La croce, simbolo centrale del Cristianesimo, con i dovuti distinguo, lo era anche durante il paganesimo. Nel significato precristiano la croce era rapportabile alla rappresentazione dei due solstizi e dei due equinozi, che originavano le stagioni. In tale simbolismo erano racchiusi i significati di morte e rinascita cosmica. I solstizi, gli equinozi, il sole, la luna, i pianeti, le costellazioni che accompagnavano il variare delle stagioni, erano considerati, in un modo o nell’altro, delle divinità. Erano entità divine che influenzavano la vita sulla terra e nel cosmo.
Dal solstizio d’inverno (Porta degli Dei e se vogliamo della luce), il sole, da una condizione di maggiore debolezza, raggiunge quello di maggiore potenza, cioè il solstizio estivo (Porta degli uomini e se vogliamo del buio) e da questo punto ritorna a quello di maggiore debolezza, cioè al solstizio invernale, contrassegnato dal Natale. Una metà dell’anno, quindi, è dominata dalla luce (dal solstizio invernale a quello estivo) e un’altra metà dal buio (il contrario). Gli equinozi sono i punti in cui la luce e il buio sono equi, pari, con una differenza fondamentale: l’equinozio di primavera si apre alla luce, mentre quello di autunno si apre al buio.
Al solstizio estivo, secondo la tradizione, entrava il “buio bambino”, con le streghe, con i morti. A novembre, nel mese dei morti, quando era il buio a dominare, la natura appassiva, moriva. Avevamo, in questa fascia buia dell’anno, degli dei, successivamente cristianizzati, che rappresentavano il mondo dei morti, del buio, dell’anno vecchio. Le feste relative a tali divinità culminavano con il Natale, cioè col momento della nascita del sole bambino e successivamente del Cristo, ed erano festività “oscure”, auguranti la luce, produttrici di luce.
A studiare le nostre tradizioni ci accorgiamo che i morti portavano, in alcuni paesi, la loro calza “energetica” il 2 novembre, momento della loro venuta, mentre in altri il 6 gennaio, momento del loro ritorno al paese dei morti. Quindi nel periodo buio dell’anno i morti vivevano, a modo loro, insieme ai vivi. Si preparava a novembre il “grano dei morti”, cioè si bolliva il grano, i cui chicchi non erano più in grado di rinascere perché cotti, portavano le calze, ricchi di frutti autunnali, e ripartivano in processione il 6 dicembre, dopo essersi rifocillati alla “tavola dei morti” preparata dai parenti vivi.
Le feste di San Nicola, di Santa Lucia, della Befana e dello stesso Natale era feste relative all’Anno vecchio, che doveva partorire l’anno nuovo e morire. Erano feste nelle quali le divinità pagane rappresentavano la morte dell’anno vecchio ed erano elementi che donavano la luce, perché era l’inverno a preparare la primavera. C’era tra queste feste una distinzione da considerare: San Nicola e Santa Lucia cadevano prima della Porta degli Dei, mentre la Befana, ma anche Sant’Antonio Abate, cadevano dopo.
La fava diventava, in questa fase, un elemento dominante, collegato ai morti, ma era tale alimento (unitamente ad altri legumi) ad azotare la terra impoverita dal grano (il famoso maggese), dove erano proprio le fave ad arricchire il terreno di “luce”.
Il Capodanno antico non era, come il nostro, a gennaio, ma veniva festeggiato soprattutto all’equinozio di primavera. In alcune civiltà veniva festeggiato all’equinozio di autunno. Con le riforme religiose romane il Capodanno divenne gennaio e si istituirono, a sostituzione dell’antico Carnevale di febbraio, i Saturnali di dicembre.
La vita rinasceva dalle radici, lì dove in autunno era scesa (ricordiamo il ratto di Core-Persefone da parte di Ade, il dio degli inferi). Le ricchezze si trovavano nel sottosuolo, anche i minerali e le altre sostanze che arricchivano il mondo delle piante.
Simbolo solare, per eccellenza, era il grano, che una volta tagliato e staccato dalla paglia, “dormiva”. Dentro di sé, però, aveva tutto il potenziale di crescita e di morte, un po’ come succedeva con l’uovo. Il grano si “seppelliva”, dopo che l’inverno, l’anno vecchio (rappresentato dall’aratro), si era congiunto con la terra ritornata vergine (la figlia di Demetra). Secondo i terrazzani di Foggia, il grano tribolava, sottoterra, per 40 giorni (numero “quaresimale”), per moltiplicare le proprie spighe e i propri cicchi. Arrivava poi la sua alba, quando usciva dalla terra, dopo, la sua maturità ed infine la morte. Nel periodo invernale Persefone, nei Misteri di Demetra, sollevava al cielo tre spighe di grano tagliate. Gli adepti adoravano un chicco di grano posto in un ostensorio.
Un’altra tradizione natalizia interessante è quella dei dolci: erano preparati senza uovo e la mancanza dello stesso stava ad indicare la mancanza del sole (diversamente dalla Pasqua quando i dolci erano ricchi di tale alimento). Il loro significato, lo abbiamo già detto, era la vittoria della luce sul buio, ma era nel buio che vinceva la luce. La pasta senza uovo, senza “luce” aveva in sé la potenza della rinascita, così come i giardini di Adone che, anche se cresciuti al buio, contenevano il potenziale di rinascita.
Un’altra nostra tradizione diceva che chi nasceva a Natale diventava lupo mannaro, se maschio, strega, se femmina. Il sole, Apollo, d’inverno, infatti, diventava Apollo Licio, cioè Apollo lupo e la strega era la divinità femminile che lo affiancava.
2020 anni fa nasceva Cristo, che a differenza degli Ebrei predicava la presenza di un Dio universale, buono, che permetteva si uccidesse il suo figlio, nuova vittima sacrificale, per il bene degli uomini. Il Figlio ha rivoluzionato la religione, ha scacciato i mercanti dal tempio, ha predicato il perdono, l’amore, la fratellanza degli uomini e la loro uguaglianza, ha chiesto di dare a Cesare quello che è di Cesare, ecc. La religione cristiana, pur nascendo dal troncone culturale ebraico, si allontana da esso, assimilando ai suoi significati prima di tutto le religioni solari, delle quali, in massima parte, ha utilizzato il simbolismo.
Per il passaggio dalle feste pagane a quelle cristiane, dagli dei pre-cristiani ai santi, vi suggerisco la lettura del volume “Calendario” di Alfredo Cattabiani, edizioni Rusconi, 1988, che vi guiderà per mano verso la comprensione delle feste, dei miti e dei riti relativi al Natale, ma anche di quelli dell’intero anno religioso agro-pastorale.