Gli ultras: da sempre non solo passione sportiva
Con qualche forzatura la vicenda che stiamo per raccontare potrebbe essere attribuita ad un gruppo di ultras “ante litteram”, considerato che il suo avvio e, soprattutto, il tragico epilogo hanno avuto per teatro un impianto sportivo, l’ippodromo di Costantinopoli (l’odierna Istanbul) capitale dell’Impero romano d’O-riente, e come protagonisti i tifosi suoi frequentatori.
Fatto costruire da Costantino I (274-337 d.C.), contestualmente alla nuova capitale che prese il suo nome, sostituendosi alla precedente Bisanzio, l’ippodromo rispecchiava la realtà politica della città e dei suoi schieramenti. Come gli ultras dei nostri giorni – che spesso vengono accreditati di valenza sociale e politica, oltre che strettamente sportiva – anche quelli di Costantinopoli, collocati dalla storia nel VI secolo d.C., avevano assunto nella società un rilevante ruolo di riferimento politico.
La passione sportiva e l’agonismo, per la verità, eccitavano gli animi già in tempi più antichi, così che le accese rivalità e il tifo spesso sfociavano in risse e tafferugli. Valga per tutti l’episodio riportato da Tacito (Annales, XIV, 17), avvenuto a Pompei nel 59 d.C., con Pompeiani e Nocerini impegnati in una sanguinosa rivolta nell’anfiteatro della città.
I Giochi e l’ippodromo
I Giochi, essenzialmente basati sulle corse dei carri tirati da cavalli, assicuravano un vero e proprio spettacolo che dopo il divieto dei combattimenti dei gladiatori – afferma lo storico Livio Zerbini, in “Grandi e piccoli eroi che hanno cambiato la storia” – rimasero gli unici che riscuotevano il favore del grande pubblico e l’ippodromo divenne quindi il centro delle manifestazioni collettive della popolazione e l’unico luogo dove si poteva incontrare l’imperatore e i suoi ministri.
L’impianto ludico di Costantinopoli era stato progettato sul modello del Circo Massimo e poteva essere considerato un’eredità romana: già dai tempi di Nerone, infatti, l’ippodromo era il centro degli affari cittadini, dove si concludevano accordi economici, si stringevano alleanze politiche e gli aurighi erano il simbolo di squadre che si distinguevano per il colore: Verdi, Azzurri, Rossi e Bianchi.
Dunque, appartenere o solo tifare per una di queste fazioni, a Roma come a Costantinopoli, significava molto di più che esserne un semplice tifoso. Lo conferma Edward Gibbon, storico inglese che in “Storia della decadenza e rovina dell'impero romano” riporta: Costantinopoli adottò le follie, non già le virtù, dell’antica Roma; e le fazioni istesse, che aveano agitato il circo, infierirono con maggior furore nell’Ippodromo.
L’inizio della contestazione
Correva l’anno 532 e sull’Impero bizantino regnava Giustiniano I, unanimemente ritenuto imperatore saggio e illuminato. Il sovrano e la sua corte erano chiamati a confrontarsi, sul piano sociale e politico, con due fazioni – oggi diremmo partiti – identificati, rispettivamente, come Verdi e Azzurri. I primi rappresentavano i meno abbienti, artigiani e commercianti, mentre i secondi esprimevano la classe benestante e dirigente. Animati da interessi diversi, i due gruppi erano rivali anche sul versante sportivo, e all’ippodromo, durante lo spettacolo delle corse dei carri, accanitamente divisi per il tifo.
La radicalizzazione dei rapporti tra le due fazioni, accentuatasi col trascorrere del tempo, sfociava sempre più frequentemente in scontri: l’imperatore era costretto a prendere drastiche iniziative che, inevitabilmente, finivano col favorire una parte rispetto all’altra.
Cosicché, nel gennaio dell’anno 532, stanco dei continui disordini, Giustiniano fece arrestare, con l’accusa di omicidio e condannandoli all’impiccagione, 7 membri tra Verdi e Azzurri. Fu la scintilla che produsse una risposta compatta ed energica da parte dei due gruppi rivali che chiesero clemenza per i sette condannati sollecitando, nel contempo, la destituzione dell’imperatore. Prese avvio un’insurrezione passata alla storia come “la rivolta di Nika”, dalla parola greca che significa «vinci». Questo era, infatti, il grido d’incitamento che si rivolgeva all’auriga della propria squadra.
Le violenze in città e la dura repressione
L’11 gennaio 532, nell’ippodromo di Costantinopoli, s’inaugurarono i Giochi alla presenza di Giustiniano che fu fatto bersaglio di violente contestazioni.
Seguirono sei giorni di scontri e distruzioni che coinvolsero l’intera città: la Basilica di S. Sofia fu data alle fiamme. Lo storico bizantinista francese Charles Diehl, in una sua opera dedicata a Teodora, moglie di Giustiniano – “Teodora, imperatrice di Bisanzio” – ci offre uno scenario apocalittico: Più di un quarto della capitale fu ridotto in cenere; e in mezzo alle rovine annerite dal fuoco, in mezzo al fumo, tra l’odore di bruciato che rendeva la città quasi invivibile, nelle strade coperte di cadaveri, tra cui quelli di molte donne, la battaglia continuava.
L’imperatore si rifugiò nel suo palazzo con la la moglie e l’intera corte, meditando la fuga. Ne fu dissuaso da Teodora, decisa a restare per affrontare l’emergenza e a non soggiacere a quello che riteneva un atto di debolezza e di viltà.
Si tentò di placare gli animi promettendo agli insorti ingenti quantitativi di oro, convincendoli a riunirsi nell’ippodromo. Si trattò, in realtà, di una trappola fatale: nell’impianto ludico-sportivo, infatti, non tardarono a giungere le truppe dei generali Belisario e Narsete che fecero strage dei “tifosi”. La repressione provocò 35.000 vittime e i corpi dei capi delle due fazioni vennero gettati in mare negando loro la sepoltura cristiana. Era il 18 gennaio 532.
Dopo il massacro e il ritorno alla normalità, si provvide ad abolire le corse e i partiti per alcuni anni, allo scopo di evitare ulteriori occasioni di rivolta.
I cavalli in bronzo: da Costantinopoli a Venezia
Al posto della distrutta Santa Sofia, l’imperatore fece erigere lo splendido edificio che è possibile ammirare ancora oggi: al suo interno è conservata la marmorea “colonna piangente” da cui, si dice, sgorgano le lacrime dei rivoltosi uccisi.
Poche rovine rimangono dell’ippodromo di Costantinopoli: l’obelisco di Teodosio e la Colonna Serpentina. Decoravano l’ippodromo anche quattro cavalli in bronzo attribuiti allo scultore greco Lisippo che, dopo la conquista della città da parte dei Cristiani (1202-1204), trovarono collocazione a Venezia sul frontale della Basilica. Da qui, nel 1977, furono rimossi per essere sottoposti a restauro e quindi conservati nel Museo della Basilica, sostituiti da copie identiche.