Osservato mentre a braccio e improvvisando recitava poesie composte nello stesso istante in cui le declamava, Gian Luigi Gravina, letterato e celebre giurista, chiese di adottarlo. I genitori, senza esitare, acconsentirono immediatamente. Fu la fortuna di Pietro Trapassi, figlio di Felice e di Francesca Galasti, Aveva delle doti straordinarie nel comporre versi già all’età di dieci/dodici anni.
Nato a Roma il 13 di gennaio del 1698, dopo qualche anno dall’adozione, il suo cognome gli fu cambiato, con voce greca, in Metastasio. Pietro incominciò a studiare alacremente filosofia presso un noto professore, certo Gregorio Caroprese, dove il suo tutore lo aveva allocato, mentre per gli studi di letteratura di greco, latino e italiano, il Gravina se ne occupò personalmente. Studiava con volontà il piccolo Pietro sotto la guida dell’autore del libro, famoso a quei tempi, Della Ragione poetica.
EREDE DI UNA FORTUNA
All’età di 14 anni, due anni o poco più dalla sua adozione, per dare un saggio dei sui studi scrisse Il Giustino, dramma greco secondo i dettami ricevuti dal suo maestro, il quale lo aveva preso così a cuore che alla sua morte, avvenuta il 6 di gennaio del 1718, lo fece erede di tutte le sue sostanze per un valore all’incirca di 15.000 scudi.
Metastasio a quel tempo aveva appena vent’anni ed era già era ricco. In pochi anni tuttavia, dilapidò tutte le sue sostanze in donne e piaceri di ogni genere.
METASTASIO E NAPOLI
Fra la vergogna di chi lo stimava e la necessità di provvedere ai bisogni più impellenti, Pietro lasciò Roma. Si diresse a Napoli dove ebbe la ventura di conoscere un legulejo, un avvocato di mezza tacca, pedante e cavilloso il quale gli proibì di far versi. Fin quando la sorte gli arrise di nuovo. A quel tempo il viceré di Napoli, Marco Antonio Borghese, dovendo celebrare le nozze dell’imperatrice Elisabetta Cristina, cercava un poeta all’altezza per scrivere un dramma degno di siffatto evento che avrebbe dovuto allietare la serata degli sposi dopo la cerimonia nuziale.
LA ROMANINA
Qualcuno gli fece il nome del Metastasio. Portato a corte, Pietro prese l’impegno a condizione che l’avvocato non fosse informato. Per gli sposi scrisse Gli orti di Esperidi. Fu un preclare successo tanto che il viceré lo premiò con un cospicuo compenso. Abbandonato l’avvocato, iniziò a bazzicare tutti i teatri partenopei. Dopo Gli orti di Esperidi suo secondo dramma, ne scrisse altri tre: l’Endiminone, l’Angelica e la Galatea.
Conobbe Marianna Bulagarelli, soprannominata la romanina che iniziò a frequentare assiduamente. La Bulgarelli si innamorò di Metastasio, uomo bello, molto più giovane di lei e circondato da tanto successo. Galeotte furono le tavole del palcoscenico. Ma la bellissima Marianna aveva marito e il Metastasio preferiva non avere problemi.
ALLA CORTE DI VIENNA
Si recò a Vienna, stipendiato dal poeta Apostolo Zeno, il quale, vecchio e stanco, aveva deciso di ritirarsi a vita privata e lasciare la direzione di quel teatro molto famoso in qui tempi. Lo aveva chiesto insistentemente all’imperatore Carlo VI, il quale, dopo numerose sollecitazioni, acconsentì a condizione che trovasse un suo successore. Zeno, che intanto si era affezionato a Metastasio, fece il suo nome.
Il 31 agosto del 1729, il principe Pio di Savoia, scrisse una lettera proponendogli la direzione del teatro rimasta vacante da Zeno. Senza esitare lasciò Napoli e la bella Marianna Bulgarelli. A luglio del 1730, appena un anno dopo, era alla direzione di uno dei teatri più noti d’Europa mentre la romanina, amareggiata dall’abbandono del suo amato, corrosa da un male incurabile, si spense nel 1734. Nonostante tutto non dimenticò questo amore impossibile e, a testimonianza, gli lasciò, a insaputa del marito, un’eredità di circa 30.000 scudi romani. Una somma incredibilmente alta per quei tempi. Metastasio tuttavia, animo nobile e sensibile, si rivelò un uomo dal cuore buono e altruista. La pianse tanto da rinunciare alla somma in favore del marito.
L’amarezza per la perdita della bella cantante lo fece ritirare a vita riservata e schiva, tanto da abbandonare in grandissima parte il mondo dell’alta società dove il fato, benevolmente, lo aveva introdotto.
LA CONTESSA PIGNATELLI
Passò un tempo indefinito, fin quando la bella contessa Pignatelli d’Altan, con le sue amorevoli attenzioni, riuscì a fargli dimenticare la bellissima Marianna Bulgarelli.
La contessa lo aveva ammaliato con le sue innumerevoli attenzioni. Lo portava sempre con se e in ogni luogo in cui si recava, tanto che in giro si bisbigliava di un presunto matrimonio segreto.
Amatissimo dai suoi conterranei e da tutte le corone Europee, persona umile e dai semplici costumi, fu premiato dall’Imperatore Carlo VI col titolo di conte, per le sue doti eccezionali nel campo della poesia e del melodramma, inusitate virtù per quei tempi.
Ferdinando IV di Spagna, Caterina II di Russia, Stanislao Augusto di Polonia. Due papi: Benedetto XIV e Pio VI. I sovrani di Russia, in un viaggio di piacere a Vienna, vollero recarsi personalmente a omaggiare il celeberrimo poeta italiano che tanto faceva parlare di sè con i suoi melodrammi. Ormai nulla più gli mancava se non una vita serena.
Alla morte di Carlo VI, suo protettore, il Metastasio entrò in una profonda crisi psicologica. Gli successe al trono Maria Teresa, la quale lo ebbe a ben volere e lo prese nelle sue grazie fino ad assegnargli uno stipendio di 3000 fiorini al mese. Per convincerlo a rimanere alla direzione del teatro di Vienna, gli consegnò il ricavato della tesoreria di Cosenza, a quell’epoca amministrata dagli asburgici, consistente in circa 1500 fiorini.
LA DECADENZA ARTISTICA
Ma la vita agiata, fece sì che al genio del melodramma, venisse a mancare la vena poetica e di scrittore. La fantasia andava esaurendosi come era cresciuta la sua ricchezza. Metastasio si ritirò man mano a vita privata. Scrisse pochissimo negli ultimi anni della sua vita, la quale lo lasciò il 12 aprile del 1782. La sua anima solcò i cieli in quel di Vienna tra le ultime cure dell’amato consigliere di corte Martinez che lo curò sino all’ultimo respiro.
C’è da dire che sino all’ultimo, il grande cuore del fanciullino vispo di un tempo, manifestò la sua magnanimità. In un ultimo afflato d’amore e di altruismo, manifestò la sua riconoscenza al brav’uomo che lo aveva accudito nella vecchiaia, lasciandogli in eredità a quasi tutti i suoi averi: 90.000 fiorini in mobili e in oggetti preziosi d’oro e diamanti avuti in dono da imperatori e re di quasi tutte le corti d’Europa. Quando fu sepolto a Vienna nella chiesa di San Michele, aveva 84 anni.