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In questo articolo parleremo di popolani bravissimi nel ricavare dai rami, dal tronco e dalle radici degli alberi, opere artigianali che talvolta sono veri e propri capolavori artistici.
Questi artigiani, che nella maggioranza dei casi svolgevano altri mestieri (contadini, pastori, pescatori, guardiani di masserie), erano considerati imitatori realistici della natura arrivando a sviluppare vere e proprie forme d’arte.
Più lo scultore era legato alla tradizione, maggiori erano i codici simbolico-religiosi che derivavano dal mondo antico, e comunque sia, le opere erano sempre legate alla natura o a soggetti religiosi.
A Rignano Garganico ho fotografato un’opera di artigianato davvero straordinaria (De Felice), legata ai codici simbolici antichi, realizzato in modo tale da sembrare un prodotto antico. Dal manico di un frustino è stata ricavata la testa di un serpente (il cui corpo, con relativa coda è rappresentata dal frustino stesso) mentre ingoia un cavallo, il quale, a sua volta, è rappresentato solo da una zampa con lo zoccolo che esce dalla bocca della serpe.
Una meraviglia! Per me che studio queste tradizioni da anni, il messaggio-codice è evidente: il serpente-inverno-inferno mangia il cavallo (probabilmente bianco), che è simbolo di Cielo e di primavera-estate: l’inverno ritorna a dominare, col preludio autunnale e col periodo invernale, sulla primavera e l’estate. Voglio dire che in questi casi, al di là della bravura, il popolo aveva piacere a comunicare i codici e i simboli delle antiche religioni, anche se avevano dimenticato il loro significato.
Il compianto Francesco Giovanditto amava fare dei bastoni “figure gianiche”, legate “nuca a nuca”: cavallo-cane, cavallo-persona, ecc. Forse li aveva visti fare dai suoi parenti più anziani e se li ricordava con piacere, al punto di riprodurli lui stesso. Una volta fece una testa di cavallo dipinta di rosso (che conservo io), rappresentante la dea Demetra-Persefone, che nel suo “periodo rosso” (Luna bianca = vergine; Luna rossa = pronta al matrimonio e alla riproduzione; Luna nera = vecchia) era disponibile ad accoppiarsi con il dio dell’acqua.
In questa categoria realistica ritroviamo gli artigiani che costruivano maschere rituali, navi e barche tradizionali, piccoli idoli e cose simili. A Peschici si usavano maschere di legno per rappresentare nei riti la divinità di Bes, visto che il paese era dedicato al nano egizio. Qui, dove ho documentato le opere di ben quattro scultori popolari, erano i pescatori e non i pastori o gli agricoltori a scolpire il legno. Essi, nelle lunghe sere d’inverno, quando il mare era in burrasca, passavano il loro tempo a lavorare il legno, per il piacere personale, per ingannare il tempo e forse anche per guadagnare qualcosa, vendendo gli oggetti nelle fiere e non come adesso ai turisti.
C’erano scultori realisti che costruivano cucchiai, forchette, matterelli con galletti sui manici o altri animali. Alcuni si divertivano a fare foglie vegetali di ogni forma, animali con una spiccata interpretazione personale, anche se erano oggetti artistici in qualche modo legati indissolubilmente alla tradizione, al mondo reale.
I soggetti, i codici che si usavano, spesso venivano “scolpiti” anche con la pasta dei caciocavalli, con la farina per fare i dolci. A Monte Sant’Angelo e nei paesi limitrofi, si costruivano “San Michele” con la pasta del caciocavallo da vendere ai pellegrini. Mangiare il Santo forse significava entrare in comunione con l’Arcangelo. Questi prodotti sacri con la pasta di caciocavallo si formavano anche utilizzando degli stampi, scolpiti al negativo, usati di generazione in generazione.
Infine c’erano giovani scultori con esigenze innovative, che trattavano le opere in modo più distaccato dalla realtà e quindi si avvicinavano ad espressioni più moderne, a interpretazioni più soggettive e più artistiche che artigianali.