunità di affidarsi con intelligenza, razionalità e sentimento alla sua arte.
La musica è come un sogno che non riesco a sentire

La musica di Beethoven non conduce ad un universo divino, ma umano, in un’interiore umanità, perfetta perché ricca di imperfezioni, limiti e contrasti che generano bellezza vissuta e autentica; Beethoven accompagna l’ascoltatore o l’interprete prendendolo per mano con vigore e lo conduce sulla cima di una montagna, quella più alta. Da lì indica il cielo, l’immensità, il mistero dell’esistenza, la sofferenza terrena a cui non c’è altra risposta se non la musica.




Dalla sofferenza che spesso conduce fino alla morte più tenebrosa, Beethoven rivela sempre un riscatto, una risalita, una luce che sorge flebile dal nostro animo, che poi esplode nell’immenso Inno alla gioia, nel Finale della Fantasia corale (basato su un commovente testo di Christoph Kuffner), nel Trio dello Scherzo della Sonata n. 7 per violino e pianoforte o nella semplicità quotidiana di una Pastorale.
Beethoven riesce a rendere adrenalinica l’anima afflitta del musicista o dell’ascoltatore, viva, trionfante. Come i più grandi maestri, però, non dà risposte, ma solo consapevolezza della capacità di pensare e di elevarsi tramite il ragionamento, la riflessione, fino all’abbandono ai sentimenti, alla poesia, alla musica. Come diceva Socrate: Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare. Era Don Lorenzo Milani che nella scuola di Barbiana faceva ascoltare ai suoi ragazzi i Quartetti di Beethoven e leggeva loro l’Apologia di Socrate.

Il secondo tempo della Settima parte da una soffusa foschia per poi sfociare nell’intreccio di ruscelli e altissime cascate che levigano giganti di roccia: è il suono della creazione di ogni cosa, della creazione del mondo, della Natura, della coscienza. Non manca però l’amarezza della pietosa e traditrice crudeltà umana cantata nel Massacro di Glencoe in cui Beethoven mette in musica lo straziante carme di Walter Scott, uno dei tanti meravigliosi testi degni del repertorio di stampo popolare da lui composto; ma anche in questo caso, quando la voce del soprano si è spenta con l’ultimo respiro, negli ultimi pizzicati del violino e del violoncello, negli ultimi tocchi del pianoforte, resta l’invisibile luce di una rinascita. Beethoven, infatti, non conosce altro segno di superiorità per l’uomo se non la bontà.

Negli ultimi quartetti (che per Schumann Si trovano al limite estremo di tutto ciò che è stato raggiunto finora dall’arte e dalla fantasia umana) Beethoven scrive filosofia in musica, come nel Quartetto n. 14 in cui i sette tempi si avvicendano senza alcuna pausa tra l’uno e l’altro, un flusso temporale che non può essere fermato in nessun modo (di questo quartetto, che sembra essere stato il preferito dallo stesso Beethoven, Schubert commentò Dopo questo, cosa ci resta da scrivere? ) o nella Canzona di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito in cui l’umiltà e l’umanità generano la commovente cura dell’anima e del corpo, oppure nel Presto del quarto tempo della Sonata n. 7 per violino e pianoforte in cui un’attrazione irresistibile verso l’accordo finale genera tensione vitale giungendo ad una doppia sbarra musicale invalicabile; nel silenzio di un’eterna corona finale confluiscono, come lui stesso diceva, due forze, che hanno uguale grado di certezza, di unitarietà e nello stesso tempo sono parimenti originali e universali, ossia le forze di repulsione e di attrazione.

Con la sua musica Ludwig riesce a superare i confini del Romanticismo e ad affacciarsi sul Novecento, anticipando il jazz, lo swing, il ragtime, in una ricerca avanguardistica che supera ogni confine ideologico ed estetico, rinnovato e innalzato verso traguardi sublimi.

La sua musica è per me come arrivare sulla vetta di una montagna dopo una faticosa ma bellissima scalata tra le rocce di un sentiero per ammirare poi la terra che si estende fino all’orizzonte, nel tempo e nello spazio terreno e umano, alzando lo sguardo al ravvicinato cielo che nasconde nell’azzurro risposte a cui solo la musica e la poesia, animate dalla filosofia, possono accedere.

La musica di Beethoven è rendersi umili di fronte alla Natura e alla collettività utilizzando appieno la nostra intelligenza, il sacrificio, per dar vita alla bellezza e realizzarci nella perfezione, pur tra i nostri limiti, affidando alla nostra arte la celata scoperta di ogni Verità.
È un atto di umiltà e di amore sintetizzato da Beethoven nella frase pronunciata di fronte alla tomba di Händel: Mi scopro il capo e mi inginocchio.
Beethoven ci insegna a sconfiggere il destino sorridendo poco a poco, ad andare oltre, a raggiungere fini superiori dandoci forza, come con l’oboe nella Quinta Sinfonia, parte imprescindibile di un tutto, bellezza specifica nella bellezza universale.
Noi siamo parte di quel tutto, di quell’Universo, di quella Natura in cui riponiamo i nostri misteri, e, perciò, come diceva Ezio Bosso, tutti noi siamo anche figli di Ludwig van Beethoven.

Si dice che l’arte è lunga e breve la vita: ma lunga è la vita e breve l’arte.
E se il suo soffio ci eleva fino agli dèi, non è che per un istante.

Ludwig van Beethoven

Posted

06 Dec 2022

Storia e cultura


Andrea Petricca



Foto dal web





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