Quando cinquanta o sessant’anni anni fa si festeggiava l’arrivo dell’anno nuovo, allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre, si gettavano dalle finestre e dai balconi delle case, mobili e sedie vecchie, bottiglie, bicchieri, piatti, riempiendo le strade di ogni tipo di rifiuti. In alcuni casi si potevano “ammirare” bidè, cessi ed altri oggetti strani.
Noi ragazzi, verso le due di notte, giravamo per le strade in cerca di botti non esplosi che, il giorno dopo, avremmo lanciato contro i muri dei palazzi per farli esplodere (erano mucchietti di pietre esplosive incartate, che esplodevano nell’urto violento che si provocava col lancio).
Gli “spazzini” (‘i scupatùre), non ancora nobilitati con i termini di netturbini e poi di operatori ecologici, non si disperavano per il grande lavoro da fare, perché il compenso per quella faticaccia era abbastanza consistente.
Il Capodanno, che dai Romani in poi si trasferì dal primo aprile (con la Costellazione dell’Ariete) al primo di gennaio, vedeva, come giorni purificatori di preparazione al Natale e al Capodanno, la Madonna Concetta (Immacolata Concezione), l’8 dicembre e Santa Lucia, il 13 dicembre, quando nei falò preparati per la ricorrebza venivano bruciati oggetti di legno vecchi, cioè sedie e mobili vecchi e qualche pupazzetto simbolico. Col Sole nuovo venivano bruciate le cose che rappresentavano l’Anno Vecchio, cioè di lui impregnati. Una usanza simile si ricorda nella tradizionale pulizia delle pentole prima della Quaresima, quando esse, insieme alle posate e ai piatti, venivano lavate così bene da eliminare anche il più piccolo residuo di carne.
Anche bruciare la “Pupa nera” della Quarantana (Quaresima) e di Carnevale, il “Ciuccio” di San Potito di Ascoli Satriano (tutte rappresentazione dell’inverno), erano riti purificatori dei vecchi influssi negativi dell’Anno Vecchio.
Sull’altare del Sole delle Vestali la fiamma del fuoco veniva rinnovata accendendone una completamente nuova (tramite i conosciuti sistemi tradizionali: accensione sbattendo pietre focaie o strofinando legni, ecc.) perché il vecchio, pur essendo ancora fuoco, rappresentava un fuoco impuro, da purificare; in quel caso facendolo esaurire.
Un altro sistema per purificare, che è sempre sfuggito alla nostra riflessione, un atto compiuto quotidianamente, era di buttare l’immondizia per strada e poi nei “cavoni” (grandi cave, simbolo infero). Tutto quello che era “rifiutato” dalle famiglia veniva bruciato o buttato nei “cavoni”. Spesso un paese grande ne aveva più di uno.
Gli addetti alla raccolta delle immondizie, gli scopatori, toglievano spesso dall’immondizia il materiale organico, che finiva in speciali fossi (scavati apposta, o messi a mucchio), che fermentando creava un concime speciale, indicatissimo per ingrassare le terre; tutto il resto veniva buttato nei “cavoni”. Il materiale ricavato dai rifiuti organici fermentava in quelle piccole buche (mini rappresen-tazioni di Madre Terra infera) e quindi avveniva una trasformazione divina, magica, la stessa che si ha nel trattamento dell’uva per ricavare vino, del latte per ricavare il formaggio e in tantissimi altri prodotti organici.
Così come si scacciavano i demoni con rumori assordanti (cosa che avveniva in Capitanata prima della Pasqua) e con i botti, con le stesse finalità il materiale vecchio veniva o bruciato o buttato nei “cavoni”. Una sorta di rinascita quindi, av-veniva nei materiali fermentati, parte dei quali erano il letame stallico, quello animale e umano, appunto fermentati.
Vogliamo tornare a buttare i ma-teriali per le strade a Capodanno? Manco a parlarne.
Il compito di noi antropologi è quello di estrarre da queste anti-che tradizioni i significati profon-di estrapolato simboli positivi da dinamiche non più riproponibili per motivi di igiene, di educazio-ne, di ordine pubblico.