I sette savi dell'antica Grecia

Personalità pubbliche esaltate dai posteri come modelli di saggezza pratica e autori di massime poste a fondamento della comune sensibilità culturale greca

Nella Grecia antica i più grandi “saggi” furono i Sette Savi.

Erano dei pensatori che cercavano di interpretare ciò che vedevano; andavano alla ricerca dell’archè (il principio del tutto). Furono i predecessori dei filosofi che fondarono ad Atene varie scuole filosofiche e Accademie.

Le più importanti, sorte nel VI a.C., furono la Scuola Jonica di Mileto (la prima), la Scuola di Aristotele, detta Liceo, quella di Talete, di Pitagora, di Parmenide e di Platone. Quest’ultima, fondata nel 387 a.C., fu chiusa nel 529 d.C. per ordine dell’imperatore Giustiniano essendo stato imposto il Cristianesimo come religione di Stato in tutto l’impero bizantino.

I sette savi, o sette sapienti, furono personalità pubbliche presso le rispettive Città-Stato vissute tra la fine del VII e il VI secolo a.C. onorate dai posteri come modelli di saggezza e autori di massime e sentenze che furono, in seguito, spesso citate dagli antichi nelle loro orazioni. Del loro pensiero non ci è giunta nessuna opera. Si possono, però, individuare tratti comuni tra le loro sentenze e aneddoti.

I loro nomi sono: Talete, Biante, Chilone, Cleobulo, Pittaco, Solone, Periandro.

TALETE
Talete nacque a Mileto nella Jonia. Inizialmente si occupò della magistratura ricoprendo vari impieghi. Successivamente abbandonò ogni pubblicò impiego e si dedicò completamente allo studio. Come molti suoi predecessori viaggiò moltissimo per acquisire nuove conoscenze. Si applicò in modo particolare allo studio della geometria e dell’astronomia. I suoi studi furono ripresi dal suo discepolo Anassimandro che formulò la prima teoria sulla forma della Terra come un disco al centro dell’universo. Talete fu il primo ad intuire la causa dell’eclissi del sole e della luna; scoprì i solstizi e gli equinozi. Dopo i suoi viaggi ritornò a Mileto. Di tre cose ringraziava gli Dei: “di essere nato ragionevole, anziché bestia, uomo, anziché donna; greco anziché barbaro”. Concepiva la Divinità una intelligenza che non aveva avuto mai principio e non avrebbe mai fine e gli Dei conoscono i nostri più intimi pensieri. Fu il primo fra i greci a concepire l’immortalità dell’anima. Individuò nell’acqua il principio di tutte le cose. Secondo il suo sistema la Terra è un’acqua condensata e l’aria un’acqua rarefatta. Morì all’età di 96 anni.

BIANTE
Biante nacque a Priene, città della Caria (regione costiera della Turchia) il 600 a.C. circa e morì il 530 a.C. circa. Fu il più grande oratore del suo tempo e si adoperò molto in difesa dei più poveri. Amava la poesia e molti suoi precetti morali furono scritti in versi. Alcune delle sue massime: “Procurate piacere a tutti: se voi vi riuscirete, troverete grandi soddisfazioni nel corso della vita”. “Amate i vostri amici con discrezione; pensate che possono diventare vostri nemici”. “Odiate i vostri nemici con moderazione, perché può darsi che un giorno divengano vostri amici”. “Procurate, mentre siete giovani, di acquistare della sapienza; sarà questa l’unica vostra consolazione nella vecchiaia”. “Non mancate mai di adempiere quanto avete promesso”. “Le ricchezze generalmente sono effetto della sorte; ma la sapienza è la sola cosa che possa rendere un uomo utile”. Preferiva giudicare una questione fra due suoi nemici piuttosto che fra due suoi amici perché, asseriva: “Nel primo caso posso riconciliarmi con quello dei due miei nemici al quale la decisione sarà stata favorevole; nel secondo caso, posso perdere l’amicizia di quel mio amico al quale ho dovuto dar torto”. Le ricchezze, secondo il suo pensiero, non costituiscono i veri beni; le reputava superflue e di cui si poteva fare a meno.

CHILONE
Chilone nacque a Sparta nel 600 a.C. circa; fu Capo di Stato e contribuì a rovesciare la tirannia nella città di Sicione, che in seguito diventò alleata di Sparta.



Molti dotti dell’antica Grecia amavano viaggiare per acquisire nuove cognizioni. Chilone, invece, la pensava diversamente; secondo lui viaggiare era il modo peggiore di impiegare il tempo. Era, infatti, ammirato per la sua vita ritiratissima e per la sua moderatezza. È sua la massima: “In ogni cosa bisogna correre lentamente”. Per molti la sua vita era un modello di virtù. Asseriva che l’arte di indovinare non è impossibile all’uomo poiché, secondo la filosofia, il suo spirito può conoscere molte cose future. Alcune sue massime recitano: “Tre sono le cose difficili: custodire un segreto, soffrire le ingiurie ed impiegare bene il tempo”. “È meglio perdere che fare un guadagno ingiusto”. “È cosa disdicevole il lusingare le persone che sono nell’avversità”. Trovandosi un giorno a giudicare uno dei suoi amici era molto imbarazzato in quanto bisognava o violare la legge o far morire l’amico. Ecco cosa ci narra: “Dopo aver ben riflettuto trovai questo espediente: esposi con tanta accortezza tutte le migliori ragioni dell’accusato, che i miei colleghi non ebbero difficoltà ad assolverlo, ed io lo avevo condannato a morte senza loro dir nulla. Ho soddisfatto ai doveri di giudice e di amico”. Molto stimato i Lacedemoli gli eressero una statua. Morì nel 556 a.C. circa.

CLEOBULO
Cleobulo nacque a Lindo, città marittima dell’isola di Rodi. Pur riconosciuto come uno dei sette Savi della Grecia, fu il meno importante. Tutta la sua sapienza consisteva nel dare alcune massime per vivere bene, come “In ogni cosa bisogna avere ordine, tempo e misura”. “Non vi è nulla al mondo di più comune che l’ignoranza e i parolai”. “Conviene nutrir sempre sentimenti elevati, e non essere né ingrato né infedele”. Impiegò la sua gioventù a viaggiare in Egitto ove apprese l’uso degli enigmi che introdusse, in seguito, in Grecia. Ecco uno dei suoi enigmi: “Sono un padre che ha dodici figlie, ma di differente bellezza. Le une hanno la faccia bianca, le altre le hanno assai nere. Esse sono tutte immortali, ma mi muoiono tutti i giorni”. La soluzione: l’anno. Morì all’età di 77 anni. I concittadini gli elevarono un epitaffio per onorare la sua memoria.

PITTACO
Pittaco nacque a Mitilene, città dell’isola di Lesbo nel 640 a.C. In gioventù fu un bravo soldato, gran capitano. Secondo la sua massima bisognava “adattarsi ai tempi e approfittare delle occasioni”. Si narra che da molto tempo c’era un’aspra guerra tra gli abitanti di Mitilene e gli ateniesi per il possedimento del territorio Achillitide. I miletesi scelsero Pittaco come comandante delle proprie truppe. Quando le due armate furono l’una di fronte all’altra pronte per la battaglia, Pittaco propose un combattimento particolare: un duello tra lui e il generale degli ateniesi, Trilone; questi accettò la sfida e si decise che il vincitore sarebbe rimasto l’unico conquistatore del territorio in questione. Tritone accettò la sfida; era uscito sempre vittorioso da ogni combattimento ed era stato diverse volte coronato ai giochi olimpici. I due contendenti, quindi, avanzarono da soli. Pittaco aveva nascosto una rete sotto il suo scudo e al momento opportuno la lanciò contro l’avversario gridando: “Non ho preso un uomo, è un pesce”. Pittaco lo uccise alla presenza delle due armate restando così padrone del territorio. I mitilenesi, che nutrivano per lui un grande rispetto, gli diedero il principato della loro città. Dopo aver stabilito ordine nella Repubblica, che teneva da dieci anni, abbandonò tutti gli affari pubblici e si ritirò a vita privata. I militenesi per riconoscenza gli offrirono un luogo ameno, circondato da boschi, vigne e attraversato da diversi ruscelli. Pittaco visitò il luogo e gli parve eccessivo e troppo impegnativo. Prese il suo dardo e lo lanciò a tutta forza dicendo che avrebbe tenuto per sé lo spazio segnato dal punto in cui era giunto il suo dardo. Ai magistrati meravigliati che gli chiesero il motivo rispose: “Una parte è più vantaggiosa del tutto”. Morì nel 568 a.C. all’età di 72 anni a Metaponto.


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24 Oct 2024

Storia e cultura


Pasquale Panella



Foto dal web





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