La battaglia più studiata
Sono numerosi gli studiosi che, nel tempo, hanno scritto della battaglia di Canne – combattuta tra Romani e cartaginesi il 2 agosto 216 a. C., all’interno della II Guerra punica – e altrettanti sono coloro che continuano a occuparsene, a testimonianza dell’im-portanza dell’avvenimento che ancora oggi non manca di suscitare interesse e alimentare dispute.
La battaglia viene pressoché unanimemente ritenuta una delle più importanti tra quelle combattute in un solo giorno nella storia dell’umanità e ricordata per l’innovativa e sorprendente tattica impiegata da Annibale per sconfiggere i romani guidati dai consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone.
Due evidenze connotano questo avvenimento: la schiacciante vittoria cartaginese e il luogo del suo svolgimento, comunque appartenente al territorio dell’antica Apulia benché non ancora determinato con certezza assoluta.
Fiume Ofanto, ma non solo...
Una numerosa e qualificata schiera di storici propende per la sua localizzazione tra le città di Barletta e Canosa, lungo le rive del fiume Ofanto (il romano Aufidus); tuttavia, non mancano versioni che accreditano uno scenario del conflitto geograficamente diversa dalla Canne ofantina, benché sempre in Apulia. Solo per fare un paio di esempi: in prossimità dell’attuale Castelluccio Valmaggiore, in provincia di Foggia, dove scorre il torrente Celone (Aquilonis per i romani) o in un territorio al confine tra la Puglia e il Molise, lungo la riva destra del fiume Fortore.
Il… peccato originale di questa vicenda, se così possiamo dire, consiste nel fatto che nessuno degli storici che l’ha narrata ne è stato contemporaneo: Polibio (storico greco antico, 206 a. C.-118 a. C.) ne ha scritto nella sua Storia circa cinquanta anni dopo, e Tito Livio (storico romano, 59 a. C.-17 d. C.) in Ab Urbe condita, ancora più tardi.
Le incertezze, per la verità, non finiscono qui: gli stessi Polibio e Tito Livio, pur concordando sullo svolgimento lungo il fiume Ofanto, tuttavia hanno convinzioni divergenti su quale delle due rive del fiume sia stato lo scenario: la destra per Polibio, quella sinistra per Tito Livio. Per completare il quadro dei dubbi che ancora permangono, anche sul numero delle vittime (decine di migliaia di uomini) gli storici antichi non si trovano d’accordo, così come sul dispiegamento delle truppe romane e cartaginesi sul terreno di scontro.
Quanto alle tesi “moderne” che vorrebbero la battaglia avvenuta lungo le rive di altri corsi d’acqua – il Celone o il Fortore, come detto –, queste sono fondate soprattutto sullo studio di reperti archeologici rinvenuti nelle zone considerate, piuttosto che su dati rigorosamente storici, e appaiono oggettivamente più deboli rispetto all’assunto principale che vuole il combattimento avvenuto a Canne, lungo le rive dell’Ofanto.
La tattica
Come già accennato, la battaglia di Canne ha finito con l’acquisire notorietà e risonanza rilevanti all’interno della storia militare mondiale, tanto da far affermare allo storico e ufficiale americano Theodore Ayrault Dodge (1842-1909) nella sua opera Annibale: “Poche battaglie dei tempi antichi sono maggiormente segnate dall'abilità strategica rispetto alla battaglia di Canne. Dal punto di vista cartaginese, è un'eccellente opera d'arte, poiché non ci sono, nella storia della guerra, esempi che la superino, mentre pochi la eguagliano”.
Lo storico e filosofo statunitense Will Durant (1885-1981) si mostra ancora più esplicito: «È stato un supremo esempio di abilità militare, mai superato nella storia, che fissò le linee delle tattiche militari per 2.000 anni».
Quella realizzata da Annibale fu una manovra di accerchiamento, definita “a tenaglia”, che sorprese l’esercito romano abituato, secondo le consuetudini militari dell’epoca, ad affrontare il nemico su un unico fronte piuttosto che vedersi circondato, costretto ad affrontarlo su diverse direttrici e affievolendo in tal modo la sua forza d’urto.
La battaglia di Canne è considerata un esempio di scaltrezza e di abilità di manovra e risulta essere, ancora oggi, la più studiata da militari e da esperti di tattica e strategia. Essa rappresenta, inoltre, l'archetipo della battaglia di annientamento tanto da far affermare a Dwight Eisenhower (1890-1969), comandante supremo delle forze di spedizione alleate durante la seconda guerra mondiale e 34^ Presidente degli Stati Uniti d’America: “Ogni comandante di terra cerca la battaglia di annientamento; nella misura in cui le condizioni lo permettano, cerca di duplicare nella guerra moderna l'esempio classico di Canne”.
Il tramonto di un mito
Subito dopo la sconfitta di Canne, a Roma si cominciò a pensare alla possibile “riparazione” dell’onta subita. La permanenza del generale cartaginese in Italia continuava a creare preoccupazione, soprattutto per le possibili voglie espansionistiche ma anche perché la sconfitta di Canne aveva determinato da parte degli alleati un sentimento di sfiducia nei confronti di Roma. I romani gradualmente si riorganizzarono conquistando i territori del Sud Italia di cui avevano perso il controllo.
Nel corso della seconda guerra punica (che aveva avuto inizio nel 218 a. C.), dopo la sconfitta di Canne, i romani ottennero vittorie significative che orien-tarono a loro favore l’esito del conflitto: nel 206 a. C. il giovane condottiero Publio Cornelio Scipione (poi soprannominato “l’Africano”) costrinse i Cartaginesi ad abbandonare la Spagna; due anni dopo sbarcò in Africa costringendo Annibale a muoversi precipi-tosamente dall’Italia per tornare a difendere la sua patria. Il 19 ottobre 202 a. C., nella campale battaglia di Zama, l’esercito romano, ancora al comando di Scipione l’Africano, sconfisse definitivamente i Cartaginesi, infliggendo un duro colpo al mito di Annibale.
La fine di Annibale
Conclusa la II Guerra punica, Annibale guidò Cartagine ancora per alcuni anni ma nel 195 a. C. fu costretto all’esilio, ancora a opera dei Romani: si rifugiò prima in Siria presso il re Antioco III, quindi fu accolto dal re Prusia I in Bitinia. Allorché i Romani ne chiesero la consegna, Annibale preferì dignitosamente Togliersi la vita, avvelenandosi. Aveva 65 anni e per una di quelle coincidenze che la storia ama consegnarci, nello stesso anno moriva Publio Cornelio Scipione, il giovane condottiero che ne aveva decretato la sconfitta a Zama e il conseguente declino.
Viene ricordato come un condottiero dalle straordinarie capacità tattiche e strategiche, certamente il più acerrimo e valido nemico di Roma, uno dei più grandi generali della storia dell’umanità. Polibio lo paragona al suo grande rivale Publio Cornelio Scipione ma altri storici si sono spinti fino ad equipararlo ad Alessandro Magno, Giulio Cesare e Napoleone.