Spesso i meridionali convivono con tesori culturali di inestimabile valore, come i canti garganici, ovvero canti tradizionali che coincidono in parte con quelli dei Cantori di Carpino. A San Giovanni Rotondo li chiamano le strapolette le cui origini non sono perfettamente databili, perle sonore tramandate dai cantori tradizionali garganici. Erano in uso nelle serenate, nelle feste sull’aia, nelle feste pastorali della tosatura, nelle feste in famiglia.
Tempo fa ho incontrato Antonio Ricciardi, informatore sangiovannese, e due suoi nipoti. In tale occasione, intonarono una strapoletta con la chitarra. Alla voce dei due ragazzi si unirono quella della loro mamma, della figlia di Antonio ed egli stesso, avvicendandosi nelle diverse strofe. Mi sentii sollevato in aria, sembrava che la mia sedia levitasse dal suolo. Ebbi l’impressione di trovarmi in un’altra dimensione, accompagnato da un senso di felicità. Rimasi colpito da tale esperienza e pensai: “Potenza delle strapolette!”.
Salvatore Villani, un etnomusicologo di Rignano Garganico, ha studiato tecniche di canto, di suono e conosce bene la tradizione della Serenata di San Giovanni Rotondo. I suoi libri sono ricchi di informazioni. Ha approfondito le tecniche di accompagnamento della chitarra battente e dei modi musicali con cui si presentavano le strapolette, attraverso le quali era possibile creare varianti a livello di testi, ma non a livello di modalità tonali. Le strapolette sono diverse dai canti tradizionali classici che, ad un orecchio poco educato, appaiono un po’ ripetitivi.
Un buon lavoro di documentazione audio e sui testi, è stato realizzato da Michele Rinaldi, probabilmente l’unico a conoscere e documentare i canti e le varianti degli ultimi suonatori di strapolette. Pio Gravina, invece, ha avuto il ruolo di folksinger. Ha il merito di aver fatto conoscere le strapolette nei festival, cioè al di fuori di San Giovanni Rotondo; io stesso l’ho chiamato ad esibirsi nella provincia di Foggia.
Un ottimo lavoro di recupero dunque, effettuato soprattutto da Salvatore Villani e Michele Rinaldi, che in qualche modo hanno perpetuato questo particolare genere musicale.
Oggi questi canti sono ingiustamente caduti nell’oblio, sostituiti in tutti i contesti prima dalle canzoni napoletane di Piedigrotta, diffuse in tutto il sud da cantanti napoletani girovaghi venditori di testi, e dai canti moderni in italiano diffusi prima dalla radio e poi dalla televisione.
Le strapolette sono canti d’amore in onore della dea Afrodite-Venere. Erano composti da sacerdoti della dea almeno mille anni prima della nascita di Cristo. I testi sono di squisita poesia in cui si parla di amore tra re e regine, di capelli d’oro e d’argento, di donne come “Palma fiorita” che non rientrano in un tipo di espressione popolare (tra l’altro la palma fiorita era un’espressione dei Cananei, degli Egizi, dei Siriani e di popoli simili). Ad eccezione delle ultime varianti aggiunte da cantori recenti, i testi sono meravigliosamente poetici ed alcuni studiosi li hanno erroneamente definiti: poesia popolare. Le strutture di questi canti erano troppo elaborate e, pur nella loro semplicità, organizzati in maniera coerente, direi voluta, intenzionale, per vederci la “mano” del popolo. L’accompagnamento con le chitarre battenti, con gli organetti, con i tamburelli e le nacchere, per la sezione ritmica, evidenzia la loro appartenenza a riti precostituiti, come potevano essere quelli della serenata o la prima dichiarazione d’amore di un giovane, che poteva dar vita alla sacra costituzione di una nuova famiglia.
Grazie al compianto maestro Paolo de Angelis, ho conosciuto l’organettista Matteo Giuliani nella sua casa di campagna e davanti ad un albero di corbezzoli (‘i ‘mbriachèdde, frutti con piccolissime quantità di alcool). Matteo mi fece ascoltare diverse strapolette accompagnandosi con il suo organetto, dalle nacchere e dai tamburelli della moglie. Erano le donne che, come antiche menadi, suonavano la parte ritmica di quei particolari canti a rito. Ricordo che Matteo intonò la leccesèdde, il cui canto acuto e stridente dava l’impressione di veder volare un’aquila che volteggiava altissima nel cielo.
Le strapolette rappresentavano un mondo musicale composto da persone geniali in veste di ruoli sacri, che aveva dei precisi confini artistici, che rendevano chiarissima la propria configurazione musicale e poetica. Spesso confluivano in esse, strofette riferite a storielle che i contadini, i pastori, gli artigiani si raccontavano attorno al camino; una prova questa, dell’origine antichissima dei canti in questione.
Le strapolette dovrebbero diventare a ragion veduta, una delle tante “bandiere” culturali del Gargano e della Capitanata, evitando accuratamente di non farle entrare nel dimenticatoio.